La fabbrica degli asini ovvero la squola italiana

Sconsiglio la lettura del post agli insegnanti, anche se sono figlia di un’insegnante e non ho particolari antipatie verso la categoria.

Anzi, credo di assomigliare molto a mia madre che mi interroga ancora – a sorpresa – sui verbi latini, di cui peraltro non ricordo una beata mazza.

L’ex-professoressa è capace di chiedermi: “Che tempo è vincunto?” (l’ho appena trovato su Google, io ODIO i verbi latini), mentre siamo seduti a tavola.

Io naturalmente non so rispondere, perché la mia generazione studiava poco e il latino non andava più giù a nessuno.

Ricordo ancora la sfilza di “2” che prendevamo dall’insegnante del liceo, cattiva come la fame.

Quando l’orribile profia si ruppe una gamba e la bidella venne a darci la buona notizia, noi balzammo in piedi come un sol uomo, urlando di gioia.

Tutta la classe gridava di felicità – qualcuno batteva i pugni sul banco, esultante! – mentre la bidella ci guardava allibita. Ma lei non doveva portare a casa i 2 in latino da far firmare ai genitori, e non era quindi così empatica con noi asinelli.

Insomma, la scuola post ’68 sfornava già dei mezzi asini – io faccio parte della categoria – mentre prima ti spaccavano le corna, ma il latino te lo ricordavi per tutta la vita.

Sia chiaro: non voglio tornare indietro.

Si vive un gran bene anche senza tradurre Cicerone.

Ma provate a chiedere a vostro figlio, che magari fa la seconda media come il mio, quanto gli darebbero di resto se andasse al mercato con dieci euro e comprasse due chili di banane che costano un euro e venti centesimi al chilo?

Che probabilità ci sono che vi dia la risposta giusta?

Facendo il calcolo a mente?

Il 50%?

Non di più, secondo me.

Ogni tanto faccio qualche domandina a sorpresa ai ragazzini – proprio come mia madre – e spesso ottengo di risposta solo degli occhi atterriti che mi guardano come per dire: “Cosa vuole da me questa pazza?”.

Provate anche voi.

Chiedete a un alunno delle medie quanto è un terzo di centocinquanta.

Vedrete di nuovo l’occhio spento della triglia che si guarda intorno per capire come nuotare via, lontano dal barracuda che lo interroga.

Potete rifare gli stessi esperimenti statistici con l’analisi logia e quella grammaticale col rischio, però, di spaventare per sempre il branco di triglie, che vi girerà alla larga.

Triglie con le orecchie d’asino, allevate tutte nella scuola italiana dell’obbligo.

Non voglio negare le possibili punte di ECCELLENZA (parola che detesto) o l’esistenza di alunni meravigliosi che hanno avuto la fortuna di incontrare dei favolosi insegnanti, ma la scuola italiana oggi produce una nuova razza asinina che non è in grado neanche di fare la spesa al mercato, perché non sa calcolare a mente quanto devono darti di resto per i due (già citati) chili di banane.

I nostri figli potranno andare solo all’Esselunga, dove le cassiere dispongono di registratori di cassa che calcolano anche il resto (e sei sicuro che non ti stanno fottendo).

Eppure mio figlio ha passato interi week end a fare centinaia di operazioni in cui doveva cambiare il colore della penna ogni volta che passava dalle unità, alle decine, alle centinaia, eccetera.

Anche l’analisi logica era fatta con i colori: il predicato azzurro, il soggetto rosso, eccetera.

E se gli chiedevi di fare l’analisi logica di una frase, lui ti rispondeva: “Azzurro, verde, rosso!”.

E poi ci sono quei bellissimi libri di testo in cui devi mettere una crocetta su: “Vero” o “Falso”.

50% di probabilità di prendere 5 se rispondi a caso. Con un po’ di fortuna puoi anche prendere 6: ti fai bendare da un compagno di classe e crocetti a caso, sperando che ti vada bene, come al Casinò.

Ma anche i programmi scolastici non scherzano: l’anno scorso, Tommaso, in prima media, ha studiato le figure retoriche, tra cui la sineddoche.

Mio figlio non ha ancora capito bene cos’è un pronome, ma almeno gli hanno spiegato cosa sono le metafore e qual è la differenza con l’allegoria.

Anche se non so quanto possa essergli utile.

Perché da grande, andrà a raccogliere i pomodori.

E nessuno gli chiederà se pomodoro è nome o aggettivo.

(Il discorso sulle ragioni di un tale disastro è piuttosto complicato. Ne riparleremo.)

6 thoughts on “La fabbrica degli asini ovvero la squola italiana

  1. paola ha detto:

    Leggi questo . Come spunto per il prossimo post.
    http://www.wired.com/business/2013/10/free-thinkers/

  2. Francesca ha detto:

    …e pensi a come generazioni siano state vittime del “magari il latino non serve come lingua in se, ma è un’impostazione, ti serve come invito al pensiero”. Mi sfugge ancora quale, visti i favolosi risultati, anche fra chi il latino lo conosce tuttora… Aspetto altri capitoli, la tematica mi interessa 🙂

  3. rob ha detto:

    Io avevo tutti 8. In latino ero un asso, in matematica facevo più fatica ma mi impegnavo tanto e a fine anno avevo comunque 8…..ma guarda come sono finita 🙂

  4. Nicola Losito ha detto:

    Se questo non è dire pane al pane e vino al vino…
    Chiara come il sole. Precisa come un orologio svizzero. 😀
    Anche questo post, col tuo permesso, vorrei rebloggarlo nel mio spazio web.
    Brava.
    Nicola

  5. Viola Veloce ha detto:

    Blogga, nicola, blogga. Facciamo ripetizione anche domani. Di matematica.Il sole sull’asino non tramonta mai.

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