Archivio mensile:giugno 2014

Il colpevole era il maggiordomo

Dopo anni di persecuzioni da parte di un’altra condomina che si lamentava delle “perdite” di acqua dai miei balconi, questa sera, durante l’assemblea di condominio, ho scoperto che il colpevole era un altro.

piante falseUn insospettabile vicino di casa, sempre elegante e di modi cortesi – non ha l’aria di essere alla canna del gas come me – e che aveva sempre negato ogni addebito, per dirla come un avvocato.

Ma il colpevole era lui. Smascherato!

Durante gli anni di persecuzione, ho dovuto sostituire con fiori finti (trovati nei negozi dei “cinesi”) le piante aromatiche da due euro che avevo comprato all’Esselunga, e dei cui profumi mi inebriavo nelle serate afose di Milano.

Il risultato – delle mie piantagioni sintetiche – è quello che si vede nella foto. Orribile.

Ma parlo delle piante solo perché sono consapevole di quanto sia idiota l’argomento.

Per tutta la durata dell’assemblea ho pensato a quando mi sarei schiantata – con le mie piante sintetiche – nella crisi di crescita del capitalismo italiano.

Sono infatti la rappresentate perfetta di come sia sottile quella linea rossa tra stipendio e miseria della quale ho già parlato.

Mentre l’amministratore parlava del prossimo conguaglio di euro 1.000 che mi aspetta (le spese condominiali sono una delle voci più “pericolose” nei bilanci delle famiglie italiane), io scrivevo il verbale sull’iPad (che devo ancora finire di pagare), ed ero collegata ai server della Telecom con una connessione superveloce (non ancora la fibra, ma la ADSL da 20 mega).

Mio figlio giocava sul computer in camera sua, anche lui superconnesso, e totalmente ignaro dei pensieri funesti di sua madre.

Che si chiedeva quanto a lungo avrebbe resistito nel garantire al figlio uno stile di vita confortevole e decente, senza dovergli confessare che ci sono dei giorni in cui mi sembra di essere sul punto di scivolare nel burrone della decrescita infelice alla quale sembriamo condannati.

Quanto saremmo veramente capaci di resistere a una decrescita dei nostri consumi senza soffrirne troppo?

E che cosa succederebbe se a un certo punto non fossimo più in grado di consumare del tutto, perché ti è saltato il lavoro (in cinque minuti, come capita adesso)?

Tra l’iPad a rate e il VUOTO c’è una distanza piccolissima. Sempre più corta.

E ti manca il fiato quando guardi giù, verso lo strapiombo.

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A volte ritornano: le assemblee di condominio

Sta per svolgersi la sciagurata assemblea di condominio a casa mia.

Ho preparato un tè freddo alla cicuta che somministrerò agli ospiti versandone dosi generosi nei bicchieri dell’Ikea, ma ho anche tolto con lo spazzolone le strisciate di merda che lascia mio figlio Tommaso – anni tredici – nel cesso di casa.

In un soprassalto di istinti piccolo-borghesi, mi sono vergognata delle strisce marroni che il condomino – moribondo – troverebbe nel bagno di caso, dovesse mai lavarsi le mani.

L’Amministratore ha appena suonato…

Eccolo, apro la porta al morituro.

 

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Un’altra impiegata smanettona

9623ae60bb9ac778a1fa9992ae85a0a1I social network non sono altro che l’espansione delle dimensioni del campione statistico rappresentativo delle persone che hanno qualcosa in comune con te.

Questa è la definizione: “un campione è rappresentativo nella misura in cui costituisce un modello in scala della popolazione, capace di fornire un immagine fedele della sua struttura, delle sue proporzioni e della sua articolazione interna”.

Sui social siamo tutti profilati – volenti e nolenti – e siamo parificati nel senso che i social network, al contrario delle aziende, non sono gerarchici.

Hai un nome (vero o falso, chi lo sa). Punto.

Non sei codificato all’interno di un sistema gerarchico.

E se sei su Facebook, chiunque può scriverti sulla chat di Messenger. Così come tu puoi scrivere a chi ti pare.

Su social più recenti – come Twitter – non devi neanche chiedere “l’amicizia” per commentare il post di un altro.

Lo fai e basta.

Il mondo è diventato orizzontale ed è probabile che il tuo vicino di scrivania – sui social – ti assomigli.

E così, qualche giorno fa, mi ha scritto sulla chat di Facebook, un’impiegata, blogger, con un figlio – uguale a me! ‒ che aveva letto il mio libretto.

Ci siamo velocemente salutate e poi siamo immediatamente partite per cercare di risolvere un problema che Stefania Nardi aveva con i suoi blog su WordPress.

Ce l’abbiamo anche fatta – molto velocemente – e poi ho pensato: se la intervistassi?

Mi assomiglia per davvero. Chissà cosa ne pensa di tutte le ore che passiamo sul web invece di fare la pasta al forno o lavare i vetri.

Ecco l’intervista – non molto seria – a Stefania.

 

Quante ore passi sul web al giorno? 

Un’ora di pausa pranzo (c’è chi commette omicidi e chi scrive) e in media tre ore dopo cena.
In genere la sera aspetto che tutti dormano e che sia finito il film in streaming, poi inizia la vita virtuale.


Quante battute scrivi in media in una settimana?

Sicuramente meno di quante ne dico e ne penso.
La continua battaglia col sonno, impone dei ritmi lenti di scrittura.

A cosa rinunci per scrivere e smanettare? Film, libri, serate con gli amici?

Il film lo vedo prima di smanettare, gli amici li frequento nel fine settimana, i libri riesco a leggerli spesso in bagno e più raramente a notte fonda, e li alterno con i fumetti (Ah, ho già detto che sono una fumettofila?).


Riusciresti a tornare al bel vecchio filmettino in televisione, dopo gli anni di ATTIVO smanettamento?

C’era un tempo in cui prima di dormire, sorseggiavo mezzo calice di vino davanti alla TV.
C’era un tempo in cui c’era qualcosa da vedere in TV.
C’era un tempo in cui l’ADSL non esisteva e perdevi la pazienza nell’attesa che si caricassero le pagine.
C’era un tempo in cui non c’era tempo per smanettare.
Ora non c’è più tempo per non smanettare, non credo di essere ad un livello di dipendenza tale da compromettere la mia vita, ma il virtuale è ormai parte della mia (nostra) vita reale e molte vicende sono legate a questa parte di vita.
Il Blog, i social, fa tutto parte di una rete che ormai esiste, e rinunciare sarebbe come escludere una parte della vita stessa…. dunque mi adatto alla mia epoca, e cerco di viverla nel modo più sano e stimolante che esista.

