
“Il racconto di un’ancella” di Margaret Atwood è un libro geniale da cui è stata tratta una serie meravigliosa.
A Gilead, l’America distopica in cui è ambientato il romanzo, le donne non hanno più il diritto di parola. Nel senso letterale, perchè le ancelle (a cui sono affidati i compiti riproduttivi per conto di una élite diventata sterile) possono parlare solo se interrogate. Vengono spesso imbavagliate per sottolineare il fatto che sono appunto state private della parola.
Orbene, quello della Atwood è un racconto distopico, ma in realtà le donne sono ancora spessissimo invitate a tacere. Il mansplaining del titolo si riferisce infatti a un fenomeno indicato con questo nome solo nel 2008 da un’americana, ma in realtà antico come l’uomo.
Il neologismo mansplaining significa qualcosa del tipo: “Spiegazioni degli uomini” e la la tipa che ha inventato la nuova parola si chiama Rebecca Solnit. La storia è questa. Rebecca, nel 2003, va a una festa a Los Angeles organizzata da un famoso pubblicitario.
Quando glielo presentano, lui le dice: “Ho saputo che hai scritto un paio di libri”.
Lei che ne aveva scritti sei, gli risponde: “Ne ho scritti parecchi, in realtà”.
Il pubblicitario allora le chiede di cosa parlano e Rebecca cita il titolo del suo ultimo libro sul fotografo Eadweard Muybridge. Poi comincia a parlargliene, ma a quel punto lui si ricorda che è effettivamente appena uscito un libro Muybridge e le chiede se lo conosce.
Rebecca si blocca per un attimo, perchè si domanda istintivamente se per caso non ci sia qualcun altro che ha scritto un libro sullo stesso argomento.
Lui allora approfitta della sua interruzione per cominciare a spiegarle pomposamente di cosa parla il libro su Muybridge, mentre un’amica di Rebecca che assiste alla conversazione capisce subito che in realtà sta parlando del libro scritto dalla Solnit.
La ragazza prova per ben tre volte a interrompere il pubblicitario, dicendogli: “L’ha scritto lei!”, ma lui va avanti col suo discorso. Fino a quando finalmente realizza di aver di fronte l’autrice del libro e tace, impallidendo dalla vergogna.
Da qui il termine mansplaining, varato nel 2008, quando la Solnit scrive un articolo per il Los Angeles Times – Men who explain things – in cui spiega che il pubblicitario aveva tra l’altro solo letto una recensione del suo libro sul New York Times Book Review, ma quando lui l’aveva interrotta: “Lei si era sentita invitata ad ascoltare in silenzio le sue spiegazioni”.
Secondo la Solnit, c’è un costante invito di sottofondo perchè le donne stiano in silenzio ad ascoltare gli uomini che spiegano qualcosa di cui magari sanno dieci volte di meno della loro interlocutrice. Sempre secondo la Solnit, la parola delle donne vale meno di quella degli uomini, e alle donne si crede di meno, anche quando subiscono abusi dai loro mariti e compagni (che poi magari le ammazzano…).
Ma io credo che l’invito al silenzio delle donne sia presente DA SEMPRE nelle due principali religioni (cristiana e mussulmana) e sia arrivato quasi intatto fino ai giorni nostri, perchè le donne SANNO benissimo che sono ancora gli uomini che si aspettano di parlare PRIMA di loro se le faccende discusse sono SERIE, mentre invece ai famosi vecchi pettegolezzi viene data via libera (nessun pettegolo, uomo o donna che sia, prende grandi decisioni).
Quando si parla di roba seria, si dà ancora per scontato che le donne debbano manifestare quelle qualità decantate nei romanzi dell’Ottocento: un ascolto deferente verso gli uomini, senza mai interromperli, anche se hanno di fronte qualcuno che ne sa meno di loro.
Una donna che interrompe un uomo che spiega viene percepita come inopportuna e maleducata, mentre invece gli uomini sono abituati a interrompersi e litigare tra loro (su questioni lavorative, per esempio) senza che nessuno li consideri imbarazzanti e indiscreti per il semplice fatto di contraddirsi a vicenda.
Certo, oggi ci sono un sacco di donne che hanno raggiunto posizioni rilevanti anche nelle professioni della cosiddetta area STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics), ma sono sicura che hanno avuto tutte la grazia di infilarsi sinuose e gentili nelle organizzazioni in cui hanno fatto carriera.
Una donna che dimostrasse la stessa aggressività di un maschio sul posto di lavoro verrebbe probabilmente fermata SUBITO: non riuscirebbe neanche a fare il primo degli scalini della sua crescita professionale.
Le donne devono usare moltissimo il cervello per riuscire ad affermarsi, mantenendo sempre i caratteri esteriori della femminilità: sorridenti, accoglienti, senza mai sfidare apertamente i loro interlocutori maschili.
Ma le donne sono stufe di dover usare tutte queste accortezze per non allarmare gli uomini che da loro si aspettano prima di tutto l’ascolto incondizionato. Anzi, le donne sono stufe sia del mansplaining, ma anche del mantalking: gli uomini che parlano troppo. Da uno studio effettuato nel 2004 all’università di Harvard, è risultato che i ragazzi che seguivano i corsi intervenivano il 50% in più delle loro compagne, e avevano il 150% delle probabilità in più di intervenire tre o più volte delle ragazze.
Insomma, le donne non sono ancora così convinte che le loro PAROLE valgano tanto quelle degli uomini.
Ma io vorrei tranquillizzare le mie consorelle: interrompete le “Spiegazioni degli uomini” tutte le volte che potete. Probabilmente non è neanche la prima volta che vi stanno spiegando qualcosa, perchè chi parla troppo, finisce pure per ripetersi.
Parlate voi, invece, che avete di sicuro qualcosa da dire, sulla quale avete sicuramente riflettuto a lungo!
Buon 2021!