Archivio mensile:ottobre 2013

La fabbrica degli asini ovvero la squola italiana

Sconsiglio la lettura del post agli insegnanti, anche se sono figlia di un’insegnante e non ho particolari antipatie verso la categoria.

Anzi, credo di assomigliare molto a mia madre che mi interroga ancora – a sorpresa – sui verbi latini, di cui peraltro non ricordo una beata mazza.

L’ex-professoressa è capace di chiedermi: “Che tempo è vincunto?” (l’ho appena trovato su Google, io ODIO i verbi latini), mentre siamo seduti a tavola.

Io naturalmente non so rispondere, perché la mia generazione studiava poco e il latino non andava più giù a nessuno.

Ricordo ancora la sfilza di “2” che prendevamo dall’insegnante del liceo, cattiva come la fame.

Quando l’orribile profia si ruppe una gamba e la bidella venne a darci la buona notizia, noi balzammo in piedi come un sol uomo, urlando di gioia.

Tutta la classe gridava di felicità – qualcuno batteva i pugni sul banco, esultante! – mentre la bidella ci guardava allibita. Ma lei non doveva portare a casa i 2 in latino da far firmare ai genitori, e non era quindi così empatica con noi asinelli.

Insomma, la scuola post ’68 sfornava già dei mezzi asini – io faccio parte della categoria – mentre prima ti spaccavano le corna, ma il latino te lo ricordavi per tutta la vita.

Sia chiaro: non voglio tornare indietro.

Si vive un gran bene anche senza tradurre Cicerone.

Ma provate a chiedere a vostro figlio, che magari fa la seconda media come il mio, quanto gli darebbero di resto se andasse al mercato con dieci euro e comprasse due chili di banane che costano un euro e venti centesimi al chilo?

Che probabilità ci sono che vi dia la risposta giusta?

Facendo il calcolo a mente?

Il 50%?

Non di più, secondo me.

Ogni tanto faccio qualche domandina a sorpresa ai ragazzini – proprio come mia madre – e spesso ottengo di risposta solo degli occhi atterriti che mi guardano come per dire: “Cosa vuole da me questa pazza?”.

Provate anche voi.

Chiedete a un alunno delle medie quanto è un terzo di centocinquanta.

Vedrete di nuovo l’occhio spento della triglia che si guarda intorno per capire come nuotare via, lontano dal barracuda che lo interroga.

Potete rifare gli stessi esperimenti statistici con l’analisi logia e quella grammaticale col rischio, però, di spaventare per sempre il branco di triglie, che vi girerà alla larga.

Triglie con le orecchie d’asino, allevate tutte nella scuola italiana dell’obbligo.

Non voglio negare le possibili punte di ECCELLENZA (parola che detesto) o l’esistenza di alunni meravigliosi che hanno avuto la fortuna di incontrare dei favolosi insegnanti, ma la scuola italiana oggi produce una nuova razza asinina che non è in grado neanche di fare la spesa al mercato, perché non sa calcolare a mente quanto devono darti di resto per i due (già citati) chili di banane.

I nostri figli potranno andare solo all’Esselunga, dove le cassiere dispongono di registratori di cassa che calcolano anche il resto (e sei sicuro che non ti stanno fottendo).

Eppure mio figlio ha passato interi week end a fare centinaia di operazioni in cui doveva cambiare il colore della penna ogni volta che passava dalle unità, alle decine, alle centinaia, eccetera.

Anche l’analisi logica era fatta con i colori: il predicato azzurro, il soggetto rosso, eccetera.

E se gli chiedevi di fare l’analisi logica di una frase, lui ti rispondeva: “Azzurro, verde, rosso!”.

E poi ci sono quei bellissimi libri di testo in cui devi mettere una crocetta su: “Vero” o “Falso”.

50% di probabilità di prendere 5 se rispondi a caso. Con un po’ di fortuna puoi anche prendere 6: ti fai bendare da un compagno di classe e crocetti a caso, sperando che ti vada bene, come al Casinò.