No, non sento la mancanza del vecchio filmettino, nella parentesi virtuale c’è più interazione e meno inebetimento, sempre che non permettiamo di farle prendere il sopravvento sull’INTERA vita.


Perché dedichi tante energie a progetti creativi e solitari come i tuoi blog?
Il web è pubblico, ma nasce nelle nostre stanze al buio, di sera, quando siamo soli davanti al Pc.

Mi faccio spesso la stessa domanda, e mi do sempre la stessa risposta: perché ho necessità di sfogarmi creativamente.
Faccio da tanti anni un lavoro che non mi piace, che non mi appartiene, che mi imprigiona in una stanza incolore.
Scrivo da una vita, dipingo, creo. In passato ho suonato, cantato (conto di farlo nuovamente). Ogni sfogo creativo mi permette di sentirmi nella mia dimensione, libera e in continuo movimento, come recita il sottotitolo del mio Blog di scrittura “Impiegata per vivere, scrittrice per resistere”.


Tuo figlio, tuo marito, si lamentano del fatto che stai tanto tempo davanti al Pc?

Mio marito sa da sempre che deve rispettare i miei spazi, come io rispetto i suoi, e sa che ho bisogno di questo.
Mio figlio viene prima di tutto il resto, cerco di coinvolgerlo nelle mie passioni.
Mio figlio è uno dei motivi che mi ha spinto ad aprire i Blog, credo che per un figlio sia importante vedere i genitori appassionati per qualcosa e non solo obbligati ai ritmi quotidiani imposti.
Per mio figlio ho scritto alcune favole, gliele ho lette, gli leggo libri da quando era molto piccolo, ora ha 6 anni e già da un paio legge da solo migliorando sempre di più. L’ho anche coinvolto in un progetto di scrittura a coppia, lui inventa le storie e io le trascrivo in forma grammaticalmente corretta cercando di costruirle insieme, questa cosa lo diverte molto e nei ritagli di tempo cerchiamo di portarla avanti.

 

La casa è molto sporca? Devi combattere anche tu contro le formiche? Hai qualche consiglio su come sterminarle?

La casa è mediamente sporca…faccio le pulizie in genere la sera e nel fine settimana, come tutte/i noi credo.
Inoltre seguo una personalissima disciplina Zen di meditazione che mi impone di non stirare…. basta stendere bene i panni, e ripiegarli schiacciandoli con precisione… devo perfezionarla sulle camicie.


Cucini bene o male? Ma, soprattutto, ti piace cucinare?

Cucino bene, mi piace cucinare.
Quando avevo tempo, facevo anche piatti elaborati… ora la mia creatività è a metà tra Chef Rubio e Bridget Jones, ma se ho amici a cena faccio la mia porca figura.

Ecco i blog di Stefania.

Un blog un po’ così.

I Fotolavori di Stefy.

 

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Balotelli, capro espiatorio che ha letto Girard.

ZfIJuV7H_400x400L’avevo scritto in tempi non sospetti.

A Balotelli avrebbero dato la colpa di aver perso la prima partita PERSA DALL’ITALIA dei mondiali.

E così è stato.

E lui, su Instagram, ha spiegato perché.

Ha parlato di “noi negri“. Il capro espiatorio viene sempre scelto tra quelli fuori dal branco. Come spiega Girard, autore de “Il capro espiatorio”.

E  poi ha parlato di Ius soli.

Ha detto che ha “voluto fortemente” essere italiano, perché ha dovuto aspettare fino a 18 anni per diventare italiano (esercitando l’opzione tra le due cittadinanze, italiane e ganese).

Lo Ius sanguini che vige da noi prevede infatti che chi nasce in Italia da genitori stranieri non sia italiano.

Ecco il suo post su Instagram.

Sono Mario Balotelli ho 23 anni e non ho scelto di essere italiano.
L’ho voluto fortemente perché sono nato in ITALIA e ho sempre vissuto in ITALIA.
Ci tenevo fortemente a questo mondiale e sono triste arrabbiato deluso con me stesso.
Si magari potevo fare gol con la costa rica avete ragione ma poi? Poi qual’è il problema?
Forse quello che vorreste dire tutti è questo?
La colpa non la faccio scaricare a me solo questa volta perché Mario Balotelli ha dato tutto per la nazionale e non ha sbagliato niente.( a livello caratteriale) quindi cercate un’altra scusa perché Mario Balotelli ha la coscienza a posto ed è pronto ad andare avanti più forte di prima e con la testa alta.
Fiero di aver dato tutto per il Suo paese.
O forse, come dite voi, non sono Italiano.
Gli africani non scaricherebbero mai un loro ” fratello”. MAI.
In questo noi negri, come ci chiamate voi, siamo anni luce avanti.
VERGOGNA non è chi può sbagliare un gol o correre di meno o di più.
VERGOGNOSE SONO QUESTE COSE.
Italiani veri! Vero?”

Ho già scritto che ne penso di tutta questa vicenda nel post precedente.

Vorrei solo aggiungere due cose.

La prima.

Balotelli si espone troppo sui social network. Il suo post ha generato centinaia di risposte piene di insulti.

E l’onda dell’insulto sul web non si ferma, se non evitando appunto l’esposizione.

Ormai sono in tanti a dover lasciare il web – Twitter, principalmente – se vogliono dormire tranquilli, senza controllare il cellulare ogni cinque minuti e non farsi venire il sangue alla testa.

Ma sembra che Balotelli sia alla ricerca di una prova ontologica della sua esistenza.

Ha bisogno che si parli di lui per sentirsi VIVO.

Una forma nichilista di egocentrismo, perché la sovraesposizione agli insulti lo  annichilirà.

Ma ormai la sua faccia è diventata un business per il giornalismo, e immagino che sia troppo giovane per resistere alla blandizie delle copertine.

Peccato. Supermario starebbe meglio se la gente parlasse un po’ meno di lui.

Sarebbe solo un bravo calciatore, dal quale non ci si aspetta null’altro se non il fatto che giochi bene.

Seconda e ultima osservazione sugli italiani nati a Palermo ma di pelle scura.

Come pensate che saranno gli europei tra un centinaio di anni?

Di quale colore saranno?

Ho le mie opinioni – sul colore – ma non sono importanti.

