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La più grossa porcata contro i precari: i contributi silenti

I giornali stanno finalmente cominciando a scrivere dell’enorme PORCATA istituita nel 1996 contro i precari, che versano i contributi sui redditi percepiti a una gestione SEPARATA dell’Inps, in ATTIVO, concepita per rendere difficile o impossibile il riconoscimento dei diritti pensionistici ai precari.

Solo infatti i precari che hanno versato per un minimo di cinque anni il 27% di un reddito minimale contributivo di almeno 15.357 euro all’anno potranno avere diritto alla pensione, gli altri perderanno i contributi che hanno versato.

Inutile dire che i contributi versati a fondo perduto dai precari8 miliardi all’anno – vengono intascati dall’INPS e girati sulle altre gestioni in PERDITA: quella dei dipendenti pubblici – in perdita per 8 miliardi all’anno – e quella dei liberi professionisti – in perdita per 12 miliardi all’anno.

La gestione della cassa pensionistica per i lavoratori delle industrie private presenta invece un bilancio meno negativo: solo 1 miliardo di perdite all’anno.

Non sono un’esperta in materia di pensioni – non sono un’esperta di nulla – ma ricordo molto bene che il Partito radicale italiano aveva proposto anni fa una legge che prevedeva l’obbligo per l’INPS di restituire ai lavoratori precari tutti i contributi silenti da loro versati, ovvero quei contributi PERSI, perché non sono sufficienti per dare diritto a ricevere una pensione.

Naturalmente la proposta di radicali è finita nel cesso e l’INPS continua a papparsi i contributi dei precari – co.co.co., co.co.pro., venditori a domicilio, eccetera – che non danno diritto alla pensione, e che vengono utilizzati per pagare le pensioni degli impiegati (statali e privati) e dei liberi professionisti.

I precari sono quindi cornuti e mazziati due volte: la prima, perché non hanno gli stessi diritti e garanzie degli impiegati a tempo indeterminato (ferie, malattia, eccetera), e la seconda, perché con i loro contributi pagano la pensione agli impiegati, di cui io sono peraltro una rappresentante.

Non ho ancora letto il testo del Job Act approvato in Parlamento,  ma ho un’unica certezza: il decreto legge non prevede di certo la restituzione dei contributi silenti ai precari, perché Renzi e il suo governo stanno cercando di grattare via dall’INPS gli ultimi centesimi disponibili per offrire qualche ammortizzatore sociale agli italiani che stanno affondando sotto le nuove ondate di disoccupazione.

Il paradosso è quindi il seguente: ai precari vengono richiesti contributi fiscali che servono non solo a pagare la pensione agli impiegati ma anche a vedersi restituiti in qualche forma caritatevole – sussidi di disoccupazione, eccetera – i contributi che hanno versato.

Credo che molti precari non sappiano di essere cornuti e mazziati più volte, perché non sanno come funziona l’INPS, perché i loro interessi non sono rappresentati dai sindacati nostrani, e perché i precari sanno bene che iscriversi alla Gcil non è il modo migliore per farsi rinnovare il contratto.

Io sono un’impiegata e so bene di appartenere a una categoria di lavoratori privilegiati.

Anche se, come ho già scritto, spendere tutto il proprio stipendio per vivere non è un privilegio ma un beneficio per l’economia.

Il problema è un altro, ed è relativo alla distribuzione dei redditi, che favorisce sempre di più una minoranza di cittadini troppo ricchi per avere modelli di consumo “sani”.

Sono quell’1% della popolazione di cui parla Stigliz, premio Nobel per l’economia, che negli Stati Uniti guadagna il 25% del reddito nazionale.

Le economie nazionali non hanno nulla da guadagnare dalla presenza di cittadini troppo ricchi che investono in prodotti finanziari e yacht alla Briatore.

All’economia di una nazione fa più comodo avere una migliore distribuzione del reddito, a favore dei redditi da lavoro, perché i consumi del 99% sono migliori di quelli dell’1%.