Ma anche i programmi scolastici non scherzano: l’anno scorso, Tommaso, in prima media, ha studiato le figure retoriche, tra cui la sineddoche.

Mio figlio non ha ancora capito bene cos’è un pronome, ma almeno gli hanno spiegato cosa sono le metafore e qual è la differenza con l’allegoria.

Anche se non so quanto possa essergli utile.

Perché da grande, andrà a raccogliere i pomodori.

E nessuno gli chiederà se pomodoro è nome o aggettivo.

(Il discorso sulle ragioni di un tale disastro è piuttosto complicato. Ne riparleremo.)

Gli amici conosciuti sul web

Quello della amicizie che nascono sul web è un fenomeno nuovo che verrà sicuramente indagato dai sociologi, come è già stato indagato quello degli amori nati sul web.

Sì, perché sul web puoi conoscere anche dei nuovi amici, così come conosci dei nuovi amori.

Gli amori sul web non nascono solo sui siti di appuntamenti online, dove gli utenti vanno dichiaratamente alla ricerca di storie d’amore, ma possono innestarsi su comuni passioni di utenti che si “conoscono” in rete, perché sono appassionati delle stesse cose.

Se ti piace il teatro e segui un blog di teatro, potresti chattare con qualcuno che ha visto uno spettacolo che ti interessa. E poi magari potresti incontralo, e poi forse potresti sposarlo…

Insomma, il web ha l’immenso potere di mettere in contatto persone che hanno le stesse passioni, hobby, interessi.

Persone che PRIMA del web non si sarebbero mai incontrate.

Ecco, la mia tesi è che sul web possano nascere anche delle nuove amicizie, proprio come nascono gli amori.

Amicizie che partono da interessi comuni e poi crescono a colpi di email, di scambi telefonici, fino a quando incontri il nuovo amico, anche se a volte abita lontanissimo e vedersi può essere difficile.

La mia attuale web-amica è Lilia Carlota Lorenzo che pubblica come me libri su Amazon.

L’ho incontrata su un forum di scrittori che si autopubblicano e cercano di darsi una mano a vicenda.

Lilia mi è piaciuta subito perché era generosa e condivideva sulla sua pagina di Facebook  i libri degli altri scrittori con una prodigalità rarissima sul web.

La volevo ringraziare perché era stata gentile anche con me, parlando bene delle mie operette.

Allora le ho scritto un’email.

Lei mi ha risposto subito.

Ho pensato: com’è diretta e senza fronzoli. Mi piace!

Ho cercato la sua biografia sul web, perché non sapevo nulla di Lilia.

La biografia era divertente, diretta, eccentrica, sincera, interessante.

Strano, ho pensato, scoprire cos’ha fatto una persona su Google Plus.

Allora le ho scritto ancora.

Lei mi ha risposto subito anche quella volta.

E ormai ci scriviamo tutti i giorni da qualche mese.

Ci stiamo raccontando le nostre vite per email.

Mi piace il modo in cui Lilia parla di sé.

Non nasconde nulla, non racconta balle.

Ci sono dei giorni in cui io e Lilia ci scriviamo anche dieci volte al giorno.

Spero di incontrarla presto, anche se non so quando vedrò la mia web-amica.

Il suo libro è come lei. Sincero. Diretto. Senza fronzoli.

Si chiama “Il cappotto della macellaia”.

Su Amazon, se qualcuno vuole leggerlo.

E’ un ebook, naturalmente.

Gli stronzi e i social network

I social network sono un formidabile paravento per gli stronzi.

Ti puoi inventare una quantità infinità di nomi falsi, collegati a falsi indirizzi email, e poi impestare il web di cattiverie e schifezze sul conto di qualcuno che non ti è simpatico, senza correre guai di nessun tipo.

Puoi inventarti  dei nick cretini da bimbominkia e usarli per infastidire tutti quelli che non ti piacciono.

