Sta succedendo qualcosa di strano: la tecnologia digitale ha fatto enormi passi avanti rispetto alle parallele scoperte della medicina in questi anni.
Un byte lanciato su qualche server in Indonesia può continuare a girare sulla macchina per chissà quante altre decine di anni, prima che qualcuno si decida a cancellarlo.
I padroni del web dovranno inventare delle “scope digitali” per pulire i dati lasciati dalle generazioni che moriranno, e per lasciare spazio ai dati di quelle che ci succederanno.
Un byte è per sempre, per parafrasare le frasi cioccolatinose dedicate all’amore. Ma la nostra vita si è allungata solo di un paio d’anni – credo – durante la rivoluzione digitale. E forse c’è addirittura il rischio che la nostra speranza di vita si possa accorciare, grazie alle schifezze che mangiamo e respiriamo. Tumori e condizioni ambientali sono strettamente collegati. Ambienti più inquinati = aumento dei tumori.
Ecco: la rivoluzione tecnologica ha reso più difficile credere che sia possibile morire. Abbiamo un profilo su Android che si tramanda di cellulare in cellulare. Ormai non c’è più bisogno di importare i contatti. Google lo fa per noi.
Le mie foto sono su Dropbox. Ho caricato una app che si chiama Magisto e che compone da sola dei filmatini dalle foto che scatto sul mio cellulare.
Per la prima volta nella storia dell’uomo, le nostre storie piccole e private sopravvivono alla nostra morte. Senza Facebook, la storia poteva essere scritta solo da chi era grande e famoso. Adesso ognuno di noi impiastra con le proprie foto i server di Facebook nel Nebraska.
La differenza fra chi è famoso e chi non lo è, si può ricostruire con un algoritmo: quante volte compare la ricerca del suo nome sui server di Google.
E così, anch’io, sto disseminando i server di mezzo mondo di prove ontologiche della mia esistenza. Ma tra vent’anni potrei essere cosi’ indementita da non ricordare non dico la mia password, ma neanche il mio nome.
I nostri cervelli sono molto più mortali di quanto non siano stati in grado di creare. E questo mi fa uno strano effetto. Vorrei poter rispondere alle mie email anche dopo che sono morta: anzi, non capisco come non sia possibile farlo.
C’è una serie televisiva inglese che ne parla, Black Mirror. In un episodio che si chiama “Torna da me”, un ragazzo muore e la sua fidanzata ne ordina una copia bionica. Il clone di plastica ha impiantato nei circuiti cerebrali i post lasciati sui social network dal ragazzo morto. E gli assomiglia molto. Episodio consigliato. Anche a chi non scrive di sci-fi.