Archivio mensile:luglio 2013

Due parole su Fabri Fibra

Dunque, Fabri Fibra è l’idolo di mio figlio. Idolo suona banale, ma rende l’idea.

Tommaso impara le sue canzoni a memoria e guarda quei video zarrissimi in cui Fabri fa vedere i tatuaggi.

Ma il problema non è questo.

Il problema è che il mio vicino di casa – un venticinquenne che abita di fronte alle nostre finestre – adora anche lui  Fabri Fibra e sente le sue canzoni a un volume mostruoso.

Negli ultimi giorni lo sentivo cantare e urlare: “PUTTANA!”  a tutte le ore del giorno e della notte, mentre seguiva una base musicale un po’ rappata.

Non avevo capito che era Fabri Fibra e oggi ho chiesto a un collega se conosceva per caso una canzone italiana il cui refrain fosse “NON FARE LA PUTTANA”!

Lui l’ha beccata subito: era di Fabri Fibra.

Sono stata cretina a non mettere la frase “Non fare la puttana” su Google e fare “Cerca”.

Dunque, la situazione è questa: vivo di fronte a uno che sente venti volte al giorno quella canzone, e quindi urla “PUTTANA” almeno cento volte al giorno.

Adesso sto scrivendo questa parola sul blog e mio figlio di sicuro comincerà a cantare anche lui “NON FARE LA PUTTANA!”, pensando che un musicista della levatura di Fabri Fibra è un gigante musicale della modernità e soprattutto gli stanno molto bene i pantaloni verde acido da rapper lombardo.

Io invece ho la sensazione sempre più VIOLENTA che il crollo sia vicino.

I barbari stanno arrivando – sono forse già dentro di noi – e ci invaderanno – forse dall’interno – trasformando il nostro mondo in qualcosa di molto vicino a Idiocracy, il film di para-fantascienza di Mike Judge.

Da vedere. Sono una fan del Presidente degli Stati Uniti, Camacho. Ex-attore porno, campione di wrestling e Presidente di un paese dove si beve solo una bibita verde con gli elettroliti. Che piacerebbe a Fabri Fibra.

Avremmo evitato l’Olocausto, se gli organizzatori fossero stati italiani

Regalo tutte le volte che posso una copia delle “Benevole”, il romanzo di Littell  sull'”organizzazione” dell’Olocausto.

Un libro geniale sulle tecniche – piscotiche – di sterminio messe a punto dai nazisti, che si rivelarono così efficacemente pericolose proprio perché sostenute da una rigida organizzazione.

Eichmann compilava le liste di chi doveva salire sui treni usando i dati di un censimento fatto nel ’39 con le Hollerith Machine (schede perforate), messe a punto dalla Branch tedesca dell’IBM.

Ebbene: io ho la CERTEZZA che se un tale compito fosse toccato agli italiani, sui quei treni non saremmo riusciti a far salire neanche un cane.

Letteralmente.

Ma non perché siamo buoni – ce lo riconosceva persino Hannah Arendt nella “Banalità del male” – ma perché siamo disorganizzati.

Adesso faccio un salto logico e temporale per dimostrare la mia asserzione.

Ieri mattina, ore 9.

Partenza del figlio scout per le VDB (vacanze di branco).

Destinazione ignota fino a una settimana prima, quando i genitori scoprono che la casa dove saranno ospiti è a 1.400 metri di altezza e ad almeno due e ore e mezza di macchina da Milano.

Noi andremo a riprenderli dopo una settimana e faremo con loro una grigliata. Poi ritorneremo a Milano (ognuno con la sua macchina).

Allora, ricominciamo.

9 del mattino. I ragazzi salgono sull’autobus e noi mamme facciamo due chiacchiere con l’autista.

Scopriamo che per non trovare traffico  (la domenica successiva) dovremmo partire alle sei – consiglia l’autista – o al massimo alle sette.

Ci guardiamo nelle palle degli occhi – noi mamme – mentre salutiamo l’allegra brigata che parte per le VDB.

Comincia a serpeggiare il dubbio – espressione trita ma adatta al contesto – che il viaggio di andata e ritorno potrebbe superare le cinque, sei ore di macchina.

Io sbotto: “Non andiamo a riprenderli! Non muore nessuno se non facciamo la grigliata!”.

Qualche mamma prova a darmi ragione: “Sì, paghiamo la differenza e tornano in autobus!”.