L’unico mio desiderio – per i tempi in cui non ci saremo più né io né mio figlio – è che l’Europa rimanga un paese laico e pacifico.

Il degrado sociale e le periferie arroventate dai casseur sembrano invece l’unica condizione possibile nei paesi dove democrazia e integrazione non sono cresciute lentamente, penetrando nel subconscio dei cittadini.

Sì, sembra una lezioncina di stupida educazione civica.

Ma vivere nel quartiere sbagliato di Las Vegas o Washington D.C. non è simpatico.

Meglio un’onesta periferia bresciana, con la rete degli oratori che tirano ancora dentro tutti, che non la polizia in giro per le strade di Marsiglia.

Siamo ancora in tempo per evitare il futuro collasso sociale?

Io sono pessimista. Penso di no.

Ma mi toglierò il piacere di vedere la Francia che esplode con Marine Le Pen.

Perché quella destra al potere combina solo disastri.

P.S. Girard spiega che anche Cassandra è un capro espiatorio.

Però adesso basta con le lezioncine.

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Mario Balotelli come (plausibile) capro espiatorio

supermarioCercherò anch’io di scrivere qualcosa sui mondiali, facendo una serena premessa.

Odio il calcio.

Oggi, durante i mondiali ho dormito.

Detto ciò, mi preme fare un’altra premessa: sto per scrivere un articoletto da cronaca rosa, mescolato col solito Girard, antropologo e autore de “Il capro espiatorio”.

Mi scuso in anticipo delle mie banalità, che vado adesso ad esporre.

Ultimissima premessa: sono favorevole allo Ius soli SECCO, all’americana.

Diventi automaticamente cittadino del paese dove nasci. PUNTO.

E’ più pratico, più corretto, più semplice, più MODERNO.

Nessuno deve verificare se tuo padre è italiano, o se avevi un nonno di sangue italiano emigrato in Brasile cento anni fa.

Se sei nato in un ospedale italiano, sei dichiarato cittadino italiano.

Inutile sprecare cartacce o farti aspettare fino a diciott’anni, come è successo a Balottelli, nato a Palermo, per dargli il diritto di esercitare l’opzione se diventare italiano o ghanese.

Sono buffonate da VECCHI europei, ancora preoccupati a far finta di difendere confini porosi, attraversati da forza lavoro a basso prezzo, che piace molto ai parùn.

Ai parùn piace pagare poco gli operai delle fabbriche o i poveri cristi che raccolgono i pomodori a due euro all’ora, anche se poi si lavano la coscienza – e la faccia – votando per partiti razzisti come la Lega.

Ritorno ancora a Balottelli, che nasce a Palermo da genitori ghanesi che lo abbandonano in ospedale.

Non riescono o non vogliono occuparsi di lui.

Da piccolo è molto malato e passa i primi anni da solo in un ospedale di Palermo, affidato al personale ospedaliero che si occupa di lui.

I genitori naturali cambiano città e, quando Mario ha due anni, viene dato in affido a una famiglia di Brescia, i signori Balotelli, che si occupano di lui con affetto e generosità.

Non ho mai capito perché Mario sia arrivato a Brescia, e non a Bologna, per esempio, ma non è un particolare importante.

Quando Mario comincia a diventare famoso, saltano fuori i genitori naturali, che si fanno fotografare con la sua foto: “Mario, ti rivogliamo!“.

Lui li manda a cagare senza troppi complimenti: “Mi avete lasciato da solo. Sparite“.

Nel frattempo si compra una Ferrari – ma perché no? – e gioca molto bene, ma a volte anche molto male (credo).

E poi pastrocchia con le donne, si incazza, si diverte, è un po’ sbruffone, ma anche arrabbiato, ha gli occhi tristi.

Litiga con gli allenatori, si incazza con chi lo insulta perché è nero, finisce su tutti giornali di cronaca rosa.

E lui cosa vuole fare per dimostrare – a noi italiani di razza bianca – che è italiano anche lui, ed è degno di essere amato e ammirato come un qualsiasi altro italiano?

Vuole vincere i MONDIALI.

Vuole vincerli per NOI, che gli abbiamo dato la cittadinanza a diciott’anni, mentre lui parla con l’accento bresciano di Fabio Volo e ha bisogno di fare cose eclatanti e fuori dal comune per essere amato e accettato da chi l’ha lasciato sulla porta fino a diciott’anni prima di dirgli: “Ehi, sei italiano anche tu!”.

Ma cosa succederà se Balotelli non ci farà vincere i mondiali, come peraltro sembra che stia già accadendo?

Il rischio è che qualcuno dia la colpa a lui, dia la colpa a Balotelli di non averci fatto vincere.

Non la daranno a Prandelli o Pirlo, potrebbero darla a lui.

Per un motivo molto semplice.

Balotelli è comunque un italiano eccentrico, un ragazzo adottato che si compra la Ferrari, ma si sente pur sempre uno sfigato, e cerca il successo mondiale per dimostrarci che è un figo.

I capri espiatori sono sempre fuori dal branco, e Balotelli è fuori dal branco, con i suoi umori ciclotimici e le promesse MIRABOLANTI che difficilmente si potranno avverare.

Se l’Italia dovesse vincere i mondiali, non sarebbe solo merito suo.

E se li perdesse non sarebbe solo colpa sua.

Il successo non serve a nulla.

Chi cerca il successo per dimostrare il proprio valore, costeggia i burroni del fallimento e della depressione.

Credo che Balotelli non dovrebbe più promettere nulla. E stare in pace con se stesso.

Per quanto riguarda invece noi, italiani di ius sanguinis, smettiamola di trattare male chi viene a vivere in Europa.

E’ solo un caso fortunato se siamo nati qui, e non in Siria o in qualche altro posto dimenticato da Dio.

Potremmo esserci noi sotto le bombe, a Aleppo, e ringraziamo il caso che invece siamo tutti qui a chattare su Facebook.

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C’è una sottile linea rossa tra lo stipendio e la miseria

Credo di avere un aspetto curato e decente, anche se mi è già capitato un paio di volte che il conto in banca fosse così sotto zero da non poter più prelevare un euro col Bancomat.

Eppure ho fatto buone scuole, sono addirittura laureata alla Bocconi, e ho un posto da rispettabile impiegata.

Ma non ho più risparmi da parte, come molti italiani, e quindi vivo galleggiando sull’orlo della miseria.

Basterebbe che saltasse uno stipendio – uno solo – e non potrei pagare il mutuo.