Certo, se usi parole pesanti e diffamanti, allora il perseguitato può rivolgersi alla Polizia Postale e fare una denuncia.

Ma spesso i perseguitati sono dei ragazzini, o delle ragazzine, che non sono così smart da entrare in un Commissariato per denunciare un “amico” che li insulta su qualche social network.

Ma anche agli adulti può capitare di trovarsi qualche stronzo che, protetto dall’anonimato, parla male di lui o fa commenti cattivi su quello che dice o scrive.

Nel mio caso, mi sono trovata una lunga lista di insulti e parole cattive su Amazon, scritte da utenti che nascevano (e morivano) solo per postare quell’unico malevole commento.

Un utente che fa un unico post – su di me, ma capita anche ad altri autori – è un utente “falso”.

Non è uno dei critici “social” – ce ne sono tanti, alcuni bravissimi – che postano i loro commenti sui social network.

I critici “social” scrivono bene, sono prolifici, e non scompaiono dopo aver postato un’unica critica malevola.

Tutto questo è triste e meschino, e non vorrei essere al posto di chi passa le serate a imbrattare il web per sfogare la sua invidia o qualche altro vizio capitale.

I cattivi sentimenti sono brutti e imbruttiscono chi li prova.

Ma il web ha un lato oscuro, del quale dovremmo forse informare i nostri figli.

Perché uno stronzo – sul web – prima o poi lo incontrano tutti.

E non è facile difendersi dallo stronzo anonimo.

Io sono un’adulta, e me ne sbatto, ma un ragazzino, no, potrebbe soffrire moltissimo.

La cattiveria è uno di quei sentimenti indecifrabili per chi non è cattivo.

Solo lo stronzo capisce le ragioni di un altro stronzo.

Le brave persone, invece, non capiscono lo stronzo.

Ma rimangono delle brave persone, anche se uno stronzo cerca di dargli fastidio.

Per favore, ignoriamo gli stronzi.

Fenomenologia del mini-nerd

Nerd è una parola che adesso suona quasi cool perché i nerd hanno fatto i soldi (vedi il padrone di facebook).

Una volta suonava come: “sfigato che sta sempre davanti al computer”.

Sfigato con i brufoli, che non piace alle ragazze, e che quando sta con gli amici (quelli REALI, in carne e ossa), non sa cosa dire.

Bene, penso di essere la madre di un mini-nerd.

Il questo momento, Tommaso è infatti felicemente assiso davanti al PC insieme ad altri due ragazzotti – a casa loro – che giocano tutti insieme a Dark Orbit (un gioco sfigatissimo con le astronavi).

Sono connessi via Skype e commentano le mosse delle loro astronavi.

Il loro tono di voce è finalmente allegro e vitale.

Sono FELICI. Sono mini-nerd FELICI.

Ma come sono nella vita i tre mini-nerd?

Allora, Tommaso e un altro sono dislessici.

Parlano poco, non hanno voglia di studiare, prendono dei voti bruttini e sono socialmente poco attivi.

Il terzo nerd è il primo della classe, che va bene a scuola, prende dei bei voti, ma è anche lui socialmente disastroso.

Quando interviene sulle chat della loro classe (hanno un gruppo su What’s Up) l’unica cosa che scrive è: “Ciao”.

Punto.

Lo può scrivere anche più volte al giorno, ma le sue abilità sociali non vanno molto oltre il saluto.

Adesso, invece, sento la voce squillante del nerd-primo della classe che commenta tutto eccitato l’abbattimento dell’astronave nemica.

Arrivo velocemente alle conclusioni: non diventi un mini-nerd se hai delle competenze sociali decenti.

Ma non tutti i nerd sono bravi a scuola o destinati al successo.

Qualcuno di loro rimarrà semplicemente uno sfigato che fa fatica a stare con gli altri (e sa usare molto bene il PC).

Cosa sarà da grande mio figlio lo sa solo Iddio.