Interviene un papà, più sentimentale: “No, non possiamo non andare, glielo abbiamo promesso!”.

Un’altra mamma gli dà ragione e butta lì la proposta: “E se andassimo in treno fino a Brescia e poi noleggiassimo un autobus? Così evitiamo gli ingorghi sulla Milano Laghi!”.

La proposta piace, piace molto.

Contattiamo subito l’autotrasportatore dei nostri Lupetti per farci fare un preventivo.

Un gruppo di mamme si reca quindi in un bar lì vicino per mettere a punto il piano del viaggio “treno + autobus collettivo”.

Mandiamo l’email  (dal bar) usando addirittura Siri.

Una mamma compila su una busta l’elenco dei possibili partecipanti.

Facciamo qualche telefonata: siamo 30!

Ce l’abbiamo fatta! Partiamo col bus!

Ci salutiamo soddisfatte: siamo delle PERFETTE organizzatrici!

Ma passano poche ore e scopriamo che l’autobus non arriva fino alla casa scout, perché negli ultimi dieci chilometri la strada non è percorribile.

L’autista che ci doveva portare nel paesino confessa che “sono venuti altri mezzi” a prendere i nostri ragazzi per portarli a destinazione.

Una mamma manda quindi un’email dicendo che non possiamo noleggiare l’autobus da 30, ma ce ne vogliono due piccoli, altrimenti gli ultimi dieci chilometri ce li dobbiamo fare a piedi.

Un’altra mamma – IMPAVIDA – tenta addirittura di fare una lista (per email) dei possibili passeggeri dell’autobus – uno o due, non si sa quanti – che arriveranno alla casa scout.

Nel frattempo, continuano ad arrivarmi email di persone che rispondono: “Sì, che bello, verrò in autobus”, mentre altri dicono: “No, grazie, vado in macchina!”.

La lista non viene compilata da nessuno e rimane, come si suol dire, LETTERA MORTA.

Ma io sono fiduciosa: alla fine ce la faremo ad arrivare alla casa scout, probabilmente ognuno per conto suo, ognuno sulla propria macchinetta, magari aggregandoci a piccoli gruppi.

Adesso torno finalmente alla premessa iniziale. Credete veramente che saremmo stati capaci di fare il censimento – su schede perforate – della popolazione di origine ebraica residente nei territori del Terzo Reich, nel caso in cui l’Italia ne avesse fatto parte?

Credete veramente che saremmo riusciti a compilare le liste di Eichmann?

No, impossibile.

Ma non solo perché non siamo così cattivi – la Arendt aveva ragione – ma anche perché non ne saremmo stati capaci (anche se abbiamo fatto lo stesso le leggi razziali).

“Always Look on the Bright Side of Life”, come cantavano i Monthy Pyton.

Mi consenta: sono prima di Carrisi

Sono cresciuta sotto l’egida del “Chi si loda s’imbroda”, e penso anche adesso che l’understatement sia una cosa di buon gusto che aiuta a vivere meglio.

M penso anche che sia uno di quei principi – “Non farti notare troppo!” – imposti da genitori onesti e severi, che poi ti tengono al palo tutta la vita.

L’unico scherzo dadaista consentito – dalla mia severa educazione basata sulla repressione dell’egocentrismo bieco e volgare che poi è anche quello ti fa fare carriera – è stato di scalare le (misere) classifiche degli ebook italiani con i miei 130 euro di budget pubblicitario.

Forse adesso sono anche qualcosa di più di 130, perché ho fatto un’altra campagnuccia sul romanzo twittato (che non si caga nessuno).

Ma in un Italia familistica e borghese, dove le relazioni contano più delle performace, non è una cattiva soddisfazione dare una pugnalatina alle spalle a uno degli autori più pompati dal marketing librario.

Sono (ancora) prima di Carrisi, in una classifica fatta di poche centinaia di copie di ebook venduti, che però è solo una pallida ombra di quanto succederà in futuro, quando le generazioni digitali saranno diventate grandi e, se mai leggeranno qualcosa, sarà solo in formato digitale (probabilmente crackato).

La parola che dice più spesso Tommaso è infatti “crackare” e il suo sogno sarebbe quello di crackare tutto.

Copiare un file è molto facile, e il prezzo per scaricarne legalmente uno è quello della fatica che NON fai ad andartelo a cercare su emule.