Il giorno dopo metterei in vendita la mia bella casa, di cui è proprietaria anche la banca, e cercherei un lavoretto purchessia che mi consenta di fare la spesa.

Ma già adesso, per pagarmi il dentista, ho chiesto un anticipo sul TFR. E meno male che ho il TFR!

Ma per ottenere l’anticipo in questione, ho dovuto telefonare a tutte le ASL di Milano per scoprire chi poteva certificare il preventivo del dentista come NON FALSO.

Alla fine, dopo non so quante telefonate, ho fatto pena a un’impiegata dell’ospedale San Paolo, che ha intercesso per me con il primario del reparto dentistico.

Tra qualche giorno, quindi, mi presenterò al San Paolo col mio bel preventivo da vidimare, e il primario si troverà davanti un’educata signora vestita da impiegata, che lo implora di mettere il timbro in questione sul preventivo.

Certo, ci sono anche gli ambulatori dentistici delle ASL, quasi gratuiti, e questo sarà il prossimo passo.

Adesso però ho un paio di cose delicate da far mettere a posto da un dentista più che fidato, e poi anch’io passerò alla sanità pubblica.

Ma non racconto questi scabrosi dettagli sullo stato del mio portafogli per far pena a qualcuno.

No, li racconto perché sono tanti quelli come me.

Quelli che non sono ancora affondati, ma che vedono l’acqua salire fino a lambire le paratie che dovrebbero ripararti dallo tsunami in arrivo.

Non ce l’aspettavamo che la linea di separazione tra una vita rispettabile e borghese –  espressione volutamente banale – fosse così sottile.

Non era previsto, nessuno immaginava che saremmo corsi a perdifiato verso tassi di disoccupazione degni di un paese africano, e nessuno immaginava che il cosiddetto ceto medio non avrebbe avuto i soldi per pagare l’affitto.

Gli Stati Uniti, che sono sempre primi in tutto, hanno già scoperto l’esistenza di nuove forme di povertà, assolutamente compatibili con il lavoro.

Durante il giorno fai la commessa in un negozio, e poi la sera dormi in un rifugio per senzatetto.

Sarò depressa, sarà il caldo, sarà che sento solo raccontare guai, ma credo che il livello dell’acqua stia salendo.

E  molti sono già sott’acqua.

Se qualcuno volesse leggere un libro bellissimo e intelligentissimo su questo argomento, consiglio un libro di Marco Revelli, “Poveri, noi“, edito da Einaudi.

Un libro che toglie il sonno, letteralmente.

Vita e morte di un libro cartaceo. Ma neanche gli ebook sono immortali…

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Voglio raccontare la giornata passata all’ex-Fnac di Milano a parlare con la direttrice della libreria, Paola Rinaldi, che mi ha spiegato cosa succede a un libro cartaceo quanto entra e esce dal cosiddetto “punto vendita”. Ma  prima farò una premessa un po’ mortifera.

Siamo abituati a pensare al libro cartaceo come a un prodotto deperibile, mentre invece l’ebook, caricato sui server di Amazon o di un altro store online, continuerà a esistere per sempre, remotizzato in qualche Data Center del Nevada.

Bene, tutte le aziende digitali stanno cercando di capire come affrontare il tema dei “profili orfani“, collegati cioè a persone che hanno smesso di esistere, e sicuramente anche Amazon – e gli altri retailer online – dovranno capire cosa fare degli “ebook orfani“, collegati a persone che hanno smesso esistere.

La nostra traccia digitale di utenti e scrittori digitali sarà quindi molto più lunga e complessa da smaltire di quella lasciata dai libri cartacei, i quali, finito il loro ciclo, vengono semplicemente macerati per risorgere con un un’altra pelle (diventeranno un altro libro, un giornale, un blocco di fogli).

Paola Rinaldi, storica libraia milanese, RESPONSABILE della LIBRERIA ex-Fnac di Via Torino, che oggi è stata inglobata da Trony, ha avuto la pazienza di raccontarmi IL CICLO DEL LIBRO.

Come entra nelle librerie, come ci rimane, e come esce inscatolato sottoforma di RESO.

Per rendere più digeribile l’intervista (lunghissima ma interessantissima), userò la tecnica delle domande.

Ma in realtà quella tra me e Paola è stata una lunga chiacchierata che ricostruisco per i lettori.

 

Paola, quanti nuovi libri ti arrivano al mese in libreria?

Se parliamo solo di narrativa e solo di titoli nuovi, direi che in media sono circa 80.

In Italia ci sono tre grandi distributori: Mondadori, RCS, Messaggerie libri, PDE e almeno un altro paio di distributori più piccoli. I libri arrivano martedì, mercoledì e giovedì.
Un paio di bancali per volta, per un totale 45 di scatoloni.

Ma in Italia vengono pubblicati circa 59.000 nuovi titoli all’anno, per un totale di circa 180.000 copie stampate (sono dati ISTAT).

Nelle librerie c’è quindi molto movimento!

 

E voi cosa fate?

Dobbiamo svuotare tutti gli scatoloni e disporre i libri sugli scaffali, sui podi o sulle pedane oppure creare delle pile da terra.

Ma prima di esporre le novità, dobbiamo decidere quali libri togliere dagli scaffali per lasciare posto a quelli nuovi.
Non è una decisione semplice, credimi.

Lavoro in una libreria da molti anni e quindi riesco a ricordarmi l’andamento del venduto di un libro, ma ricorro anche ai sistemi informatici che tracciano le vendite.

Se mi sono arrivate venti copie di un libro e ne ho venduta una (in due o tre mesi), allora tutte le diciannove copie rimaste verranno rese, perché evidentemente quel titolo non ha funzionato.

Se invece di copie ne sono state vendute quattro o cinque, allora in libreria ne terrò tante quante ne ho vendute diciamo in un mese, e restituirò le altre.

La tecnica è sempre la stessa: devi valutare la proporzione tra copie vendute e copie rimaste in libreria.
Più sfavorevole è la proporzione per quelle vendute, e maggiore sarà la possibilità che quelle invendute finiscano in uno scatolone.


E poi cosa succede?

Mettiamo nelle scatole i libri resi e li mandiamo al distributore. Adesso ci sono 93 scatole in partenza, tutte ‘confezionate’ da noi e messe – sempre da noi – su quattro bei bancali.

Sai qual è la malattia professionale del libraio?
L’ernia del disco, o il mal di schiena, a furia di sollevare scatole, e le vene varicose!

