Il seguito del mio romanzetto ambientato in un ufficio – “Omicidi in pausa pranzo” – sarà ambientato in un condominio, come ho già scribacchiato in giro.
Che cos’hanno in comune l’ufficio e il condominio?
Molto semplice: non puoi scegliere i colleghi, come non puoi scegliere i condomini.
Bisogna allora affidarsi al caso, che raramente è benigno.
Molti anni fa avevo partecipato a una riunione di condominio, giurando a me stessa che sarebbe l’ultima.
Mi aveva invitato una coppia di ragazzi appena sposati, gentilissimi e urbanissimi, proprietari del monolocale di fianco al mio.
Ero andata all’assemblea perché i due simpatici ragazzi avevano insistito molto: la mia partecipazione era un atto di civiltà dovuta all’umano consesso degli altri condomini.
Ma dopo circa cinque minuti dall’inizio dell’assemblea, mentre l’amministratore esponeva i risultati economici della sua gestione, si era alzato un signore dalle prime file, aveva battuto un pugno sul tavolo dell’amministratore – un segno convenzionale, credo – e aveva cominciato a urlare.
TUTTI GLI ALTRI CONDOMINI lo avevano seguito nelle urla, dando inizio al sabba satanico che doveva essere il vero obiettivo della riunione.
Anche la gentile coppia di vicini si era alzata e aveva preso parte – molto attivamente – alla rissa, insultando un’altra fazione di condomini contro la quale si erano probabilmente coalizzati, e incitandomi a seguirli nella mega-rissa.
Ma io mi ero rapidamente eclissata dal rito catartico-italiano, meditando di chiedere la cittadinanza norvegese.
E fu così che non partecipai a una riunione di condominio per molti anni, fino a quando non avvenne la sciagura: comprai una casetta in un condominio piccolo, piccolo, dove tutte le spese venivano divise per sei – il numero di condomini – e dove quindi le mie tasche venivano pericolosamente intaccate se l’amministratore decideva di dare duemila euro all’anno a suo cugino per la manutenzione ordinaria, e dovevo cambiare io la lampadina da 5 watt dell’ingresso se si rompeva.
La scelta di entrare nell’agone condominiale è stata quindi dettata dalla pura necessità, così come venne dettata dalla pura necessità la mia duplice battaglia contro BEN DUE amministratori, che ho portato alle dimissioni con una serie di mosse spericolate.
Le spese di condominio sono infatti una delle maggiori di causa di “sofferenza” – come scrivono gli economisti – delle famiglie italiane, e non volevo che NEANCHE UN EURO DI PIÙ del dovuto finisse nelle tasche del predetto cugino dell’amministratore (che non cambiava neanche le lampadine).
Ho provato la gioia di vedere un amministratore che si dimetteva in diretta durante una riunione a casa mia (avevo minacciato di chiamare la Guardia di Finanza), riunione durante la quale ci hanno sentito urlare fino a Lugano (abito a Milano).
Quando l’amministratore sessantenne col solito figlio catatonico che prendeva appunti si è alzato per gridare: “Io mi dimetto!”, ho avuto paura che morisse d’infarto A CASA MIA, e di dover chiamare il Pronto Soccorso cardiologico.
Tutto si è risolto per il meglio quando abbiamo finalmente eletto un amministratore giovane e onesto che non ha cugini primi che fanno manutenzione.
Mi rendo conto che questo post sembri un po’ da vecchia babbiona, ma posso dire che per riuscire a uscire indenne dalle assemblee di condominio ho consumato litri di Valium, e spesso ero così intontita dai calmanti che mi chiedevo dove trovassi le forze per difendere i miei soldi dai voraci predatori.
Confesso che quando ho saputo che era morto uno dei due amministratori licenziati, non ho provato dolore – come diceva il Faber – e sto lavorando da anni sulla sinossi del seguito di “Omicidi in pausa pranzo“, ambientato in un rissoso condominio italiano, dove una delle – mie – vicine di casa morirà.
Ma non sono pericolosa – nella vita reale – e non ho mai ucciso nessuno.
Lo faccio solo nei libri.
E lo faccio nei libri per evitare di farlo nella realtà.
Io ho smesso di andarci da quando, cinque anni fa, la vicina di sotto disse che i miei gatti facevano rumore quando camminavano. Io mi scusai, dicendo che credevo che il mio elefante volante rosa che tenevo sul balcone fosse ancor più disturbante. La vicina di sotto non mi ha più rivolto la parola. Successivamente è morta. Io ancora delego la mia vicina di fianco a tutte le assemblee.
Mi piace la delega funeraria.
Potresti titolarlo “Le peggio cose”. Mi piace storpiare la lingua nei titoli e nelle frasi brevi.
Negli anni ho realizzato che, se vuoi sapere se davvero una persona è cattiva, è sufficiente studiarne il comportamento nell’ambito del condominio. Mi ha meravigliato l’odio di persone adulte, talvolta anziane. E poi si ruba con notevole disinvoltura, quasi che la cosa fosse accettata come norma.
Caro Francesco, non avevo visto il tuo commento. Sì, credo che si potrebbe scrivere una psico-antropologia del condominio. La cattiveria sgorga libera e sovrana, anche negli anziani. Io ho solo cercato di non farmi fottere dei soldi, perché ne ho pochi, ma ho capito che c’erano condomini che aspettavano tutto l’anno l’assemblea per fare scenate vergognose. Forse il condominio è l’arena dei meschini, quelli tagliati fuori da tutte le altre.