Libri e musica si possono copiare, come i film, e i loro prezzi scenderanno.

Ecco perché l’autopubblicato, che costa poco, può vendere più copie di un romanzo che invece costa 10 euro e che probabilmente trovi in PDF su non so quanti siti peer to peer.

Non so come andrà a finire, e non so se vedrò come andrà finire, ma credo che i tempi saranno veloci (per far scendere i prezzi e buttare fuori chi costa troppo).

Forse ha ragione Lessig, il creatore di Common Creative, quando dice che in futuro il copyright non verrà più pagato “direttamente”.

Diventerà una tassa che tutti pagheremo allo stato per scaricare liberamente tutti file digitali presenti sulla rete.

I detentori dei diritti dei file che sono stati scaricati MOLTO riceveranno quindi dallo stato delle Royalty maggiori di quelli che sono stati scaricati POCO.

Pensare che si possa diventare immensamente ricchi con il copyright è un pensiero vecchio e cattivo che CHIUNQUE  si dovrebbe togliere dalla testa.

Mancano pochi secondi alla fine del mondo (come dice il mio amato FINTO CASALEGGLO su twitter).

Bah…

Tentativo di twittamento dei romanzetti. Ci metto sei ore a scrivere un tweet. E poi mi pare pure brutto. 

Ma non sarebbe stato meglio se mi fosse piaciuto cucinare?

Almeno facevo le lasagne a Tommaso, invece di perdere le ore sul PC.

Povero amore: questa sera ho buttato una confezione di condimento per insalata di riso (marca Carrefour, ho anche speso poco) sul riso bollito e lui ha gradito la ricetta.

Ha detto: “Mamma, che buona!”. Era contento, proprio.

Devo dare la ricetta alla mia amica dei toast. 

Anche lei è sempre alla ricerca di squisitezze al volo (da fare al marito).

Ci provo: twitto i miei romanzetti!

Credo che nessuno possa avere ragionevoli dubbi sul fatto che sono grafomane.

E nessuno – a cominciare da me – ha mai pensato che la mia scrittura valga anche solo un milionesimo di quella di Franzen.

Ma non riesco a non scrivere anche se – lo giuro! – prima dell’avvento dell’internet facile (quello in cui ti fai un sito in cinque minuti), la mia grafo-psicosi era contenuta.

MOLTO contenuta.

Adesso, invece, sto svuotando i cassetti e pubblicando tutto quello che è uscito dalla mia penna negli ultimi anni ed è stato bocciato –  in lungo e in largo – dagli editori.

Dopo gli ebook – more are coming – ho cominciato anche a twittare i miei romanzetti, tutti con il loro bell’hasthag.

Posso sinceramente dire cosa penso dei miei Twett? In particolare di quelli sui romanzetti?

SONO BRUTTI!

Twittare è difficilissimo.

Devi essere un battutista, come lo era Flaiano, giocare sui nonsense, sulle assonanze, sui calembour e poi devi dire cose INTELLIGENTI.

“Rinnovare turismo. Ricollocare Corsica in Adriatico” è una delle tante battute geniali del collettivo che sta dietro al finto profilo di Casaleggio.

Ma per una delle loro battute, ci sono milioni di Tweet orripilanti e mal scritti, tutti tristemente autoriferiti, come quelli sui #bimbiminkia,  #quellochemiamadrenonsa o #unacosachenonsaidime,  a cui aggiungerei volentieri #nonmensbatteuncazzodite.

Ma io resisto, resisto anche su Twitter, resisto nel professare la mia mediocrità di cui sono per lo meno consapevole.

Insomma, vado avanti serena a scrivere cazzate, che tanto a Milano non c’è il mare e non sai dove cazzo andare.

TENGA DURO SIGNORINA!”,  me lo diceva sempre Cristina, citando uno dei nostri romanzi preferiti, “Il diario intimo di Sally Mara” di Queneau.

Lei sì che sapeva tener duro: mai avuto paura di nulla.

Sono la madre di un “vendicatore”

Questa mattina, mentre stavo accompagnando Tommaso al centro estivo, ho avuto la bella notizia.

Sono la madre di un “vendicatore“.

Eravamo sul tram e Tommaso mi ha detto: “Ho fondato il mio clan”.