Noi compriamo latte, burro e uova, come dice Caprotti, il padrone dell’Esselunga, che si è accorto di come i consumi degli italiani stiamo pericolosamente scivolando verso il basso.

Adesso però la chiudo con il pensiero profondo del giorno: è giusto restituire i contributi silenti ai precari ma non è corretto attribuire il peso del declino economico dell’Italia a chi guadagna 1.500/2.000 euro al mese con uno stipendio da impiegato.

L’unica soluzione sensata sarebbe difendere i redditi da lavoro contro quelli da capitale.

E questo governo non lo sta facendo. Punto.

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Manifesto dell’impiegato

A quindici anni, se qualcuno mi avesse detto che da grande avrei fatto l’impiegata, non gli avrei creduto.

Non avrei creduto che tutte le mie giornate avrebbero potuto essere uguali l’una all’altra, senza nessuna possibile e imprevedibile sorpresa.

Tutte le mattine sulla metropolitana alle otto e un quarto, e la sera di nuovo in metropolitana verso le sei.

La vita scandita da impegni quotidiani e immutabili, legati alla pulizia della casa, il rifornimento di provviste, l’educazione dell’unico figlio che ho e la fatica per rimanere presentabile: capelli tinti, vestiti puliti, scarpe e aspetto decoroso.

Ecco, non c’è niente di romantico o interessante nella lotta quotidiana per guadagnarsi la vita e restare poco più a galla del livello minimo di sussistenza.

Orwell ha scritto un libro meraviglioso sugli impiegati: “Fiorirà l’aspidistra“, in cui il protagonista si rassegna a diventare un impiegato solo quando scopre che la fidanzata è incinta. Rinunciando così a tutte le sue precedenti aspirazioni a-convenzionali e non borghesi.

Insomma, quella dell’impiegato non è un’aspirazione condivisibile, ma una specie di rinuncia alla quale ti costringe la vita, anzi, come spiegava bene Orwell, una rinuncia alla quale ti costringe il più basso degli istinti: quello della riproduzione.

Perché solo se hai dei figli da mantenere puoi accettare il lavoro quotidiano scandito da orari, impegni, regolamenti e normative.

I figli devono mangiare e comprasi le Nike: non puoi coinvolgerli nelle scelte rischiose che comporterebbe la ricerca di un lavoro che sia per davvero rispondente alle nostre più intime aspettative.

Se non avessi un figlio, credo che la vita da impiegata mi sarebbe intollerabile, ma se non fossi stata un’impiegata, non avrei avuto un figlio, perché solo la garanzia di poter percepire un reddito in futuro ti da la forza – e l’incoscienza – per seguire i tuoi più bassi istinti vitali, quelli appunto legati alla riproduzione.

Chi ha dei figli e perde il lavoro è rovinato. Non c’è una rovina peggiore di quella di non poter garantire ai propri figli una vita decente e la possibilità di sostenerli nell’ingresso nella vita adulta.

Chi invece non ha figli, può permettersi qualche follia in più, e può tollerare meglio periodi rovinosi di poco lavoro.

Arrivo subito alle conclusioni: un mercato del lavoro totalmente deregolamentato, in un paese come il nostro dove il curriculum lavorativo di una persona rimane appetibile solo se non presenta nessun “buco”,  avrà l’effetto di sterilizzare le prossime generazioni di italiani.

Nessuno è così pazzo da fare un figlio, fare la spesa, alzarsi alle sette, accompagnarlo a scuola e prendere subito dopo la metropolitana, se sa che il suo reddito potrebbe cessare, diminuire, eccetera, dopo quindici giorni.

Insomma, per fare dei figli, bisogna avere la convinzione di poter contare su guadagni certi per un certo numero di anni.