Probabilmente guadagnerà 400 euro al mese con un contratto a progetto in un’azienda che ha bisogno di un manutengolo per i PC.

Forse, in un altro paese, anche i mini-nerd potrebbero aspirare a qualcosa di più.

Qui, nel paese dei limoni, ho paura che siano fottuti.

(Serata pessimista, ogni tanto mi capita.)

Mailing list ti odio

Ho già largamente pontificato sul fatto che considero il web uno degli elementi fondamentali sui quali si basano la moderne democrazie.

Sì, so benissimo che i gestori delle connessioni sono capitalisti (brutti e cattivi) e aiutano i governi a spiare tutto quello che facciamo e diciamo sul web.

Ma stiamo comunque meglio noi (spiati) che non i coreani del Nord, dove per avere una connessione a Internet devi essere come minimo un generale.

Ammettiamolo, però: noi occidentali, connessi e dotati di smartphone, stiamo cominciando a esagerare.

Non mi riferisco ai social network, ai quali sei libero di partecipare COME e QUANDO di pare (se chiudi Facebook, nessuno ti verrà a disturbare con i suoi post).

Sto parlando delle mailing list, quelle che oggi crescono spontaneamente attorno a ogni attività in cui siamo coinvolti.

Il mio indirizzo email è stato infatti preso d’assalto da tutte le scuole dov’è finito Tommaso, e da quasi tutti i gruppi sportivi ai quali ha partecipato.

Ho ricevuto per anni decide di email al giorno dal Comitato Genitori della sua scuola elementare e poi ho supplicato la responsabile della lista di depennare la mia email dall’elenco.

Sono invece tuttora coinvolta in una furiosa mailing list di condominio, dove uno squilibrato dotato di iPhone manda una mezza dozzina di email al giorno, tutte sgrammaticate e con milioni di punti esclamativi, perché non gli piacciono i colori con cui stiamo ridipingendo le ringhiere.

Qualche email l’ho mandata anch’io, per carità.

Scagli la prima pietra chi non hai mai peccato.

Sono però sempre stata attenta a scrivere email civili, non offensive, e soprattutto cerco di non mandarne dieci al giorno.

Esiste invece un tipo psicologico abbastanza facile da individuare – ormai lo riconosco subito – che si butta sulla mailing list per sfogare tutta la sua repressissima aggressività.

E’ quello che alla terza email ha già insultato qualcuno e definito RIDICOLA  la proposta fatta da qualcun altro, ed è lì pronto a menare le mani.

In genere, è anche lo stesso che scrive di non poterne più di tutte le email che riceve, generate quasi sempre da una sua provocazione.

Nei Forum degli smanettoni questi fenomeni sono già conosciuti da tempo.

Il personaggio che interviene spesso e in modo litigioso viene definito Flamer.

In genere il Moderatore lo sbatte fuori.

Ma nella mailing list di condominio non c’è il moderatore, come non c’è nelle mailing che nascono spontaneamente intorno a qualche attività scolastica e sportiva.

Non so quali consigli dare per difendersi dai Flamer.

In genere ce ne sono uno o due per ogni mailing list.

Quando posso, lascio la mailing list.

Mi è capitato anche di lasciare PER DAVVERO (nella realtà)  qualche gruppo dove c’erano dei Flamer particolarmente fastidiosi.

E sogno spesso di cambiare casa per non incontrare il mio vicino che manda dieci email al giorno sul colore delle ringhiere.

Poi penso che abitare in Corea del Nord o in Siria – senza Internet e sotto le bombe – sarebbe peggio che non ricevere le email dal condomino rompicoglioni.

E allora mi rassegno. E mi consolo.

Mamme gratis (ma stanche) fino a domenica

C’è qualcosa di terribilmente vergognoso nello scrivere un libro autobiografico.

Ti chiedi come sia possibile raccontare agli altri la montagna di vergognosi sentimenti provati durante una vita normale.

