Archivio mensile:novembre 2014

Manifesto dell’impiegato

A quindici anni, se qualcuno mi avesse detto che da grande avrei fatto l’impiegata, non gli avrei creduto.

Non avrei creduto che tutte le mie giornate avrebbero potuto essere uguali l’una all’altra, senza nessuna possibile e imprevedibile sorpresa.

Tutte le mattine sulla metropolitana alle otto e un quarto, e la sera di nuovo in metropolitana verso le sei.

La vita scandita da impegni quotidiani e immutabili, legati alla pulizia della casa, il rifornimento di provviste, l’educazione dell’unico figlio che ho e la fatica per rimanere presentabile: capelli tinti, vestiti puliti, scarpe e aspetto decoroso.

Ecco, non c’è niente di romantico o interessante nella lotta quotidiana per guadagnarsi la vita e restare poco più a galla del livello minimo di sussistenza.

Orwell ha scritto un libro meraviglioso sugli impiegati: “Fiorirà l’aspidistra“, in cui il protagonista si rassegna a diventare un impiegato solo quando scopre che la fidanzata è incinta. Rinunciando così a tutte le sue precedenti aspirazioni a-convenzionali e non borghesi.

Insomma, quella dell’impiegato non è un’aspirazione condivisibile, ma una specie di rinuncia alla quale ti costringe la vita, anzi, come spiegava bene Orwell, una rinuncia alla quale ti costringe il più basso degli istinti: quello della riproduzione.

Perché solo se hai dei figli da mantenere puoi accettare il lavoro quotidiano scandito da orari, impegni, regolamenti e normative.

I figli devono mangiare e comprasi le Nike: non puoi coinvolgerli nelle scelte rischiose che comporterebbe la ricerca di un lavoro che sia per davvero rispondente alle nostre più intime aspettative.

Se non avessi un figlio, credo che la vita da impiegata mi sarebbe intollerabile, ma se non fossi stata un’impiegata, non avrei avuto un figlio, perché solo la garanzia di poter percepire un reddito in futuro ti da la forza – e l’incoscienza – per seguire i tuoi più bassi istinti vitali, quelli appunto legati alla riproduzione.

Chi ha dei figli e perde il lavoro è rovinato. Non c’è una rovina peggiore di quella di non poter garantire ai propri figli una vita decente e la possibilità di sostenerli nell’ingresso nella vita adulta.

Chi invece non ha figli, può permettersi qualche follia in più, e può tollerare meglio periodi rovinosi di poco lavoro.

Arrivo subito alle conclusioni: un mercato del lavoro totalmente deregolamentato, in un paese come il nostro dove il curriculum lavorativo di una persona rimane appetibile solo se non presenta nessun “buco”,  avrà l’effetto di sterilizzare le prossime generazioni di italiani.

Nessuno è così pazzo da fare un figlio, fare la spesa, alzarsi alle sette, accompagnarlo a scuola e prendere subito dopo la metropolitana, se sa che il suo reddito potrebbe cessare, diminuire, eccetera, dopo quindici giorni.

Insomma, per fare dei figli, bisogna avere la convinzione di poter contare su guadagni certi per un certo numero di anni.

Il mercato del lavoro che piace ai liberisti italiani – figli di papà com’è lo stesso Renzi – segnerà la fine della razza italica, così come la conosciamo. La parola razza mi fa orrore, ma posso dire con certezza che noi italiani medi siamo destinati all’estinzione.

Che nessuno si lamenti di più degli ultimi impiegati che si fanno la doccia tutte le mattine e vanno a lavorare per mantenere i loro figli.

Non è colpa degli impiegati se il PIL dell’Italia sta andando a picco.

Non è colpa nostra se l’Italia va a puttane.

Io, impiegata, non me la sento di diventare il capro espiatorio di Renzi e Poletti, amici del cuore dei confidustriali rossi e neri.

Se i colletti bianchi e blu scompaiono, scompare anche l’economia italiana.