Io sapevo di cosa stava parlando: il gioco online sul quale perde probabilmente una diottria la giorno.

Sapevo che aveva già cambiato clan un paio di volte (i clan sono gruppi di giocatori che si coalizzano contro gli altri), me non immaginavo che ne volesse fondare uno tutto  suo.

“E come si chiama?”, gli ho chiesto.

“I vendicatori”, mi ha risposto il giovane capo-clan.

Ho cercato di strappargli qualche notizia in più sul perché avesse scelto un nome così sanguinario, ma non gli ho tirato fuori una parola.

So che su un altro gioco online si era soprannominato “Il killatore” e non oso immaginare quali altri appellativi abbia scelto per giochi di cui magari non so nulla.

Ordunque, Tommaso non ha l’aspetto del “killatore”, anzi è leggermente sovrappeso, tendenzialmente buono, fondamentalmente gregario.

Non so dunque cosa lo spinga ad assumere in rete identità così minacciose, ma, se proprio devo dirla tutta, io sono TRANQUILLA.

Il fatto che gli piacciano gli “sparatutto” non lo farà diventare un serial killer.

Il pericolo è altrove: nella malefica dipendenza che danno i videogiochi.

Ai ragazzini piacciono perché sono velocissimi e attivano non so quali aree corticali – pare molto superficiali- che li riducono a delle specie di autonomi sempre leggermente sovreccitati.

I videogiochi non li fanno ragionare, ma li fanno “reagire” a stimoli che loro imparano molto velocemente a riconoscere e  manipolare.

Io non riuscirei a imparare come si usano gli “sparatutto” con la velocità con la quale impara Tommaso.

Di fronte a qualcosa di nuovo ragiono. Analizzo. Studio. Comprendo. E quindi sono lenta.

Loro, i nostri figli, associano. Correlano un’azione a un risultato, un’azione a un simbolo. E poi, senza CAPIRE, agiscono.

Non so chi alla fine avrà ragione.

Se noi, con il nostro procedere lento e logico, o i nostri figli, con le loro folli corse associative.

Mi auguro, per chi ci seguirà, che funzionino meglio  i nuovi sentieri del pensiero, un po’ ondivaghi, dei giovani vendicatori.

Me lo auguro, ma non so quanto ci scommetterei sopra.

Scherzi da prete: sono in classifica su Amazon con 130 euro

Mi rendo perfettamente conto di come la mia stolida insistenza sui libretti che scrivo possa apparire ridicola, soprattutto quando l’Occidente sta affondando sotto un mare di debiti.

Passo le giornate a spiegare a Tommaso che deve fare i compiti delle vacanze, perché sennò da grande friggerà gli hamburger in un McDonald’s di Pechino.

Sono preoccupata, per davvero.

Ma poi, la sera, mi lancio lo stesso sul web a pastrocchiare con le mie stupidatine.

Mi divertono, come si divertono i preti  fare gli scherzi.

L’espressione “scherzo da prete” significa infatti fare uno scherzo in cui si diverte solo quello che lo fa, quando invece lo scherzo dovrebbe divertire entrambi: scherzante e “scherzato”.

Il mio scherzo da prete è il seguente: con un budget pubblicitario di circa 130 euro, sono finita in classifica su Amazon, settantesima nei Top 100 ebook  e ventesima nei gialli, davanti a colossi editoriali (senza fare nomi), che hanno speso l’ira di Dio per le loro promozioni.
Mi diverto, quindi, solo io. Gli editori, invece, no.

Certo, stiamo parlando di ebook – ok! – quindi numeri molto piccoli.

Ma è interessante che un moscerino come me riesca a infilarsi in una classifica VERA, che mescola (all’americana) chi è stato pubblicato da un editore con chi si è autopubblicato.

Perché, da questo punto di vista, gli anglosassoni sono fair: se vendi una copia, quello che conta è che tu  l’abbia venduta.
Non gliene frega niente di chi tu sia o in quale compagnia (editoriale) tu sia.

E i bookstore anglosassoni mescolano bellamente tutti quelli che ci vogliono provare (a pubblicare qualcosa)

La “famiglia” non conta: a TUTTI viene data una possibilità.

E così, io, MOSCERINA , sono riuscita a salire in groppa all’elefante e fargli un giro intorno alle orecchie, ronzante di allegra felicità (solo mia).

