Archivio mensile:marzo 2023

“Lettera a una professoressa” letto oggi

“Lettera a una professoressa” è un libro collettivo scritto dagli allievi della Scuola di Barbiana, una rivoluzionaria scuola parrocchiale guidata da don Lorenzo Milani, e pubblicato nel 1967, un mese prima che don Milani morisse di un tumore. Il libro infiammò gli animi durante la contestazione studentesca per poi scomparire negli anni successivi, citato malamente (dalla destra) come libello CONTRO la scuola.

Ma nessuno ha creduto nella scuola più di don Milani e così ho pensato di riprendere in mano quel libro brutale per capire se la scuola di oggi assomigli ancora a quella descritta da don Milani e i suoi allievi. Dico subito che l’analisi di don Milani è basata su uno studio di tipo scientifico, ovvero sull’analisi dei risultati scolastici dei ragazzi italiani, classificati in base al titolo di studio e alla professione del padre. In quel periodo, infatti, i bambini venivano COPIOSAMENTE bocciati alle elementari e alle medie. Don Milani si chiedeva chi fossero i ragazzi bocciati.

La scuola in quegli anni faceva STRAGI di innocenti fin dalla prima elementare e don Milani dimostra che a essere bocciati sono i figli dei contadini e degli operai che, dopo le ripetute bocciature, prendevano in fretta la strada dei campi e delle fabbriche.

I “Pierini del dottore”, come vengono chiamati nel libro i ragazzi che nascono nelle famiglie dove c’è benessere e cultura, erano gli unici che riuscivano a finire la scuola dell’obbligo nei tempi prescritti (otto anni) per poi andare all’università.

Certo, cinquant’anni dopo, molto è cambiato. Le classi sociali non sono più semplici e nette come negli anni ’60, il boom economico ha aiutato ad uscire dalla povertà milioni di famiglie italiane. Oggi, nessuna maestra boccerebbe metà classe in prima elementare. Aggiungo che sono state scoperte anche le cause neurologiche per cui qualche ragazzo fa fatica a imparare (la dislessia), ma per molti versi l’ANALISI di don Milani – solo i figli di papà riescono a laurearsi – continua a dimostrarsi VERITIERA anche oggi.

In una ricerca dell’IRAPP pubblicata nel 2020 (“Istruzione e mobilità intergenerazionale: un’analisi dei dati italiani”) si conferma come anche adesso vi sia una RELAZIONE DIRETTA tra il titolo di studio dei genitori e quello dei figli. Per dirlo chiaro, la probabilità di laurearsi per un ragazzo dipende quasi esclusivamente dal fatto che uno dei genitori (meglio la madre, secondo alcune ricerche) è laureato. Altrimenti, sarà molto difficile per il figlio riuscire a prendere una laurea.

Cosa significa il fatto che si nota tuttora la persistenza di un tale dato? Significa che la scuola NON PROMUOVE la mobilità ascendente tra classi sociali, resa possibile con l’ottenimento di un buon titolo di studio. Oggi la scuola italiana sbatte ancora fuori (boccia…) i ragazzi che non sono figli di papà, invece di offrire loro la stessa OPPORTUNITA’ di continuare gli studi concessa solo ai figli dei laureati. La bocciatura è ancora lo strumento preferito per effettuare questa SELEZIONE, anche se adesso non si boccia più alle elementari e alle medie, ma SI BOCCIA ALLA GRANDE nelle scuole superiori: soprattutto negli istituti tecnici e professionali.

I ragazzi “scartati” dai licei (perchè non abbastanza “bravi”) vanno a finire in quelle che oggi sono scuole di serie B, dove poi continua la CARNEFICINA. Io che sono la madre di uno degli scarti (dislessici) dei licei milanesi finito in un istituto tecnico, posso testimoniarlo. Al quinto anno, nella classe di mio figlio c’erano 17 ragazzi, frutto della fusione di due classi di 30 (quindi di 60 ragazzi), di cui erano sopravvissuti appunto solo il 30%. Gli altri sono finiti chissà dove, forse appunto in una scuola professionale, percepite come più “facili” dei tecnici, ma dove (anche lì) le bocciature non si contano.

Non sono dati sparati a vanvera: ci sono le evidenze statistiche che in Italia si BOCCIA molto di più che nel resto dell’Europa. Con il risultato che l’abbandono scolastico nel nostro paese è fra i più alti in Europa: i ragazzi che lasciano la scuola prima di finire il ciclo dell’obbligo sono il 14% (contro un auspicato 10%), con il dato che sembra in forte aumento dopo la pandemia.

