Archivio mensile:febbraio 2015

Con il Job Act, contratti di un giorno per tutti!

Mentre Varoufakis – il ministro greco delle finanze, più bello e anglofono che mai – riesce a ottenere quattro mesi di tempo per trattare sulle modalità in cui la Grecia restituirà i soldi che deve all’Europa, noi, in Italia, approviamo il Job Act.

Legge della quel sappiamo poco, perché mancano ancora le misure attuative, anche se i principi fondamentali sono abbastanza chiari e molto graditi dalla Confindustria.  Bombassei, vicepreseidente di Confindustria, ha infatti urlato al miracolo: così l’economia può ripartire, perché i padroni non avranno più paura di trovarsi un “lavoratore legato per la vita“.

Di fatto, l’unica vera novità del Job Act è che il licenziamento economico – che vuol dire tutto e niente, e quindi vuol dire qualsiasi tipo di licenziamento – verrà risarcito con qualche mensilità, da determinare in funzione del numero di anni per il quale un lavoratore è stato impiegato presso la stessa impresa. Le mensilità “di risarcimento” sono poche – 2 per ogni anno di lavoro – e non possono comunque essere più di 24.

Questo permette inoltre agli imprenditori di non correre più il rischio di finire in un tribunale quando licenziano qualcuno, e i licenziamenti hanno un costo certo: al massimo due anni di stipendio.

Tutte le altre “novità” sono panzane.

Vengono aboliti solo TRE dei contratti atipici, quando ne restano in vigore un’altra quarantina, e per le partite IVA non sono previste misure per alleviare il peso fiscale di chi è costretto ad aprirne una per lavorare.

L’UNICA misura favorevole alle nuove assunzioni con il “contratto” a tutele crescenti (quello per cui un licenziamento costa al massimo 24 mesi di stipendio) è che il governo taglierà i contributi agli imprenditori che assumono, nei prossimi tre anni, un lavoratore con il nuovo contratto.

Insomma, l’incentivo VERO del Job Act è quello di far pagare di meno il lavoro (agli imprenditori italiani), se la smetteranno di utilizzare i contratti a termine quando impiegano un lavoratore.

Oggi, infatti, l‘85% dei nuovi contratti di lavoro è “a termine”, e Renzi spera che con i nuovi sconti fiscali agli imprenditori, e con la garanzia di poter mandare a casa un lavoratore come e quando gli pare, le imprese italiane adottino la nuova forma contrattuale, impropriamente definita a tempo “indeterminato”.

Sarà interessante capire se la Confindustria italiana, alla quale il governo pagherà i contributi per i neoassunti nei prossimi anni, risponderà “positivamente” alla nuova legge sul lavoro.

Peccato che a Renzi, e alle nostre imprese, non venga mai in mente che se i lavoratori vengono pagati, spendono!
La “domanda interna” tiene in piedi le aziende del paese, imprenditori compresi.

Se invece, il lavoro è mal retribuito, l’economia va a picco, perché i “ricchi italiani” investono quote troppo alte dei loro profitti in prodotti finanziari. O portano i soldi in Svizzera, come dimostra lo scandalo “Falciani”.

Insomma, è meglio dare 1.500 euro al mese a dei poveri cristi che poi vanno a fare la spesa, che non ingrossare i profitti da capitale, che poi finiscono in un conto svizzero.

Non lo dico solo io, povera crista, ma anche Piketty, nel “Capitale nel XXI secolo”. Che non è un rivoluzionario ma un professore di università.

Ma sembra che in Italia – e qui sono banale – il buon senso sia passato di moda.

In favore di contratti che durano un giorno (ci sono anche questi!), benedetti dal Job Act.

Malinconici e depressi: così siamo diventati

Ho sempre trovato sgradevoli le generalizzazioni, tanto più quando si parla di italiani, o di greci, o di qualche altra categoria molto mal definibile, se non a prezzo di orribili generalizzazioni.

Ma non riesco a non pensare all’Italia e agli italiani come a un grumo doloroso e depresso.
Sono scomparse le buone notizie, non solo dai giornali, ma sembra persino dalle nostre vite private.
Non passa giorno che non senta qualcuno che mi racconta una storia triste e maledettamente vera.
Una persona cara che si è ammalata, un genitore anziano che sta male.
Non sono una bambina e i miei amici hanno i genitori che cominciano a invecchiare.
E nessuno di noi – i miei coetanei – ha veramente grandi motivi di gioia nella sua vita.

Ma sono anche tantissime le persone che incontro e che mi raccontano di avere perso il lavoro.
Anzi, se sono in coppia, magari è stato solo uno dei due ad averlo perso, e i redditi si sono dimezzati.
Le famiglie monoreddito sono poi quelle che rischiano di più: basta un soffio di vento più forte degli altri, e “Sei fuori!“, come dice dice Briatore (meglio Crozza di quello vero).

Nel frattempo, in questo mare di tristezza e lamenti, il governo ha approvato una legislazione sul lavoro che potrebbe causare ulteriori guai.
Il contratto a tutele crescenti, senza nessuna tutela per chi poi esce veramente dal mondo del lavoro, non potrà che avere come effetto quello di abbassare ulteriormente i consumi.

Oggi solo chi ha la ragionevole certezza di non vedere cessare le sue entrate (per un ragionevole periodo di tempo), può decidere di fare dei figli e comprare una casa col mutuo.
Insomma, si può investire sul proprio futuro, in Italia, solo quando hai la certezza di continuare a guadagnare una somma modesta ma stabile.

Chi mai farebbe un investimento su se stesso o la propria famiglia, quando l’incertezza è la condizione nella quale vive?

Sono banale, ma la paura nella quale viviamo ci rende ancora più fragili: accettiamo con molta passività la poca determinazione di una classe politica senza idee, se non quella di farci diventare “moderni”: e cioè più instabili, meno protetti, sottoposti a sperequazioni distributive che fanno solo male all’economia.

Una buona distribuzione del reddito, che favorisca chi LAVORA, porterebbe anche a una buona distribuzione dei consumi.
Briatore può comprarsi anche un paio di yacht, ma è meglio se andiamo tutti a fare la spesa e compriamo le cosce di pollo, la frutta e la verdura, scarpe e vestiti.

Insomma, anche per l’economia è più SANO avere una classe media che consuma, invece di pochi e inetti capitalisti che investono in (cattivi) prodotti finanziari.

Ma ormai l’oscurità di questa depressione nazionale sembra averci buttato tutti giù: siamo tutti mediamente depressi e poco allegri.

Pronti, quindi, ad arretrare ancora.

Basta, bisogna passare all’attacco. Non so cosa riuscirà a fare Varoufakis, il ministro dell’economia greco più sexy di Rocco Siffredi, ma almeno si sta BATTENDO.

Bene, per questa sera ho già detto abbastanza banalità…

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