 

La sera torni a casa stanca, allora. Ma ci spieghi meglio la teoria del RESO?

Le librerie hanno spazi espositivi limitati e quindi gli spazi devono avere un “rendimento“.

Se io riservo un grosso spazio a libri che vendono poche copie, quello spazio renderà poco.
Così come se io riservo spazi a libri che costano molto poco, come l’ultima edizione dei classici della Newton a 0,99 centesimi, allora dovrò venderne tantissimi per guadagnarci sopra qualcosa.

E’ questo il motivo per cui libri come quelli sono venduti nei centri commerciali dove esistono spazi espositivi molto grandi.
Se tu riempissi una piccola libreria con libri a 0,99 centesimi, fallirebbe in pochissimi giorni.
E dopo quanti giorni capisci se un libro va o non va?
A volte basta pochissimo per capire che un libro venderà poche copie. Se un libro rimane fermo per un mese, è difficile che poi parta, anche se ci sono state partenze lente.

Insomma, non si può mai escludere che un libro abbia bisogno di un po’ più di tempo per cominciare a essere comprato, ma se, dopo tre mesi, ha venduto solo una copia, allora non c’è niente da fare.

Tornerà indietro all’editore che poi potrà decidere se farlo entrare nel ciclo dei remainders.

Perché un libro diventi un remainders, deve però essere dichiarato FUORI CATALOGO dall’editore, cosa che viene comunicata pubblicamente.

A questo punto il libro finisce nei banchetti nelle fiere di paese. Oppure l’editore potrà mandarlo direttamente al macero.

 

Se un libro invece ha solo un po’ vendicchiato?

Allora teniamo qualche copia ancora nel punto vendita e aspettiamo di vedere se riusciamo a venderle.

 

E quali sono i criteri espositivi dei libri?

Quando un editore punta molto su un libro, allora stampa una grande tiratura e investe in comunicazione, pubblicità, seguendo un piano marketing che può prevedere diversi tipi di azioni.

Il promotore, che è il rappresentante dell’editore che tratta con i librai, ci comunica le strategie dell’editore sul titolo e noi decidiamo cosa fare, anche in base al profilo del nostro pubblico.

Impilare i libri vicino alle casse o in un punto molto visibile del negozio, e magari affiancargli dei sagomati o dei cartelli o dei segna-pile, aiuta sicuramente, anche se bisogna evitare la foresta dei sagomati.

Ma in generale nelle librerie ci sono spazi più visibili di altri, e le novità vanno sempre a finire nelle “zone” migliori della libreria.
Se poi, passati i famosi 90 giorni, il libro continua a vendere (ma non è diventato un best seller), allora lo spostiamo in una zona un po’ meno visibile di quella precedente.

Quando poi il libro ha smesso di avere un “buon rendimento” in termini di vendite, allora ne teniamo solo una copia o due, e le spostiamo sugli scaffali.

 

 

Quali sono, secondo te, i “fattori di successo” – scusa la terminologia da marketing – che fanno andare bene un libro?

Dunque, tutto il marketing del mondo non riuscirà mai a far vendere un brutto libro.

I lettori vogliono leggere delle BELLE STORIE e se in un libro mancando gli ingredienti fondamentali, tra cui appunto una storia interessante, allora nessuno lo comprerà.

Il secondo ingrediente è quello del linguaggio: il libro deve essere scritto in un modo relativamente semplice, il che non significa brutto o banale, ma semplicemente non pretenzioso o troppo aggettivato.

Ci sono scritture barocche che non ti “acchiappano” per niente e dopo un po’ ti stufano del tutto: non riesci ad andare avanti.
“Un intellettuale dice cose semplici in modo complicato. Un artista dice cose complicate in modo semplice.”  Parola di C. Bukowski

 

 

Quanto contano i seguenti fattori nel decretare il successo di un libro?

PRIMO FATTORE
Il passaparola dei lettori anche professionali (anche sul web).

Non sono molti i libri che sono partiti esclusivamente sulla base del passaparola dei lettori.

Adesso me ne vengono in mente solo tre:

STONER, di Williams, edito da Fazi

LA VITA DAVANTI A SÉ, di GARY, edito da Neri Pozza

LA TRILOGIA DI LARSSON, edita da Marsilio


SECONDO FATTORE
La presenza dell’autore a qualche trasmissione televisiva.

Ti sembrerà assurdo, ma spesso i successi in libreria arrivano dalla televisione!

Un autore che appare in un programma televisivo come quello di Fazio, per esempio, è destinato a vendere un sacco di copie: anche senza essere necessariamente un grande scrittore. Deve ‘bucare’ lo schermo, e cioè saper parlare bene in pubblico.
La televisione può fare miracoli.

Pensa solo a cosa è successo quando nel 2012 Roberto Saviano aveva letto a “Che tempo che fa” i versi di una poetessa polacca, Wislawa Szymborska.

Bene, Adelphi ha dovuto ristamparla. Tutti volevano il suo libro!

Lo stesso succede con Arbasino, che con “L’ingegnere in blu” ha tramutato Gadda nel vicino di casa di chiunque, anche di quelli che non sapevano nemmeno che Gadda fosse uno scrittore.

 

 

Qual è invece il “potere” del libraio nel scegliere i libri e quindi nell’orientare il mercato editoriale italiano? Naturalmente bisogna distinguere fra librai indipendente e librai delle catene.

Noi siamo dei consulenti del lettore. Cerchiamo di consigliare il libro che possa piacere veramente a chi ci sta chiedendo un consiglio. Si chiama empatia.

Il lettore dobbiamo capirlo, capire quali sono i SUOI gusti.
Poi, se capiamo di essere in sintonia con il nostro cliente lettore, allora andiamo alla grande e ci emozioniamo il doppio a consigliargli un libro che ci è piaciuto tantissimo!

Così come si va dal commercialista per una consulenza e lo si paga perché ha esperienze e conoscenze che noi non possediamo, dovrebbe essere normale che il cliente lettore paghi il libraio per la soluzione di un problema a cui non saprebbe arrivare da solo: “Vorrei un bel libro per me”, “Voglio regalare un bel libro a un mio carissimo amico”, “Ho bisogno di una lettura che mi riconcili con il mondo”, e così via.

Il prezzo della consulenza è compreso in quello del libro, ovviamente.

Perché se io riesco a vendere libri, porto a casa lo stipendio, se no chiudo.