Il mercato del lavoro che piace ai liberisti italiani – figli di papà com’è lo stesso Renzi – segnerà la fine della razza italica, così come la conosciamo. La parola razza mi fa orrore, ma posso dire con certezza che noi italiani medi siamo destinati all’estinzione.

Che nessuno si lamenti di più degli ultimi impiegati che si fanno la doccia tutte le mattine e vanno a lavorare per mantenere i loro figli.

Non è colpa degli impiegati se il PIL dell’Italia sta andando a picco.

Non è colpa nostra se l’Italia va a puttane.

Io, impiegata, non me la sento di diventare il capro espiatorio di Renzi e Poletti, amici del cuore dei confidustriali rossi e neri.

Se i colletti bianchi e blu scompaiono, scompare anche l’economia italiana.

Noi siamo quello che gli economisti chiamano la “domanda interna”, e se scompariamo noi e i nostri figli, scompare tutto, dal mercato immobiliare all’Esselunga, passando per le banche.

Consiglio a Renzi di leggersi qualche testo di economia. Magari di un cretino come Stiglitz che ha vinto solo il premio Nobel.

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Qui vedo e qui prevedo: in arrivo l’emergenza sociale “anziani” con pensioni da fame

Spero di avere torto, ma tra dieci (massimo quindici anni) anni saremo tutti nella merda.

Gli anziani – i cinquantenni di oggi – avranno pensioni da fame, e i precari avranno probabilmente gli stessi stipendi schifosi di oggi, senza più  i genitori che li possono aiutare, perché ormai saranno usciti dal mercato del lavoro con delle pensioni che si aggireranno più o meno sui 700 euro al mese.

Tra dieci/quindici anni nessuno potrà infatti scampare al calcolo contributivo della pensione.

Il direttore della mia banca, stranamente simpatico, mi ha spiegato che aveva fatto i calcoli sul suo stipendio e anche lui si era stimato una pensione di 700 euro.

I quarantenni che oggi sono precari, dovranno aspettare di compiere 67 anni per avere la pensione sociale (450 euro o qualcosa del genere).

Di nuove assunzioni a tempo indeterminato ce ne saranno pochissime e quasi nessuno potrà maturare i 40 anni di contributi che danno il diritto a una pensione pari al 70%  circa dell’ultimo stipendio.

Io, che sono una contributiva pura, avrò una pensione poco superiore alla minima, perché ho anch’io un passato da precaria, in cui non ho versato contributi (anzi, li ho versati a una cassa separata, ma non so se questa mi darà diritto a un’altra “pensioncina”).

Gli anziani di oggi, che prendono ancora pensioni decenti e che spesso aiutano i loro figli precari, tra qualche anno avranno bisogno di una badante, della dentiera, della casa di riposo, e non potranno più destinare una quota del loro reddito per aiutare i figli precari.

E gli anziani di domani saranno troppo poveri per destinare anche solo una minima parte del loro reddito ai figli scannati e senza un contratto di lavoro decente, e forse non avranno neanche i soldi per andare a farsi la dentiera in Croazia.

Immagino che questa sia la miscela per una formidabile bomba sociale che esploderà quando tutti i risparmi saranno consumati, i contratti di lavoro saranno ancora più precari di quelli attuali e non ci saranno più i genitori che allungano duecento euro ai figli, prelevandoli dalla loro pensione.

Badate bene: non sto parlando di pensioni d’oro. Le pensioni d’oro sono un’altra cosa e non saranno mai colpite.

La casta preserva sempre se stessa dalle batoste, redistribuendole sui poveri cristi che non hanno neanche il tempo per accorgersi che la nave sta affondando, impegnati come sono a cercare di sopravvivere.

Ma tra dieci/quindici anni la base di povertà diffusa sarà sempre più allargata – non sei ricco con 700 euro al mese – e dubito che qualcuno degli attuali partiti sarà sopravvissuto. 

Per chi voteremo tra  dieci anni lo sa solo Iddio.

Dalla Repubblica di Weimar è nato il nazismo e le crisi economiche sono pericolose per le democrazie.

