Com’è triste fare la mamma (che lavora) a Milano

Gennaio è il mese fetente delle influenze, e mio figlio è chiuso in casa da due giorni con un mal di testa di sicura origine virale.

Chiuso in casa da solo, perché io lavoro e non posso rimanere con lui.

Chiuso in casa da solo, anche perché non guadagno una svalangata di soldi, e quindi posso pagare solamente una persona che vada a preparargli qualcosa da mangiare a mezzogiorno, e che poi scappa fuori per correre a lavorare da qualche altra parte.

Tommaso sa già farsi la pasta al burro, perché è un ragazzino milanese, figlio di mamma lavoratrice.

Prende già da solo la metropolitana per andare a scuola o a trovare gli amici.

Se oggi Tommaso avesse avuto la febbre altissima, non avrei potuto lasciarlo a casa senza nessuno, e questa mattina avrei dovuto cercare una persona disponibile a stare con lui tutto il giorno.

Nei giorni in cui Tommaso è ammalato, mi sono sempre affidata a una rete di sostegno composta da peruviani, che conoscono sempre qualcuno che è rimasto senza lavoro e ha un’intera giornata libera da potere dedicare a un’emergenza come quella di un bambino milanese (senza nonni) ammalato.

Fino all’anno scorso quando Tommaso si svegliava e non stava bene, mi attaccavo al telefono per cercare qualcuno disposto a venire a casa nostra, e poi correvo subito in ufficio.

Per fortuna Tommaso si ammala sempre di meno ed è in grado di restare da solo per qualche ora.

E che cosa fa quando è da solo?

Sta davanti al computer.

Torno a casa e lo trovo con due occhiaie nere da super utilizzo di strumenti tecnologici.

Parla anche poco, poveraccio, perché a furia di stare zitti si diventa silenziosi.

Lo so. Quando a Milano smetterà di piovere, passerà il freddo e si porterà via l’influenza, non scriverò più post così disperati.

Ma anche se non posso lamentarmi perché sono protetta dall’articolo 18 – ho un contratto a tempo indeterminato – mi lamento di come diventano i figli delle mamme che lavorano e non hanno a disposizione schiere di nonni disposti ad occuparsi di loro.

I ragazzini che hanno le mamme che lavorano sono spesso un po’ tristi, molto digitalizzati, perché il computer gli fa compagnia, e sono leggermente sovrappeso, perché il computer dà dipendenza e i ragazzini non si riescono a scollare dallo schermo.

Se poi aggiungiamo a questa mistura infernale, il fatto che durante i weekend e le vacanze i nostri figli sono pieni di compiti – e le mamme devono aiutarli – allora il cocktail diventa psicogeno.

E se la ciliegina sulla torta delle vacanze di Natale passate in casa a fare i compiti è che – al ritorno a scuola – le insegnanti sono malate o non correggono i quintali di esercizi assegnati al povero e negletto bambino, allora alla mamma suddetta – depressa per le fatiche del lavoro e della scuola del figlio – verrà voglia di andare su Internet e cercare le istruzioni su come si confeziona una cintura al tritolo di modello sunnita.

Dopo di che, in un giorno di pioggia, verso le sei del pomeriggio, quando ti vengono quei micidiali attacchi di depressione milanese, indosserà la cintura suddetta sotto un’impermeabile in saldo comprato all’Oviesse, e si recherà al consiglio di classe, badando bene di farsi saltare per aria quando sarà entrato fino all’ultimo insegnante.

E l’ultimo grido della mamma depressa-suicida sarà: “No, Dante alle medie, no!“.

Perché la prossima settima Tommaso verrà interrogato sulla Divina Commedia.

Basta, adesso cerco le istruzioni per la cinturina…

3 thoughts on “Com’è triste fare la mamma (che lavora) a Milano

  1. Lollo ha detto:

    che palle la divina commedia… quasi peggio dell’Iliade!

  2. è triste anche fare la mamma che lavora a torino e senza nonni e con un piccolo di 2 anni che ti si attacca alle gambe se lo lasci in casa con la baby sitter

  3. Nicola Losito ha detto:

    Ciao cara Viola Veloce,
    ho una notizia, spero simpatica, per te. Ti ho nominato per il Shine On Award. Se il premio ti interessa e vuoi partecipare alla kermesse troverai le semplici regole da seguire nel mio post settimanale di Lunedì 20 Gennaio 2014.
    Un cordiale saluto.
    Nicola

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