La consulenza al lettore è l’essenza della libreria, escludendo quelli che vanno in libreria come in farmacia: “Ecco la lista dei libri che mi servono, scusi ho l’auto in seconda fila, faccia in fretta che tanto non sono nemmeno per me, è roba che devo fare per amici”.
Il cliente lettore cerca un’emozione, un legame, un’avventura che si concretizza solo in libreria, nella persona del libraio.

E il libraio capisce quando il cliente lettore ho solo voglia di un saluto. E allora lo saluta e basta.
Altrimenti interagisce con il lettore che vuole un consiglio. Con grande soddisfazione di entrambe le parti, si spera.

È questione di fiducia, e la fiducia si costruisce a fatica e con costanza.
Però attenzione: se dai un consiglio sbagliato, la fiducia la perdi in un minuto…

 

 

Quanti i sono i lettori che ancora si rivolgono a voi per avere un consiglio? E quanti sono invece quelli che arrivano in libreria sapendo che cosa vogliono comprare?

Una buona parte dei lettori arriva con indicazioni date da altri (recensioni, sms con titoli suggeriti da amici, ecc.), altri invece, soprattutto gli aficionados, si lasciano raccontare che cosa è appena uscito.

Spesso il lettore parte da un libro di cui ha letto una recensione, e poi magari ne prende un altro, dopo aver parlato con te.
Più i clienti sono lettori forti, costanti, più cercano il confronto con il libraio.

E bisogna essere preparati e attenti a capire che tipo di libri ti sta chiedendo un lettore. Non cerco mai di rifilare al cliente lettore un libro piaciuto a me. Voglio capire che cosa potrebbe piacere a LUI.

In ogni caso, noi abbiamo adottato anche la tecnica del consiglio silenzioso: io e i miei colleghi scriviamo una brevissima scheda sul perché ci piace un libro (vecchio, nuovo, famoso, sconosciuto…) e lo mettiamo sulla parete dei COLPI DI FULMINE o degli IMPERDIBILI, in modo da creare una sorta di biblioteca ideale, che rinnoviamo costantemente, a cui chiunque ha accesso, senza doverci chiedere nulla (vale per i lettori timidi).

E li scriviamo veramente NOI, dopo aver letto i libri veramente.

 

 

Che cosa bisognerebbe fare secondo te per riportare i libri in auge, non solo quelli cartacei, ma i libri in generale, letti su qualsiasi device?

Secondo me bisogna incominciare dalla scuola.

I ragazzi dovrebbero essere spinti dai loro insegnanti a leggere libri più vicini alle loro esperienze, ai loro mondi, alle loro modalità espressive.

Anche gli insegnanti dovrebbero farsi un giro nelle librerie per capire quali sono i libri per ragazzi.

Adesso per esempio va di moda il filone fantasy, tomi di 800 pagine, e quindi non ditemi che i ragazzini non leggono i ‘libri grossi’!

Io credo che sia importante che la lettura sia un’abitudine coltivata da piccoli, in famiglia se si è fortunati, negli asili e nelle scuole in ogni caso.

E leggere un libro deve essere UN DIVERTIMENTO!!!
Se leggere non è divertente come ascoltare una canzone, giocare a un videogioco o bersi una cherry coke, allora abbiamo perso.
Recuperare l’aspetto ludico della lettura deve essere la nostra priorità.

Anche se non si leggono i classici, anche se si parte dai libri sciocchini… purché si inizi divertendosi!

 

 

E tu cosa fai nel tempo libero?

MA QUALE?! Non ho tempo libero!

Ok, nel tempo libero, leggo!
Sia per il mio piacere, ma anche per alcuni editori italiani.

Leggo in italiano, tedesco, inglese e spagnolo. A volte mi danno una settimana per fare la scheda di un libro, ma mi è capitato di farla anche in un paio di giorni!

E poi leggo anche le bozze in anteprima di libri in uscita che ci mandano gli editori, prima che un libro arrivi in libreria.
Così posso scegliere i miei colpi di fulmine e consigliare i Sunday Books su CHOOZEit… Non mi annoio ecco!

E vado a teatro, ascolto musica, sto con gli amici e con la mia famiglia, non necessariamente in questo ordine.
Insomma, vivo, ecco, perché pare che la vita non si possa replicare…

 

Ultima domanda. Cosa ne pensi degli ebook?

Ne penso bene! Ho un Kobo e un Sony, e leggo libri anche nella versione digitale, soprattutto per lavoro o se li voglio subito in lingua originale.

Tutti leggiamo ebook.

Il problema non è quello del formato del libro, ma della concorrenza da parte delle gradi piattaforme americane come Amazon, che non pagano le tasse in Italia.

E hanno quindi margini di ricavo molto più alti.
Riescono a spedirti a casa un libro almeno con il 15% di sconto, senza costi di consegna.
Ufficialmente sono dei distributori, e quindi non hanno la sede in Italia, anche se poi di fatto operano in Italia.
Ma qui il discorso si fa più complicato.
Non siamo un paese Tax Friendly, con il risultato che ci troviamo dei concorrenti – a casa nostra‒ molto più forti di noi.

 

Come vuoi chiudere questa lunghissima intervista che consigliamo a tutti di leggere?

Fa’ la cosa giusta: ADOTTA UN LIBRAIO!!!

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Questa volta parla una blogger: Silvestra Sorbera

Silvestra, quando hai deciso di aprire un blog?

Il blog è stato inaugurato con il primo articolo il 2 novembre del 2013 così, ogni tanto, posso riprendere l’espressione camilleriana “faccia da 2 novembre” che, essendo il giorno dedicato ai nostri morti dovrebbe essere un giorno triste, funesto ma, non sempre è così.

L’idea di aprirlo invece è nata con l’autopubblicazione. A fine settembre del 2013 ho pubblicato su Amazon “Simone  e la rana” e l’ebook di “Commissario Livia” precedentemente pubblicato con una casa editrice.
Così ho decido di creare un posticino tutto mio sul web dove si parla dei miei libri ma principalmente di altro.

Tu fai la giornalista, ma perché hai scelto di fare anche la fatica di scrivere su un blog? Volevi sentirti libera di scrivere quello che ti pare? Insomma, che cosa spinge i blogger a diventare giornalisti indipendenti?