E’ per questo che gradirei una politica economica diversa, dove non si parli solo di sacrifici, austerità, licenziamenti.

Monti era stato troppo lento per capirlo, e infatti la storia (elettorale) lo ha travolto.

Renzi invece ha il naso più fino, ed è riuscito a fare una virata micidiale in meno di una settimana.

Se poi qualcuno lo voterà ancora quando avremo tutti le pezze al culo, beh, questo non lo so.

Non sono Hari Seldon e nessuno avrebbe mai potuto prevedere che un piccolo caporale austriaco e psicotico avrebbe distrutto l’Europa.

Vorrei quindi vedere il PIL che risale, le imprese che assumono, i giovani che guadagnano stipendi decenti e i vecchi che non muoiono di fame.

Ma mi sembra che non stia succedendo nulla di tutto questo.

La merda sta salendo…

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I have a dream: l’orto con le galline

Nel clima plumbeo e recessivo dell’Italia renziana, dove il Grande Comunicatore parla solo di “licenziamenti”, chiunque abbia un lavoro si chiede se non verrà licenziato, magari tra una settimana, dietro la ricca corresponsione di dodici/quattordici mensilità.

Abbiamo capito tutti che Renzi è interessato all’elettorato di centro-destra, ma persino Draghi ha dovuto dirgli che la parola da usare era “assunzioni“, e non “licenziamenti“.

Ma il Grande Comunicatore va dritto per la sua strada, spargendo PAURA a mani basse per l’Italia.

Ho infatti ulteriormente ridotto i miei consumi, in attesa del giorno del giudizio, in cui verrò licenziata per convincere gli investitori stranieri a investire in Italia.

Il ragionamento non mi è perfettamente chiaro (anche perché gli investitori stranieri si sono già comprati metà delle industri italiane), ma sto risparmiando in vista del giorno in cui io e mio figlio Tommaso ci nutriremo di pane e acque, come le galline che mi piacerebbe possedere.

Sì, perché ho scoperto che ormai il sogno dell’italiano medio è agricolo e autarchico: un orto con le galline, che ti permetta di sfamare te e la tua famiglia quando non ci sarà più lavoro e sarà fallita anche l’INPS.

Mi sono ritrovata a parlare del sogno di avere un orto con gli amici più impensati: avvocati soci di studi di una certa importanza, informatici particolarmente smanettoni, e così via.

Qualche giorno fa, un collega, informatico anche lui e che andava più di fretta del solito, si è improvvisamente rasserenato quando gli ho parlato del mio progetto (per adesso solo immaginato) di lasciare Milano e trasferirmi in una casa di campagna con l’orto.

Mi ha detto: “Ma io ce l’ho già l’orto!“, e mi ha fatto vedere le foto (digitali) dell’orto in questione: “Questi sono i pomodori,  ecco le zucchine, guarda che bell’insalatina!”.

E mi ha spiegato che aveva comprato non so quanti anni fa una porzione di terreno di fianco al suo condominio con l’obiettivo di farne un giardinetto, che adesso stava trasformando in orto da coltivare, in vista dei tempi grami in arrivo.

Bene, se devo proprio dirla tutta, il sogno di lasciare le città perché in campagna qualcosa da mangiare lo trovi sempre è un pensiero degno degli anni di guerra, quando le famiglie “sfollavano” in campagna non solo per evitare le bombe, ma anche per evitare la fame.

Il clima in cui stiamo precipitando ogni giorno di più è quello della guerra: abbiamo paura, sentiamo il fischio della bomba che sta per caderci sulla testa.

E mi chiedo se le nostre paure non siano indotte dai furbissimi cialtroni che ci governano e non servano ad altro che a farci chinare ancora più la testa, quando ci proporranno condizioni di lavoro ancora più schifose e garanzie sociali pari a zero.