Le autobiografie degli ottimisti senza introspezione non interessano a nessuno.

Chi mai vorrebbe ascoltare il racconto di una vita semplice, bella, piatta, dove basta lasciarsi scivolare giù lunghe le piste di un’esistenza scontata e normale?

L’autobiografia diventa interessante solo quando è sincera. E l’autore racconta qualcuno dei suoi imbarazzanti segreti.

Sì, mi vergogno di avere scritto un libro in cui racconto le mie orribili notti in bianco, quando avevo paura di non resistere al pianto di mio figlio.

Una mamma stanca è pericolosa. Il pianto di un bambino è pericoloso.

Persino il più grande antropologo italiano, Ernesto De Martino, raccontava che in Italia esisteva l’usanza, durante il puerperio (40 giorni), di non lasciare mai sola la neomamma.

Le sue sorelle, le sorelle del marito, la mamma, la suocera, stavano con lei per 40 giorni, dalla mattina alla sera.

Per 40 giorni la sollevavano da tutte le fatiche domestiche.

La neomamma non doveva cucinare, pulire la casa, lavare le lenzuola, insomma non doveva fare nulla fino a quando non avesse preso un po’ di confidenza con il nuovo bambino.

De Martino racconta che in alcune zone dell’Italia venivano addirittura sigillate tutte le finestre della casa perché una mamma non cedesse alla tentazione di sbarazzarsi di un bambino che la teneva sveglia con i suoi pianti.

Ma la SANA tradizione del puerperio è stata persa.

Oggi, nelle grandi città dove le famiglie non esistono più, una neomamma rimane a casa da sola con il suo bambino.

Non c’è più una rete di supporto che le dia una mano nei 40 giorni più difficili – ma anche più belli – nella vita di una donna.

Ecco, nel mio libretto racconto di quando sono rimasta da sola anch’io – con un bambino appena nato – e ho avuto paura.

Paura di non capire perché piangeva, paura di non riuscire a farlo smettere.

Ma ce l’ho fatta e sono sopravvissuta.

Adesso Tommaso è diventato grande e mi tira scema.

Ma non ho più paura di buttarlo dalla finestra. Anche perché pesa 60 chili e si saprebbe difendere.

E si sa difendere perché sono stata una madre decente, e l’ho “contenuto”, come dice Winnicot.

L’ho tenuto con me nelle notte terribili in cui non dormiva.

Lo abbracciavo per tutta la notte, fino a quando non si addormentava.

Al contrario di quel metodo barbaro che si chiama “Control Crying” e prevede di far piangere il bambino fino a quando la smette.

Per sempre.

Marcello Bernardi la definiva “risposta autistica”.

Il bambino non piange più perché ha perso la speranza  che una mamma possa consolarlo.

Io ho sempre consolato mio figlio e sono riuscita a non buttarlo dalla finestra.

Se volete leggere le confessioni di una mamma che ha resistito al caos e il bailamme portato da un bebè nella sua vita, potete farlo GRATIS fino a domenica sera.

Attenzione: lettura sconsigliata ai maschi Alfa.

Ecco il link al libro: Mamme bailamme.

Se non avete il Kindle, poetete scaricare il Software Kinlde sul Pc o sul cellulare.

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Doppietta su Amazon: due ebook nei TOP 100

Ho piazzato anche il secondo dei miei ebook nella TOP 100 di Amazon.

E scommetto che riuscirò a piazzare anche il terzo, che va in promozione domani.

Il senso di vittoria vince sulla vilissima pecunia, perché se vendi un ebook a meno di un euro, non ci guadagni quasi nulla.

Ci guadagna soprattutto Amazon, ma i server costano e le bollette elettriche le paga anche Jeff Bezos (non è vero che il digitale non consuma nulla, anzi ci sono i neoteorici della carta che vorrebbero chiudere i data center).