In effetti tenere un blog costa fatica, specie se viene aggiornato con costanza, il mio è operativo quattro giorni su sette con delle rubriche fisse. L’idea di poter scrivere quello che voglio senza la costrizione delle righe, parole, battute, era allettante, oltretutto posso scrivere in maniera colloquiale, spesso uso espressioni come: “Ma voi lo sapete”, “Cosa ne pensate”, quasi fossi a casa con le amiche per il caffè, frasi che non possono essere inserite in un pezzo giornalistico.

Questo barlume d’indipendenza, di essere “senza regole” permette di avere quella libertà che nessun lavoro al mondo può darti, anche se il blog è tutto tranne che un lavoro.

Come scegli gli argomenti per il tuo blog? 

Per la rubrica “Avrei qualcosa da dire” prendo spunto dall’attualità: dati ISTAT su obesità, crisi, divorzi, interrogando anche i lettori.

Per il “Baby mondo” gli argomenti sono legati al baby friendly. Sono una mamma e mi chiedo: “Cosa mi serve?”.
In questo momento ad esempio la scuola è finita, fa caldo cosa fare a casa con i bimbi?
Come organizzare le vacanze?

Oppure prendo spunto dalla cronaca che viene sempre in aiuto di noi poveri giornalisti.

La terza rubrica è intitolata “I libri degli altri” e ha una cadenza fissa, il martedì, un piccola spazio di cultura dove recensisco un libro a settimana che ho letto e mi è piaciuto. Scrivendo libri mi metto nei panni dell’autore e così evito di recensire un libro che non mi è piaciuto.
Stroncare non mi piace e quindi taccio. Non è molto professionale ma è un blog, mica un giornale.

Il venerdì è il giorno dedicato alla rubrica delle interviste: “Oggi parliamo con”, un piccolo salotto virtuale dove, di settimana in settimana intervisto un autore, uno scrittore, un personaggio  televisivo, un medico, è la rubrica alla quale tengo maggiormente.

 

Hai capito quali sono i filoni di argomenti che ricevono più visite? Cosa piace di più ai tuoi lettori?

Il gossip. Ho intervistato tantissimi personaggi famosi e, nel tempo, sono quelli i pezzi che ricevono più visualizzazioni.

Intervistare Massimiliano Morra e Elena Russo quando in televisione c’è la fiction che ha loro per protagonisti è un grande vantaggio.
In quel momento le persone sul web cercano quello, magari le ragazzine si sono innamorate di Morra e vogliono sapere tutto di lui.
Quali sono gli strumenti che funzionano di più per viralizzare gli articoli?
Facebook, Twitter o altri aggregatori “social” come Virgilio?

Twitter al primo posto, poi Virgilio e in ultimo Facebook.


Quante volte posti i tuoi articoli sui Social? Credi che abbia senso la politica di postare lo stesso articolo molte volte?

La ridondanza non credo che aiuti, io lo posto una sola volta nei vari social, il giorno della pubblicazione, il passa parola fa il resto.
Continuare a bombardare gli utenti con lo stesso articolo non credo funzioni.


Un blogger è anche qualcuno che non fa fatica a scrivere. E infatti tu scrivi anche libri. 
Quanto tempo ci metti a scrivere uno dei tuoi articoli?

Poco, circa dieci minuti, ci metto di più a loggarmi nei vari social network e a condividere il tutto.
Anni fa scrivevo anche sette pezzi al giorno. La mattina ero in giro per la città tra conferenze stampa e ricerca di notizie. Entro le 16 dovevo consegnare tutto per l’impaginazione e la stampa, e quindi sono diventata molto rapida e concisa.


Hai qualche consiglio da dare agli altri blogger?

No, anzi se qualcuno vuole darne a me. Sono una “neonata” nel mondo dei blogger e quindi, come si suole dire “non correre se prima non impari a camminare”.

 

Ecco il blog di Silvestra Sorbera.

E i suoi libri su Amazon.

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Intervista delirante protomarxista su CHOOZE.it

Non riesco a condividere il blog su WordPress e copioincollo l’intervista protomarxista sull’esercito industriale di riserva rilasciata a CHOOZE.it.

Per cuori forti e penne leggere e sciolte, come quella di Paola Rinaldi.

http://chooze.it/blog/2014/06/sunday-books-le-confessioni-di-viola-veloce/

di @Paola Rinaldi

“Sciur padrun dalle belle braghe bianche…”: no, il caldo non mi ha dato alla testa e no, non ci occuperemo della storia delle mondine. Anche se troverete sicuramente la mondina che è in voi dopo aver letto le rivelazioni esclusive e in esclusiva per noi di CHOOZEit di una scrittrice che pensava di aver scritto un giallo metropolitano (e così ancora crede il suo editore), e invece s’è ritrovata tra le mani un’opera rivoluzionaria e carbonara che se Marx fosse tra noi, sai che invidia?!

Viola Veloce (che ovviamente è uno pseudonimo, perché va bene i  genitori stravaganti ma insomma… e non è lei sulla copertina del libro, occorre specificare!) è una debuttante su carta dopo i successi del self-publishing virtuale (e in questo caso virtuoso) di cui parla, tra le molte altre cose, sul suo blog che vale una visita, anche solo per capire meglio con chi abbiamo a che fare.

Quando il suo thriller Omicidi in pausa pranzo è arrivato in libreria settimana scorsa, insieme al video bondage in rete, tutti noi abbiamo immediatamente pensato a chi ammazzare nel prossimo break. Poi ci siamo calmati un po’ e abbiamo cominciato a leggere: non abbiamo scoperto subito l’assassino, ok; ma che non si tratti solo di un giallone, quello lo abbiamo capito subito. Anche perché il serial killer ammazza-impiegati ci ha fatto pensare ad una nuova figura nell’ambito delle possibili soluzioni di riorganizzazione delle aziende in crisi.

Mi son detta: bene, chiediamo alla sedicente Viola se vuole diventare mia amica su Faccialibro e vediamo cosa tiriamo fuori per il Sunday Books. Così ho fatto: e ci siamo fidanzate! Su Facebook. In meno di cinque minuti.

Dunque ora la penna passa a Viola! Ecco le sue segrete e vibranti confessioni!

“E’ andata così.

Paola Rinaldi mi ha mandato un messaggio su Facebook: “Ciao, ma se ti metto insieme a Nancy Mitford e a Jousha Ferries nella mia triade (modesta e breve) domenicale dei Sunday Books di CHOOZEit ti offendi? Filo rosso: il cinismo”.

Non ho neanche pensato “Paola chi?”, perché Facebook ha spianato i confini del mondo: tra sconosciuti, amici, sorelle germane e cugini primi non c’è più differenza.

