Come uno scrittore fallito può approfittare della rivoluzione digitale

A scuola studiamo la rivoluzione industriale, anche se nessuno ci dice che non è stata molto divertente.

I contadini erano costretti a lasciare le loro cascine comunitarie per andare a vivere in malsane case di città, dove i bambini venivano appesi dentro a stracci attaccati al soffitto perché non fossero attaccati dai topi, come racconta Desmond Morris, antropologo inglese.

Qualcuno studierà noi, invece, perché siamo i protagonisti della rivoluzione digitale.
Quest’ultima, pur senza essere dolorosa come quella industriale, ha aumentato la nostra capacità di produrre beni e servizi più di quanto non abbia fatto la rivoluzione industriale.

I libri di storia racconteranno che le macchine da scrivere sono scomparse “al volgere del secolo“, e pubblicheranno qualche bella foto di una vecchia Olivetti.

Mio padre scriveva le sue relazioni aziendali su una Lettera 22, usando i fogli di carta copiativa. Poi spediva per posta al capo l’originale battuto a macchina, e archiviava la sua copia su carta carbone. Il suo capo riceveva la lettera dopo una settimana e la passava a un contabile, eccetera, eccetera.

Oggi io mando dieci email al giorno a colleghi che sono seduti a tre scrivanie dalla mia, con un probabile effetto paradosso: la comunicazione è eccessiva e il mal di testa perenne. Ma di sicuro la mia produttività è maggiore di quella di mio padre.

Mi rendo conto di scrivere delle TREMENDE banalità, ma posso dire di avere attraversato tutta la rivoluzione digitale  da un punto di vista privilegiato: quello della scrittrice fallita e bocciata da tutte le case editrici d’Italia.

Scrittrice fallita, tra l’altro, anche con un libretto, “Mariti in salsa web“, ambientato proprio agli albori – direbbero i soliti storici – della rivoluzione digitale.

Molte colleghe dell’ufficio dove lavoravo, dieci anni fa, erano infatti entrate su C6, le prime chat erotiche-amorose di Virgilio, e se la spassavano alla grande.

Le vedevo digitare tutte contente sui tasti durante la mattina e poi, all’ora di pranzo, uscivano truccate e vestite come delle principesse turche per andare a un appuntamento con un tipo conosciuto due ore prima sul web.

Ragazze impavide e coraggiose, perché non erano ancora nati i siti di appuntamenti online e noi colleghi ci chiedevano se non fosse PERICOLOSO uscire con uno sconosciuto.

Mi ricordo che una volta, in ufficio, strappammo un capello a una delle signorine in questione e lo infilammo in una busta da consegnare alla Polizia se la collega non fosse tornata dal pranzo, così da poter identificare il cadavere.

Sapevamo tutti che era uno scherzo un po’ macabro, ma allora le donne non erano abituate all’idea di poter incontrare – senza correre pericoli – un uomo conosciuto sul web.

Sono passati solo dieci anni da allora, e nessuno pensa più che sono solo i serial killer a mettere gli annunci su Meetic.
La probabilità di incontrare un serial killer sul web è esattamente uguale a quella di incontrarlo in ufficio o tra i vicini di condominio.

Ma adesso ritorno al fallimento, tema che mi è caro.

Dieci anni fa avevo appunto scritto un libretto sugli amori digitali e l’avevo infilato in una busta – dopo averlo diligentemente fotocopiato – per mandarlo alle case editrici. Con tanto di francobollo e lettera di accompagnamento.

Nessuna risposta.

L’unica persona con cui ero riuscita a mettermi in contatto era stata un’agente letteraria, ma solo perché una mia amica mi aveva dato la sua email e anche l’agente mi aveva chiesto di mandarle una copia STAMPATA del libro.

Bene, da allora ho scritto altri libri.

L’agente li ha presentati alle case editrici, che li hanno di nuovo bocciati.

TUTTI.

Ma per fortuna, in questi dieci anni, la rivoluzione digitale ha cambiato gli scenari anche per lo scrittore bocciato.

Che non deve più passare le sue giornate in coda alle Poste italiane con le buste da affrancare.

Oggi, una persona con modeste competenze informatiche può pubblicare – aggratisse – un libro su una piattaforma digitale come Amazon, senza spendere soldi in fotocopie da mandare alle case editrici.

L’autore digitalizzato può anche aprire un blog – gratis o a pagamento – e scrivere tutto quello che gli pare, senza dover conoscere qualcuno in un giornale che gli pubblichi l’articolo.

Poi, l’autore può condividere un post del suo blog su Facebook e vedere se qualcuno gli risponde.

Sono banalità, lo so, ma il web dà una voce a tutti.

Anche agli sfigati come me.

Anche a quelli che non hanno gli amici nei posti giusti.

La rivoluzione digitale è molto democratica.

Dove non c’è internet, non c’è democrazia.

Cito per l’ultima volta la Corea del Nord, dove non puoi entrare in un negozio e fare l’abbonamento a Fastweb.

Nonostante le importanti dichiarazioni del nostro senatore Razzi.

La Corea è come la Svizzera, secondo lui: molto pulita.

Godetevi Razzi, che in originale è persino meglio di Crozza.

5 thoughts on “Come uno scrittore fallito può approfittare della rivoluzione digitale

  1. LFK ha detto:

    La rivoluzione digitale: quella cosa che ti permette di non dire nulla, ma di dirlo a molte persone. Il silenzio che finalmente diventa assordante, l’urlo muto di una società sorda.

  2. Viola Veloce ha detto:

    Carp LKK, ho visto il tuo blog, che grazie a Dio non è politically correct. Sì, è vero che c’è l’urlo assordante. E’ anche vero che quasi nessuno ti ascolta. Però stiamo sempre meglio che in Corea del Nord. Belli i linchs. Mi hanno fatto ridere. Sei bravo.

  3. Lexla ha detto:

    Interessante articolo, anche io la penso come te visto che quando terminerò il libro probabilmente lo auto-pubblicherò direttamente nello stesso modo. Sarebbe bello vedere avverarsi il sogno che una casa editrice ti consideri, ma purtroppo sappiamo bene, tra noi sfigati, che le possibilità sono di 1 su 100, forse anche meno. Inoltre preferisco l’idea di auto-pubblicare che di farmi pubblicare da una casa editrice minore, con la quale resti uno sconosciuto lo stesso, perchè i diritti del libro restano tuoi e se vuoi poi puoi partecipare comunque ai concorsi letterari, mentre se te lo pubblica la casa editrice anonima perdi anche questa chance.

  4. Viola Veloce ha detto:

    Brava, vedo che hai capito tutto. Una casa editrice minore si prende i diritti per vent’anni e tu sei probabilmente più brava di loro a farti marketing online, perchè blogghi, eccetera.
    Il problema delle case editrici piccole, ma anche di quelle grandi, è che sul web non si stanno muovendo con la curiosità e la vivacità che ci vorrebbe.
    Voglio dire: i libri fisici continuano a essere venduti molto più degli ebook, ma il marketing lo fai sul web.
    Se quindi il piccolo editore non ci sa fare col web, si piglia il libro e te lo butta via.
    Se appena sai smanettare, meglio far da soli.
    Oppure puoi essere fortunata e farti leggere da qualcuno.
    Molto fortunata….

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