Il punto però non è questo – chi ci guadagna e quanto – ma il fatto che io – vilissimo moscerino autopubblicato – sia riuscita a piazzare DUE ebook in una posizione di tutto rispetto, contando solo sul PASSAPAROLA dei lettori (e su un paio di centinaia di euro dati a Google Adwords).

La ricetta del PASSAPAROLA  – espressione nota ai più – è peraltro sconosciuta, nel senso che non si possono fabbricare libri “virali” seguendo le stesse regole che usi in cucina: 250 grammi di farina, 2 uova intere, eccetera.

Ogni volta che un editore pubblica un libro, non può avere la certezza MATEMATICA che venda un milione di copie.

Neanche io sono mai riuscita a capire come abbiano potuto vendere milioni di copie dei libri francamente schifosi, mentre invece ho amato follemente libri stravenduti che erano però autentiche opere di genio. Ne cito uno:” I fratelli della mezzanotte”, di Salman Rusdhie.

Libro amatissimo, che ricordo ancora perfettamente.

Bellissima la scena dei coglioni fritti in padella di un indiano evirato in seguito a una campagna di sterilizzazione voluta da Indira Ghandi.

Bene, Rusdhie è un genio, e io sono un moscerino.

E adesso voglio dire cosa penso dei MIEI libri.

Beh, secondo me sono abbastanza modesti.

Ho sempre sofferto come un cane mentre li scrivevo.

E stavo ancora peggio quando li rileggevo.

Io amo Joyce.

L’Ulisse è il supremo libro amatissimo.

Come posso amare Joyce e apprezzare quello che scrivo?

Sarei un’idiota. Una cretina immodesta.

Mi riconosco però UNA qualità.

Scrivo libretti leggeri, che van giù come il vinello dei Castelli.

Fanno un po’ ridacchiare, la trama non è niente di che –  ma c’è – e la protagonista è sempre una persona normale.

Insomma, io il lettore lo voglio intrattenere, voglio che sia contento di avere speso il suo euro PER ME.

Non voglio che il lettore pensi:”Questo libro è peggio di un sasso sui coglioni!”.

No, non sono un sasso sui coglioni.

Anche questa è una qualità.

Non voglio sposare un maschio Alfa

Gli editori continuano a vendere tonnellate di libri rosa. Dove succede sempre la stessa cosa.

Un maschio Alfa (ricco, dominante, eccetera) sposa una donna Beta, e cioè più povera e sfigata di lui, che lo conquista per la sua bontà e sottomissione.

Nella vita reale, gli uomini Alfa sposano le donne Alfa, che sono belle, ricche, di buona famiglia.

La favola ROSA prevede invece lo stravolgimento del copione “reale” (quello vero, in cui Giovanni Agnelli sposa Mariella Caracciolo, e non la figlia del giardiniere).

Nei romanzi rosa, infatti, il Principe Azzurro non sposa una Principessa come lui, ma la cameriera – Cenerentola – o la figlia del giardiniere travestita da Principessa per una notte.

Naturalmente, nel corso degli anni, il Principe Azzurro si è trasformato. E’ passato da essere l’aviatore di Liala fino a diventare un amministratore delegato che possiede un paio di atolli in Polinesia.

Nel nuovo genere dei nuovi romanzi rosa erotici, Cenerentola è invece disposta a farsi frustare dal Principe, pur di essere da lui amata e sposata.

Ma perché alle donne piace così tanto il maschio Alfa?

In natura, il maschio Alfa è il capobranco.

L’animale più bello e più forte, che copre tutte le femmine.

E’ il più promiscuo, perché darà la migliore progenie alle femmine del branco.

Il maschio Alfa è quindi fondamentalmente POLIGAMICO.

Il mondo degli umani è pieno di maschi Alfa legalmente poligamici.

Volete che faccia l’elenco dei paesi dov’è permessa la poligamia, o dove è stata abolita da qualche decina di anni?

Vi assicuro che non è divertente essere la prima moglie – la più vecchia – di un uomo che si può permettere di mantenere una dozzina di figli.