Forse il martellamento di Renzi sulla necessità di licenziare e riformare il mercato del lavoro serve solo a frantumare le ultime ottuse resistenze di un sindacato che ormai non rappresenta più nessuno. Forse il progetto è quello di spezzare le ultime resistenze al progetto di trasformare l’Italia in un’unica grande fabbrica al servizio di capitale straniero.

O magari siamo veramente vicini a una Grande Recessione e sogniamo l’orto per sfamare i nostri figli…

Vi ricordate la crisi argentina, quando gli impiegati pesavano quarantacinque chili e morivano di fame?

Ecco, mi fa schifo l’idea di consegnare l’Italia al grande capitale internazionale.

Noi siamo un popolo di santi e inventori, e le piccole-medie aziende italiane stanno resistendo.
I nostri piccoli imprenditori sono coraggiosi e intelligenti: brevettano, producono, esportano, e meritano di più.
Meritano di non pagare balzelli quotidiani allo stato-mangiatutto, oggi occupato dai legali rappresentanti di banche, assicurazioni e capitalismo globalizzato.

Non voglio rinunciare al nostro genio, non voglio svenderlo.

E non voglio avere così tanta paura da pensare solamente a cultiver mon jardin, per citare malamente Voltaire.

E’ un triste paese quello in cui si vive nella paura.

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#matteo stai in guardia sull’articolo 18 (così spacchi il PD)

Ho scritto un libro in cui il movente dell’assassino – un serial killer aziendale che uccide gli impiegati – è l‘articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.

Si tratta di un movente volutamente surreale ma anche molto realistico, visto che Matteo Renzi oggi ha cercato di cancellare l’Articolo 18, minacciando addirittura il decreto legge se il PD non avesse accettato la sua proposta.

Alla fine è stata raggiunta una mediazione – interna al PD – per la quale i nuovi contratti a tempo indeterminato potranno consentire al datore di lavoro di licenziare il lavoratore (senza la cosiddetta giusta causa) nei primi tre anni di un contratto a tempo indeterminato.

Mentre sto scrivendo queste righe, si sta ancora discutendo della possibilità di demansionare un lavoratore (oggi proibito), ovvero di cambiargli lavoro e conseguentemente anche la busta paga.

Un ingegnere polemico e riottoso – in genere gli “innovatori” non hanno un bel carattere – potrebbe diventare il magazziniere dell’azienda per cui lavora, e poi magari vincere un Nobel un paio di anni dopo, se aveva solo litigato col suo capo.

Mi sembra corretto – a questo punto – dire cosa ne penso io dell’Articolo 18, visto che era proprio quell’articolo dello Statuto dei Lavoratori armava la mano dell’assassino in “Omicidi in Pausa Pranzo”.

La mia opinione è la seguente: se non si mette mano al sistema di previdenza così da proteggere (per davvero) i lavoratori licenziati, abolire l’Articolo 18 sarebbe crudele e sbagliato.

Crudele perché l’unica forma di assistenza alle famiglie in difficoltà oggi sono le mense e i pacchi alimentari della Caritas (e delle altre associazioni),  e l’indennità di disoccupazione prevista dall’INPS  copre solo 18 mesi (per gli ultra 55enni) dalla fine del rapporto di lavoro.

Nei paesi europei dove il mercato del lavoro è stato liberalizzato, non vieni buttato in mezzo a una strada se l’azienda ti licenzia, ma vieni assistito economicamente e quindi ricollocato, dopo aver seguito dei corsi finanziati dallo stato.

Ma tutto questo COSTAnon alle imprese ma allo Stato – e in Italia non ci sono i soldi per farlo, visto che le tasse sono riscosse da mafia, camorra, eccetera, in una porzione geografica molto ampia del nostro paese. 

Non esiste quindi un gettito fiscale adeguato per impedire ai lavoratori licenziati di finire in coda alle mense della Caritas, e i lavoratori in questione finirebbero sul lastrico, come si diceva – figurativamente – una volta.