CILIEGINA SULLA TORTA (un po’ marcia) della scuola italiana è il numero dei laureati. In Italia è laureato solo il 29% dei ragazzi nella fascia di età compresa tra i 25 e i 34 anni, contro il 41% della media europea. In Irlanda, per fare un esempio, sono laureati il 58% dei ragazzi in quella fascia d’età. Più del doppio che in Italia.

Secondo la ricerca dell’IRAPP, “La modesta quota di laureati che il sistema di istruzione italiano produce è già più che sufficiente a soddisfare la scarsa domanda di lavoro qualificato che il nostro sistema economico richiede. In altre parole, il fabbisogno di laureati del sistema economico è così modesto da non riuscire ad assorbire il pur esiguo numero di laureati”. Questo spiegherebbe anche il fatto che le famiglie non puntino sempre a far proseguire i figli nello studio. Non è detto che una laurea aiuti davvero a trovare lavoro.

Sembra di cattivo gusto parlare di COLPE quando si analizzano i cattivi risultati della scuola italiana, ma di colpe ve ne sono tante, così come sarebbe lunghissimo l’elenco dei colpevoli. Dico solo che negli ultimi anni la NARRAZIONE (parola ormai strausata e fastidiosa, ma chiara a tutti) è stata un po’ semplicistica: la scuola italiana va male perchè gli studenti sono diventati un branco di nullafacenti pigri, avvelenati dai social network e adesso anche da Netflix. Ma non solo, questi pessimi ragazzi sono protetti da genitori distratti e in fondo anche cafoni, pronti a tirar un pugno ai professori se qualcuno mette un brutto voto al figlio o magari gli dà una cattiva nota in condotta.

Certo, esistono ancora degli ottimi licei che selezionano il fior fiore degli studenti italiani di buona qualità, che finiranno per laurearsi e forse andarsene dall’Italia, alimentando la cosiddetta fuga dei cervelli. Ma il problema sono tutti gli altri: quelli che non ce la fanno, quelli che nei test dell’INVALSI si scoprono incapaci di comprendere correttamente un testo di italiano a sedici anni (dati della rilevazione del 2020). Ecco, è colpa loro se a scuola non hanno imparato niente? E’ colpa dei genitori che aleggiano sulla scuola – come si racconta che succeda – promettendo busse e vendetta a chi maltratta i loro figlioli? O forse qualche colpa – leggi responsabilità – ce l’hanno anche la scuola e gli stessi insegnanti? In fondo in classe ci sono loro, non i genitori…

Leggiamo cosa scriveva nel 1967 don Milani, insieme ai suoi allievi, sulle scuole elementari e medie degli anni ’60. La lettera è scritta in prima persona da uno dei ragazzi della scuola (che era una scuola parrocchiale di montagna) alla professoressa che lo aveva bocciato due volte all’esame da privatista per ottenere la licenza media: “Alle elementari lo stato mi offrì una scuola di seconda categoria… E’ il sistema che adoprano in America per creare le differenze tra bianchi e neri. Scuola peggiore ai poveri fin da piccini”.

Sfido chiunque a negare che in Italia esistano ancora scuole di seconda categoria, solo che le “categorie” si sono spostate più avanti: nella scuola secondaria superiore. Tra licei e istituti tecnici e professionale ci sono distanze siderali: difficile passare per la cruna di un ago (laurearsi) dopo essere stato bocciato un paio di volte lungo i percorsi accidentati di chi non è riuscito a entrare in una delle “buone” scuole italiane (dove tra l’altro si boccia poco) e finisce in un tecnico o un professionale.

Rileggere oggi “Lettera a una professoressa” significa riscoprire come VERE molte delle affermazioni di don Milani, anche se sarebbe corretto riferirle alle scuole superiori. Gli istituti tecnici e professionali sono scuole di seconda categoria, per chi non è destinato a laurearsi, dove vengono ANCORA bocciati i figli dei poveri.

Il libro di don Milani è dedicato ai genitori, perchè si devono “organizzare”, com’è scritto nella dedica, così da salvare i loro figli dalle cattive scuole dove sono finiti. Oggi purtroppo si dà nuovamente la COLPA alle famiglie dello scarso rendimento scolastico dei loro figli, e non alla scuola in cui sono capitati. Don Lorenzo non avrebbe mai fatto un simile errore.