Naturalmente, l’elefante darà un’orecchiata e mi schiaccerà contro la sua pellaccia setolosa, ma io morirò contenta, pensando che sono salita fin lassù, e gli ho dato un po’ di fastidio.

E’ il web, bellezza.

Ma questo lo dico tutte le volte.

Champagne! 500 copie regalate!

Festeggio or ora la cinquecentesima copia regalata durante la promozione su Amazon di Omicidi in Pausa Pranzo.

A cosa serverà tutto questo lo sa solo Iddio.

L’autore esordiente viene scaricato gratis, e poi subitamente dimenticato.

Oddio, qualcuno anche meritatamente – ci sono dei titoli TERRIBILI – ma altri non se lo meritano, suvvia.

Ma come fai a comprare qualcosa di cui non conosci l’esistenza?

Chi scova un libro finito al seimillesimo posto in classifica?

La pubblicità serve proprio a questo: a mostrare il prodotto.

Senza investimenti pubblicitari non vendi un belino di niente.

A meno che tu non sia veramente bravo o veramente divertente.

Allora parte il passaparola, che però è molto molto lento.

Ma anche le grandissime case editrici fanno ENORMI INVESTIMENTI in pubblicità.

Mentre l’autopubblicato è povero in canna.

Insomma, senza diventare visibile non puoi vendere nulla.

Sumsum corda.

Consigli per autori esordienti sconosciuti

Sono riuscita con una serie di piccoli intrugli a convincere qualche centinaio di persone a scaricare “Omicidi pausa pranzo” GRATIS su Amazon.

E adesso sono prima nei Gialli (gratis).

Poi vedremo se riuscirò a resistere nella categoria di quelli a pagamento.

Ma qual è il primo e PRINCIPALE ingrediente del metodo per regalare e poi forse vendere l’ebook scritto da uno sconosciuto e sfigatissimo esordiente?

Il PREZZO.

Nessuno paga volentieri per comprare il libro di uno sconosciuto (il concetto è quello di “non compro a scatola chiusa”).

Su Amazon puoi offrire gratis il tuo ebook per 5 giorni su 90 se entri in KDP, e cioè accetti di non pubblicarlo su altre piattaforme.
E io l’ho fatto.

Dopo di che, devi fissare il prezzo a MENO di un euro, e sperare che quando finisce la promozione te lo compri qualcuno di quelli che leggeranno le critiche di chi ha scaricato il libro gratis.

Se non hai scritto una schifezza è meglio, naturalmente, ma fai meno fatica a vendere una schifezza che costa poco (scritta da uno sconosciuto) che non un capolavoro (sempre di uno sconosciuto) che costa anche solo un paio di euro.

L’esordiente ha un’altra possibilità per riuscire a vendere i suoi libri: può diventare social, e cioè sperare che i suoi lettori parlino di lui, possibilmente sul web.

Il modello è quello dei frattali: ogni lettore consiglia il tuo ebook (che costa meno di un euro) ad altri due, che lo comprano e a loro volta lo consigliano ad altri due (che adesso sono diventati quattro), e così via.

Ma diventare social è difficilissimo e soprattutto è LENTISSIMO.

Ma perché l’esordiente alla fine ce la può fare a stare in piedi?

Perché non ha dietro una casa editrice!

Le case editrici costano: affitti, stipendi, dirigenti, auto aziendali, alberghi, premi, cene, eccetera.

E quindi le case editrici non possono abbassare i prezzi. Neanche degli ebook, perché farebbero concorrenza alle loro edizioni cartacee.

Ma io mi chiedo: quanti sono i lettori che si possono ancora permettere di spendere 100 euro al mese per i libri?

Secondo me, quasi nessuno.

Chi compra un Kindle, un Kobo, eccetera, è un lettore FORTE che vuole spendere MENO per leggere TANTO.

E va a caccia di ebook carini che non costino troppo.

I libri/ebook dovranno costare sempre meno per essere appealing.

E solo noi, sfigatissimi esordienti, ci possiamo permettere di costare così poco, perché scriviamo per hobby e perché con i nostri profitti non dobbiamo mantenere dei Direttori editoriali.

Quindo, miei cari esordienti, fatevi coraggio e tenete i prezzi bassi.

Con 100 euro di spese di marketing potete far concorrenza ai grandi colossi editoriali e fare DUMPING con le promozioni.