Noi siamo quello che gli economisti chiamano la “domanda interna”, e se scompariamo noi e i nostri figli, scompare tutto, dal mercato immobiliare all’Esselunga, passando per le banche.

Consiglio a Renzi di leggersi qualche testo di economia. Magari di un cretino come Stiglitz che ha vinto solo il premio Nobel.

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Noi, vittime di un mondo PIENO

Non scrivo nulla di interessante, credo solo di riuscire a percepire quello che sentiamo in molti, usando una specie olfatto inconscio.

Sento nell’aria qualcosa, a cui do poi la dignità delle parole (spesso banali). Forse sono solo chiacchiere solitarie.
Fatte davanti a un Pc.

Queste sono le mie ultime percezioni olfattive-inconsce.

Siamo vittime di un mondo PIENO. Pieno di cose, pieno di persone, pieno di impegni, pieno di divertimenti (fasulli e posticci).

Faccio qualche esempio.

Domenica mattina siamo andati all’open day dell’Istituto tecnico dove Tommaso potrebbe diventare perito informatico.

Siamo entrati dopo essere stati a lungo in una coda piena di persone.

Ci hanno riempito le mani di volantini sulla scuola (che ho subito buttato).

Abbiamo parlato due ore con una simpaticissima insegnante che ci ha spiegato che nel corso  che forse frequentare mio figlio ci sono giornate PIENE, in cui gli allievi rimangono a scuola per 7 ore 7, e poi devono studiare almeno altre due ore al pomeriggio.

Poi la simpatica insegnante ci ha consigliato di far praticare uno sport ai ragazzi, perché altrimenti corrono il rischio di stare tutto il giorno fermi.

Concludo subito: mio figlio l’anno prossimo avrà una vita PIENA, dove non gli sarà quasi concesso di respirare.

Ma anche io ho una vita piena, perché passo due ore al giorno sui mezzi pubblici, circa nove ore in ufficio, e poi torno a casa, cucino, pulisco, eccetera, e la domenica vado all’IKEA a comprare gli zerbini.

Sui mezzi pubblici di Milano c’è ormai una folla incredibile, e anche all’IKEA non riesci quasi più a mangiare le polpette, tanto affollata è la caffetteria.

Anche in casa mia non entra quasi più nulla, perché ogni spazio libero è stato saturato da oggetti – anche utili – che ho comprato negli ultimi anni, e dei quali devo trovare il modo di liberarmi. Devo buttare i libri, le scarpe vecchie, i Topolini già letti da mio figlio.

Lo devo fare, ma non ho tempo di farlo, perché le mie giornate sono già PIENE di altre cose da fare.

Non so cosa stia succedendo, ma credo che l’unica soluzione sia mollare tutto e trovare una casupola con l’orto, dove andare a vivere.

Senza portarsi dietro nulla delle nostre vecchie VITE PIENE.

 

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Lo stronzo non cambia mai: rimane sempre stronzo

Riprendo ancora la definizione di stronzo che dà Robert Sutton nel suo libro: “Il metodo antistronzi“.

Lo stronzaggine implica “la manifestazione prolungata di comportamenti ostili di natura verbale o non verbale, con l’esclusione del contatto fisico“.

Si può quindi essere molto stronzi senza insultare nessuno, come si può tranquillamente essere degli stronzi passivo-aggressivi, e cioè si può manifestare la propria stronzaggine senza mai smettere di essere sorridenti.

Il passivo-aggressivo riesce infatti a mettere in atto comportamenti ostili senza mai dimostrare una PALESE aggressività, ma è subdolamente stronzo, evitando così di provocare una reazione di difesa (magari aggressiva) da parte dell’altro.

Se uno ti tira un pugno, infatti, il tuo istinto è di tirargliene uno indietro.

Se invece qualcuno ti insulta col sorriso sulla bocca, tu rimani spiazzato, perché ci metti un po’ a “connettere” il sorriso ai contenuti offensivi della conversazione.