Siamo tutti insieme a bagnomaria nel grande brodo dei Social Network.

Certo. Paola, Paola Rinaldi. Ha anche un nome vero, pensa un po’, mentre il mio suona volutamente falso come l’oro matto che ti vendono in India.

Ci siamo subite chieste l’amicizia. E ce la siamo accettata subito. Siamo milanesi, oibò, il tempo è denaro.

Poi abbiamo chattato un po’, e l’amicizia, da superficiale qual era, è diventata amore e profonda intesa intellettuale. Goethe ci fa un baffo e le sue affinità elettive noi le avremmo scritte in cinque minuti, su una chat di Facebook [l’Autrice non sa che Paola è germanista, che feeling, carrbamba!!!].

Allora, Paola fa la libraia, e io faccio l’impiegata.

Lei vende libri in un megastore tra cellulari e pc, mentre io sono un’impiegatona che va a lavorare in metropolitana tutte le mattine.

A Milano. Tutte e due. Sotto lo stesso cielo che diventa bianco per il caldo d’estate.

Ordunque, ecco le mie più intime confessioni letterarie, fatte a Paola, la mia più intima amica.

Esistono due scrittori che amo molto. Uno è James Joyce. L’altro è un antropologo: Renè Girard.

Joyce era uno sfigato – ha scritto l’Ulisse in cucina, mentre litigava con la moglie – mentre Girard è il teorico degli sfigati.

“Il capro espiatorio” di Girad parla di noi, parla di quelli che non si sanno difendere e vengono attaccati.

Gli impiegati stanno diventando i capri espiatori del capitalismo globalizzato. Che vuole pagare sempre meno la forza lavoro, e sostituisce quella che costa di più con quella che costa di meno. Oggi un enorme esercito industriale di riserva si presenta sul mercato del lavoro con il cappello in mano. Sono laureati, sono giovani, hanno paura. Accettano paghe basse, sempre più basse, e il costo del lavoro sta crollando.

E io e Paola, impiegate sull’orlo del burrone, abbiamo paura di essere licenziate e finire in metropolitana col cartello “Ho fame” attaccato al collo.

Cosa c’entra un tale preambolo delirante e protomarxista col mio modesto librino, si potrebbe chiedere qualcuno? Il libretto in effetti  va giù leggero come un vermentino da quattro euro comprato all’Esselunga.

Quello che vorrei confessare – letterariamente parlando – è che dietro al mio stile leggero, degno anch’esso di uno scaffale dell’Esselunga, c’è un po’ di pensiero di quel che sembra  [e infatti sta pure sugli scaffali della libreria da Paola]. E anche un po’ più di tecnica di quella apparentemente dimostrata col mio italiano pulito, senza gli aggettivi roboanti e ricercati della cattiva letteratura oggi pubblicata a palate e a volte persino venduta a palate (ma poi qualcuno li legge per davvero quei libri o si limita a esporli in salotto, come si faceva una volta con le porcellane di Limoges?).

Per quanto riguarda il pensiero nascosto dentro il mio libricino, posso senz’altro citare Marx e per l’appunto l’esercito industriale di riserva, che oggi prende il nome di precariato. Chi ha un contratto di lavoro a tempo indeterminato ha il terrore di finire in un’agenzia interinale (oltre che in metropolitana, vedi sopra) e sarebbe disposto a convivere con un serial killer aziendale pur di non perdere il favoloso benefit di un modesto stipendio a fine mese. Mentre invece i parùn sarebbero disposti a strangolare con le loro mani la forza lavoro pur di liberarsi degli impiegati ancora protetti dall’Articolo 18, tra i quali qualche fannullone si anniderà senz’altro, senza per questo meritare la pena di morte.

Gli impiegati non sono i COLPEVOLI della crisi cialtronesca del capitalismo italiano, che sta affondando – insieme alla Guardia di Finanza – sotto la sua incompetenza e corruzione.

Gli impiegati, e tutti quelli che guadagnano meno di duemila euro al mese, spendono fino all’ultimo euro del loro stipendio in beni di consumo, e fanno “girare l’economia” per usare una vecchia espressione, mentre invece le tangenti sul MOSE finiscono su qualche contro cifrato in Svizzera e Lussemburgo e non fanno girare un bel niente [se non le balle agli impiegati].

Insomma, essere uno sfigato che guadagna uno stipendio modesto e fa dignitosamente il proprio lavoro oggi è un ONORE che vorrei ci venisse riconosciuto.

Omicidi in pausa pranzo è una storia di sfigati dignitosi che provano a difendersi, ma senza voler prendere il posto dei persecutori.

Girard difende la bellezza della sfiga, perché è molto meglio essere un perseguitato che non un persecutore, e noi ONESTI dovremmo essere orgogliosi di essere solo delle brave persone, anche se non vogliamo fare altro che il nostro onesto lavoro.

Bene, questa era la premessa filosofica protomarxista di un romanzetto che ha vagato dieci anni fra gli editori e alla fine è stato pubblicato da Mondadori.

Per quanto riguarda invece i contenuti letterari – apparentemente abbastanza scarsi – dell’operetta, posso anche qui confessare a Paola, mia vecchia amica, che sono una credente Joyciana, consapevole quindi dei limiti del MIO stile.

E allora ho cercato di scrivere un libro semplice, pulito, senza strafare, senza esagerare.

Non è facile tenere un tono asciutto per tante pagine, la penna ti scappa, vorrebbe fare di più, vorrebbe scrivere di più. Ma tu la tieni ferma perché sai che il tuo stile non è grande cosa. Meglio pensare al lettore, allora. Meglio non rompergli le scatole con una prosa altezzosa e artificiosa.

Meglio scrivere un libretto dignitoso e decente ben riuscito, che non un mancato capolavoro.

Paola, ecco ti ho detto tutto”

 

Inutile dire che Nancy Mitford e Joshua Ferris hanno insistito per lasciare spazio a Viola e quindi li rivedremo un’altra volta. Inutile anche dire che ringrazio Viola per la disponibilità e l’ironia e l’entusiasmo con cui i ha scelto come confessionale anche senza la Marcuzzi. Impiegati e non di tutto il mondo uniamoci! ¡Hasta la victoria siempre! Buona lettura J!

 

[I corsivi all’interno della confessione di Viola sono miei]

http://chooze.it/blog/2014/06/sunday-books-le-confessioni-di-viola-veloce/