Per quanto riguarda i MIEI metodi di marketing, li cambio e li perfeziono ogni volta che lancio o rilancio un ebook.

Non sono ancora riuscita a diventare social, ma forse perché non sono brava. Il prodotto “virale” che scatena il passaparola deve essere carino, e io forse sono un po’ troppo cattivella per piacere a tutti.

Ultimo consiglio: state lontani dai concorsi letterari organizzati dalle case editrici.

Prima di tutto, perché per partecipare a un concorso dovete cedere i diritti, mentre invece su Amazon, iBooks, eccetera, i diritti rimangono a voi, e perché nei concorsi gli esordienti vengono di fatto tenuti separati dal mercato editoriale, che utilizza altri canali, tra cui appunto Amazon e iBooks.

Sui grandi canali online americani nessuno separa gli autori delle case editrici da quelli autopubblicati: un ebook vale un altro.

Da questo punto di vista, il sogno (protestante) di dare a TUTTI una possibilità vale anche per gli sconosciuti esordienti, che possono misurarsi con i grandi editori e tirargli anche quale pugnetto in faccia.

Sempre e solo grazie al WEB, naturalmente, perché scrivere, commentare, pubblicare, eccetera, è diventato facile e quasi gratis.

Sono bastati 10 anni per cambiare il mondo. E siamo solo all’inizio…

Devo friggere l’iPad? Oppure il gatto?

Negli ultimi anni il web è diventato facilissimo. Aprire un blog è uno scherzo da ragazzi. Difficilissimo invece farsi notare.

Bisogna essere DADA, inventarsi qualcosa di nuovo.

Come il fotografo che ha fritto il suo iPad, più un iPhone, più un paio di cuffie, dopo averli diligentemente passati nella pastella.

La galleria di fotografie FRITTE pubblicate sul Corriere di oggi era effettivamente molto suggestiva e me la sono guardata subito.

Ma in fondo tutto  è DADA, anche essere un po’ sfigati, e ho rifatto la stessa foto con il mio iPad, ma senza passarlo nella pastella e friggerlo veramente.
Non me la sono sentita di lanciare la moda: “Friggi VERAMENTE  il tuo iPad per farti notare da qualcuno!”.

iPad

Perché bisogna dire la verità: sul web oggi si scrive tanto (e si fotografa altrettanto).

Anche  la bacheca/diario di Facebook potrebbe essere definita una forma di “microblogging”.
Chiacchieri online con i tuoi amici ricorrendo a post brevi, quasi sempre accompagnati da una foto.

Poi c’è Twitter, dove un Tweet postato due minuti prima è già vecchio, e i giornali implorano i loro lettori di intervenire, inoltrare, condividere gli articoli.

Ultimo nato, il Passaparola del Corriere, tutto bello verde.

I Blogger laureati – quelli che bloggano sulle pagine di giornali importanti – si litigano i lettori che ormai dovrebbero postare i loro  commenti dappertutto, perché un blog poco commentato potrebbe essere depennato dall’editore.
La mia solita domanda è sempre la stessa: PER UNO CHE SCRIVE, QUANTI LO LEGGONO?
Ormai il il rapporto è UNO A UNO, e chi scrive deve per forza commentare qualcun altro.

Quindi, orsù, datevi da fare!

Per ogni commento che postate, fate un Più-uno al post di qualcun altro.
Per ogni gatto che fotografate, commentate la foto del gatto di un altro.

Per ogni figlio – vostro – che fotografate, dite che è bellissimo il figlio di un altro.

SIATE GENEROSI!
AMATE E PIU’-UNATE IL VOSTRO PROSSIMO!
Anche chi non vi sta troppo simpatico, perché egli, un giorno, potrebbe Più-unare anche voi!

Non lesinate i vostri Più Uno e i vostri commenti, perché a tutti piace essere commentati e Più-unati.Guardate come suona bene il Discorso della Montagna, se sostituiamo la parola “amare” con “Più-unare”:  Più-unerai  il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: Più-unate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Infatti se Più-unate solo quelli che vi Più-unano, quale merito ne avete?”.

E poi i gatti ce li ho anch’io. Io ADORO i gatti. E non vorrei doverli friggere in padella (passati nella pastella, coi peli) per farmi notare da qualche caporedattore.

Scambiamoci un Più-uno di pace e chiudiamola lì (senza friggere niente e nessuno).