Ma anche quando la poligamia non è permessa dalla legge, il maschio Alfa  continua lo stesso a fare danni.

Siccome è il più bello del branco, le donne se lo contendono.

Lui non ce la fa a resistere: il maschio è cacciatore. E se le tromba.

Insomma, le donne che si sposano un FIGO, devono stare con gli occhi aperti.

Tutti i romanzi rosa che finiscono con il matrimonio tra il Principe e Cenerentola, dovrebbero prevedere una seconda puntata in cui raccontano com’è andato a finire il matrimonio.

Bridget Jones, la migliore di tutte le Cenerentole moderne, divorzia ed è cornuta.

Insomma, il sogno di sposare un maschio Alfa è ANCORA appealing?

Non è meglio sposare un maschio Beta, magari non così FIGO, ma che non si guarda troppo intorno alle feste?

Un uomo che non va tenuto al guinzaglio quando vede un’altra donna?

Certo, il maschio Beta ha altri difetti.

Pantofolaio, pigro, poco romantico, riesce però a diventare un marito decente se ci lavori sopra.

Il fatto che non sia seduttivo è comunque una garanzia: non cercherà altre donne, ma preferirà guardare una partita in televisione, mentre la moglie gli sfarfalla intorno.

Il maschio Beta va educato, ma per lo meno è un maschio REALE, probabilmente anche buono.

E poi magari l’avete già sposato, e oggi divorziare è un gran casino.

Bene, se non volete sposare il Principe Azzurro, neanche nelle favole, ma leggere un libro ROSA sui maschi Beta, potete leggere il mio.

Scritto da una che detesta i libri rosa.

Mariti in salsa web.

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E da grande farai il punkabbestia!

Oggi è una di quelle giornate nerissime in cui penso che il destino di Tommaso sia quello di finire a fare il barbone, col cane che gli fa compagnia.

Siamo appena tornati da una partita della squadra di rugby dove l’ho infilato nella speranza che gli spunti un po’ di calda aggressività, ma lui non ha giocato perché si era slogato  il polso a scuola, dopo aver preso una pallonata.

Sulla strada del ritorno zoppicava vistosamente, mettendo giù un piede tutto storto, e sosteneva che gli facesse malissimo una gamba.

Allora ho ricominciato con la storia: “Da grande farai il punkabbestia se non ti metti a studiare, se non prendi le cose più seriamente, se non ti fai venire un po’ di voglia di vivere”.

Questi figli nostri mi sembrano tutti un po’ smonati, smidollati, abituati ad avere tutto quello che chiedono: basta uno schiocco delle dita.

Non so se la mia paura aiuterà Tommaso a capire che fuori fa freddo e i tempi sono bui.

Forse sì, forse no.

Ma non posso far finta di niente.

Questi poveri ragazzi stanno correndo verso il peggiore dei futuri che un genitore si potrebbe augurare.

E non sono neanche pronti a sopportare quello che li aspetta.

Mah, serata triste, non mi viene manco una mezza battuta.

 

Altra roba da buttare: i regali di compleanno a mio figlio

Tommaso ha dodici anni.

E’ nato negli anni terribili in cui i nostri figli sono diventati il target preferito dei signori del marketing.

Ai signori del marketing piacciono molto i bambini.

Per due motivi fondamentali.

IL PRIMO: noi siamo disposti a spendere un sacco di soldi per i NOSTRI FIGLI.

IL SECONDO: i nostri figli saranno i consumatori di DOMANI, e bisogna allenarli a SPENDERE.

Devono imparare molto in fretta a provare dei piccoli piaceri quando comprano cose inutili.

Un ragazzo di dodici anni è già un consumatore fatto e finito, e Tommaso SBATTE VIA tutti i soldi che gli regalano amici e parenti.

Ma non voglio pontificare sul consumismo giovanile, voglio parlare di quello senile, di noi genitori.

Voglio parlare delle camere da letto dei nostri figli, ingombre delle cose inutili che gli abbiamo regalato noi adulti.

