I giornali stanno finalmente cominciando a scrivere dell’enorme PORCATA istituita nel 1996 contro i precari, che versano i contributi sui redditi percepiti a una gestione SEPARATA dell’Inps, in ATTIVO, concepita per rendere difficile o impossibile il riconoscimento dei diritti pensionistici ai precari.
Solo infatti i precari che hanno versato per un minimo di cinque anni il 27% di un reddito minimale contributivo di almeno 15.357 euro all’anno potranno avere diritto alla pensione, gli altri perderanno i contributi che hanno versato.
Inutile dire che i contributi versati a fondo perduto dai precari – 8 miliardi all’anno – vengono intascati dall’INPS e girati sulle altre gestioni in PERDITA: quella dei dipendenti pubblici – in perdita per 8 miliardi all’anno – e quella dei liberi professionisti – in perdita per 12 miliardi all’anno.
La gestione della cassa pensionistica per i lavoratori delle industrie private presenta invece un bilancio meno negativo: solo 1 miliardo di perdite all’anno.
Non sono un’esperta in materia di pensioni – non sono un’esperta di nulla – ma ricordo molto bene che il Partito radicale italiano aveva proposto anni fa una legge che prevedeva l’obbligo per l’INPS di restituire ai lavoratori precari tutti i contributi silenti da loro versati, ovvero quei contributi PERSI, perché non sono sufficienti per dare diritto a ricevere una pensione.
Naturalmente la proposta di radicali è finita nel cesso e l’INPS continua a papparsi i contributi dei precari – co.co.co., co.co.pro., venditori a domicilio, eccetera – che non danno diritto alla pensione, e che vengono utilizzati per pagare le pensioni degli impiegati (statali e privati) e dei liberi professionisti.
I precari sono quindi cornuti e mazziati due volte: la prima, perché non hanno gli stessi diritti e garanzie degli impiegati a tempo indeterminato (ferie, malattia, eccetera), e la seconda, perché con i loro contributi pagano la pensione agli impiegati, di cui io sono peraltro una rappresentante.
Non ho ancora letto il testo del Job Act approvato in Parlamento, ma ho un’unica certezza: il decreto legge non prevede di certo la restituzione dei contributi silenti ai precari, perché Renzi e il suo governo stanno cercando di grattare via dall’INPS gli ultimi centesimi disponibili per offrire qualche ammortizzatore sociale agli italiani che stanno affondando sotto le nuove ondate di disoccupazione.
Il paradosso è quindi il seguente: ai precari vengono richiesti contributi fiscali che servono non solo a pagare la pensione agli impiegati ma anche a vedersi restituiti in qualche forma caritatevole – sussidi di disoccupazione, eccetera – i contributi che hanno versato.
Credo che molti precari non sappiano di essere cornuti e mazziati più volte, perché non sanno come funziona l’INPS, perché i loro interessi non sono rappresentati dai sindacati nostrani, e perché i precari sanno bene che iscriversi alla Gcil non è il modo migliore per farsi rinnovare il contratto.
Io sono un’impiegata e so bene di appartenere a una categoria di lavoratori privilegiati.
Anche se, come ho già scritto, spendere tutto il proprio stipendio per vivere non è un privilegio ma un beneficio per l’economia.
Il problema è un altro, ed è relativo alla distribuzione dei redditi, che favorisce sempre di più una minoranza di cittadini troppo ricchi per avere modelli di consumo “sani”.
Sono quell’1% della popolazione di cui parla Stigliz, premio Nobel per l’economia, che negli Stati Uniti guadagna il 25% del reddito nazionale.
Le economie nazionali non hanno nulla da guadagnare dalla presenza di cittadini troppo ricchi che investono in prodotti finanziari e yacht alla Briatore.
All’economia di una nazione fa più comodo avere una migliore distribuzione del reddito, a favore dei redditi da lavoro, perché i consumi del 99% sono migliori di quelli dell’1%.
Noi compriamo latte, burro e uova, come dice Caprotti, il padrone dell’Esselunga, che si è accorto di come i consumi degli italiani stiamo pericolosamente scivolando verso il basso.
Adesso però la chiudo con il pensiero profondo del giorno: è giusto restituire i contributi silenti ai precari ma non è corretto attribuire il peso del declino economico dell’Italia a chi guadagna 1.500/2.000 euro al mese con uno stipendio da impiegato.
L’unica soluzione sensata sarebbe difendere i redditi da lavoro contro quelli da capitale.
E questo governo non lo sta facendo. Punto.