Sono una buona lettrice, credo di avere un naso che sente i profumi più sottili, fatti di virgole messe al posto giusto.
Scribacchio con approssimazione della roba media, che non ho mai preteso di far passare per un capolavoro.
Detesto le scritture pesanti, grondanti aggettivi, avverbi, consecutive barocche e ingarbugliate.
Dovendo scrivere della merda, il consiglio che mi sentirei di poter dare è che sia per lo meno leggibile.
Trovo quindi bizzaro il fatto che oggi vengano pubblicate tonnellate di libri leziosi e leccati, EVIDENTEMENTE destinati al macero.
Sì, magari il critico che ti fa una marchetta lo trovi sempre, se sei un editore rinomato.
Ma non vendi 10.000 copie di roba indigesta e autoriferita, scritta da narcisi che hanno un amico che fa l’editor.
Lo dico senza invidia, chi se ne fotte. Mica faccio la scrittrice. Io lavoro.
Non camperò mai dei miei libretti, quello no, mai.
Però sono orgogliosa di poter dire che non scrivo merda leziosa, e non ho quella patetica passione per le descrizione degli ambienti che tanto affascinano gli scrittori che si ritengono tali.
Abiti bianchi decorati con merletti sottili e trasparenti come la luce, indossati da bambine che si chiamano Albertina oppure Orsolina, e che passeggiano insieme alla zia nei corridoi freschi e ombrosi della vecchia casa avita.
La zia presto rivelerà all’Albertina ormai diventata adulta i tremendi segreti familiari: un incesto, molto probabilmente, commesso dal capofamiglia nobile e ricco, e tenuto nascosto a tutti, a cominciare dalla povera Albertina che di quell’incesto è il frutto meraviglioso e maledetto. Ella morrà, infatti, per un tragico ma provvido incidente – probabilmente affogata – così da portarsi nella tomba la macchia scritta col sangue dei conti De Marinis.
Ecco, di questo genere di roba, scritta quasi sempre dalle donne, sono pieni gli scaffali.
Delle mie modeste, leggiadre e consapevoli porcate, invece, sono pieni i Kindle.
Ma l’ultimo ad accorgersene sarà un editore.
Ci metto i c.