Oggetti vari e disparati che bisogna buttare via – continuamente, incessantemente – se vuoi che tuo figlio abbia ancora un po’ di spazio per dormire e fare i compiti sul tavolo della sua cameretta.

Quando Tommaso è nato, non mi aspettavo che la nostra casa si sarebbe riempita delle sue SUE COSE.

E’ stato un processo graduale.

I primi giochi glieli ho comprati io.

Mi ricordo una volta che gli portai a casa un trattore con il rimorchio (a pedali).

Lui lo vide e impazzì dalla gioia.

Il trattore venne usato per un paio di settimane e poi si ruppe.

Finì in cantina insieme a un vecchio triciclo.

Poi cominciarono ad arrivare montagne di altri regali, sempre più grossi, sempre più facili da rompere e che sempre più spesso finivano in cantina anche loro.

Poi ci fu la prima vera festa di compleanno, che organizzai insieme alle mamme di un paio dei compagni di classe dell’asilo dove andava Tommaso.

Avevamo deciso di portare tutti i bambini ai Gonfiabili vicino a San Siro.

Dopo il taglio delle torte, una mamma, più esperta di me, preparò tre seggiole e urlò: “Poggiate qui i vostri regali, per favore!“.

Sulla seggiola di Tommaso si accumularono 20 pacchetti!

Mi ricordo di aver guardato la pira di regali che cresceva e di aver pensato: “Adesso gli do fuoco! Dove mai li metterò?”.

Poi, la stessa mamma esperta urlò: “E’ vietato aprire i regali! I pacchi vanno scartati a casa!“.

Ritornai indietro con la montagna di regali dentro un paio di sacchi, e Tommaso ci mise due giorni interi per finire di scartarli.

Il consiglio della mamma era di buon senso, perché mi ritrovai con montagne di carta e fiocchetti che invadevano la casa, mentre Tommaso scartava i regali e li guardava distrattamente, con la stessa noia di un emiro del Qatar che passa in rassegna le sue Rolls-Royces.

Da quel giorno, ho cercato di combattere contro i regali.

Mi sono battuta perché le mamme si organizzassero in gruppi per fare solo un paio di regali alle feste di compleanno di Tommaso (invece dei venti di prammatica), ma non sono riuscita a impedire che la stanza di Tommaso si riempisse di COSE INUTILI.

E così, almeno una volta all’anno, aspetto che lui non ci sia, e poi infilo dentro a dei sacchi di plastica tutto quello che gli hanno regalato e lui non usa più (e che spesso non ha neanche mai usato).

Cerco di fare dei sacchi intelligenti (plastica e carta), ma molte delle cose che butto via sono INCLASSIFICABILI: né carta, né plastica, ma neanche degne dell’indifferenziato, perché hanno magari qualche parte meccanica in acciaio (e qui ritorno sul tema del post precedente).

L’INCLASSIFICABILE va quindi a finire dentro un sacchetto “separato” che porto in cantina.

Non a marcire, come raccontava Anna della sua amica lussemburghese che si rifiutava di fare la raccolta differenziata e nascondeva il pattume in garage per portarlo di notte nei cassonetti delle zone più periferiche della città.

No, in quel sacchetto non c’è nulla che possa marcire. In genere ci finiscono i telecomandi dei giochi elettronici, più i giochi elettronici in questione.

Quei sacchetti resteranno in cantina fino a quando non li porterò in una RICLICLERIA, luogo mitologico che non ho mai visitato e dove forse c’è qualcuno che sa come disfarsi di tutti i vecchi giochi rotti di Tommaso.

Ma qualcuno è mai stato in una ricicleria?

Esistono veramente?

Sono piene di cittadini responsabili che chiedono in quale bidone buttare i regali di compleanno?

E se smettessimo di fare tutti questi regali ai nostri figli e a quelli delle amiche?

(Ma io sono la prima a continuare a peccare…)