E’ quindi discretamente difficile difendersi dagli stronzi passivo-aggressivi, perché chi NON è stronzo, fa fatica a riconoscere la stronzaggine dell’altro.

Ma il problema è un altro: chi NON è stronzo, tende a dimenticarsi di un principio fondamentale: LO STRONZO RIMANE STRONZO.

Non esistono stronzi redimibili che diventano buoni o corretti. Se qualcuno si è comportato come uno stronzo, potete essere certi che lo farà ancora. Anche se per un certo periodo potrebbe sembrarvi simpatico e gentile.

Ma le brave persone fanno fatica a credere che si possa dimostrare un atteggiamento positivo e accogliente, quando in realtà l’obiettivo finale è quello di colpire l’altro, appena il poverino smonta la guardia.

No, non sono una paranoica con manie compulsive-ossessive che mette in guardia l’umanità contro le terribili catastrofi che derivano dal fidarsi dell’altro.

No, non lo sono. Sono solo una che ha poco tempo libero. E lo stronzo è tendenzialmente diseconomico, perché bugiardo, manipolatore e tende quindi a farti perdere tempo.

Farò un esempio condominiale, perché i condomini sono il regno degli stronzi (gli amministratori non sono in grado di tenerli a bada, e quindi scorrazzano liberi nei pochi metri quadrati dove hanno un po’ di potere).

Ordunque, mi piove in casa da più di un anno, perché i sottotetti sono stati recuperati – di dice così – da una famiglia di stronzi passivo-aggressivi.

Piove in casa anche al mio vicino di pianerottolo che ha l’acqua che gli cola sui muri.

Abbiamo educatamente scritto allo stronzo di sopra per chiedergli di mettere a posto la questione.

Ma solo quando le email raggiungevano un livello di aggressività sufficientemente elevato, lo stronzo si dava da fare e tentava di capire da dove venisse il problema.

Ha fatto qualche tentativo di mettere a posto il problema, ma poi ha venduto la casa: non sono più quindi cazzi suoi.

Ma sono rimasti però cazzi NOSTRI, perché a noi piove ancora dentro.

Io e l’altro vicino alluvionato abbiamo allora ricominciato a scrivergli e il risultato è stato che venerdì sera lo stronzo di sopra ha suonato alla mia porta.

Aveva in mano una macchina fotografica, era molto gentile, e mi ha chiesto di poter fare un’altra foto alla macchia che sta diventando una voragine e che si bagna ad ogni nuova pioggia.

In realtà di foto ne aveva fatte delle altre, e un po’ gliele avevo mandate anche io.

Ma venerdì ne ha fatta un’altra: ma era SOLO UNA CAZZO DI FOTO.

E poi è sparito. Perché tanto ha venduto la sua maledetta casa e sta cercando di scappare senza dover pagare i danni procurati da lui.

E io, venerdì, quando l’ho visto entrare da me con la sua macchina fotografica, gli ho creduto: pensavo che lui volesse veramente occuparsi del nostro problema.

Faceva un sorrisetto gentile, era molto rassicurante, e io mi sono dimenticata del principio che vado affermando, e cioè che siccome è uno STRONZO, rimarrà uno stronzo.

E mi stava quindi solo pigliando per il culo, con la sua bella macchina fotografica appesa al collo come un giapponese in visita a Roma.

Morale della favola: lunedì mi toccherà andare alla posta per mandare una raccomandata con la ricevuta di ritorno, come nel 1880, a lui, all’amministratore e a non so chi altro, per minacciare non so quali conseguenze giudiziarie nel caso in cui la macchia diventi un buco nero dal quale piova dentro fino alla fine dell’umanità.

Credo che le religioni servano a questo: consolano le vittime degli stronzi. Promettono una ricompensa celeste a chi degli stronzi è vittima innocente.

Inutile dire che dove esiste ancora un sistema condiviso di valori e buona condotta, di stronzi ce ne sono di meno.

E anche l’economia va meglio.

Voglio rinascere tedesca. Norvegese. Danese. Ma italiana no. In che posto schifoso sono finita.

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