Non avrebbero infatti più i soldi per pagare il mutuo della casa che hanno acquistato, né potrebbero mantenere i figli che magari vanno all’Università.

Perché solamente chi poteva contare su uno stipendio CERTO, magari anche modesto, ha comprato una casa e ha avuto dei figli.

Il bassissimo tasso di natalità italiana si spiega infatti non solo con l’assenza di servizi in supporto alle famiglie e alle donne che lavorano, ma anche con il fatto che nessuno può permettersi di aprire un mutuo o fare un figlio se non sa di poter contare su introiti STABILI E SICURI (non ho detto alti, ma sicuri).

La generazione di PRECARI che sta crescendo oggi in Italia è una generazione tristemente STERILE, fatta da uomini e donne che spesso non prendono neanche in considerazione l’ipotesi di costruire una famiglia – espressione lessicale vecchia ma efficace – perché mancano i mattoni reddituali necessari per fare PROGETTI.

Io, che sono un’impiegata protetta dall’Articolo 18, so perfettamente di essere più fortunata di un precario, ma se non avessi avuto un lavoro, non avrei neanche avuto un figlio.
Avrei preferito viaggiare LEGGERA, per affrontare meglio gli eventuali guai che ti riserva una vita senza un lavoro stabile.

Sarebbe quindi CRUDELE se venissi licenziata senza nessuna rete di sostegno previdenziale, e con un mutuo che non posso pagare e un figlio che non posso mantenere.

Questo per quanto riguarda il primo motivo per il quale sono contraria all’abolizione tout court dell’Articolo 18.

Il secondo motivo è di tipo invece economico: oggi spostare redditi dai lavoratori agli imprenditori sarebbe una sciagurata manovra deflazionistica.

Perché gli imprenditori italiani si limiterebbero a sostituire i lavoratori a tempo indeterminato con lavoratori precari pagati di meno, con la conseguenza di un ulteriore frenata sui consumi.

Non vi sono dubbi infatti che in Italia vi sia anche una crisi della domanda interna dovuta al processo di deindustrializzazione conseguente alla globalizzazione dei processi produttivi, che si spostano dove la manodopera costa di meno.

Ma non possiamo pensare di attrarre capitali stranieri abbassando i costi della manodopera e lasciando tutto il resto invariato.

Chi è così pazzo da investire in un paese dove una causa civile dura 10 anni e dove non vi è un sistema di tassazione certo?

E siamo sicuri che la razza padrona italiana investirebbe in ricerca e nuovi stabilimenti produttivi i maggiori profitti derivanti da un mercato dl lavoro più flessibile?

Io credo di no.

Gli imprenditori italiani (nel loro complesso, non parlo delle eccellenze che abbiamo ancora in settori anche molto avanzati) presentano tassi di investimento inferiori dei punti di profitto guadagnati, rispetto agli altri imprenditori europei.

Se un imprenditore tedesco guadagna di più, investe di più nella sua impresa. Se lo fa un italiano, acquista invece più prodotti finanziari (o quadri da portare in Svizzera).

Consiglio sempre un libro di Marco Revelli, “Poveri, noi“,  dove spiega questo fenomeno e sostiene che in Italia il paradigma liberista secondo il quale un maggiore afflusso di denaro nelle tasche degli imprenditori porti a un maggiore tasso di investimenti sia assolutamente FALSO.

Un favore alla Confindustria come quello che Renzi ha cercato di fare sarebbe quindi stato non solo CRUDELE, ma anche INUTILE, perché avrebbe solo ulteriormente abbassato i consumi, senza portare a maggiori investimenti.

Ma non solo, se il PD non fosse riuscito a stemperare i furori pro-confindustriali di Renzi, avrebbe perso un PEZZO ENORME della sua base elettorale, fatta di impiegati, insegnanti, operai, eccetera, che avrebbero smesso di votare PD un’ora dopo l’abolizione dell’Articolo 18.

Mi chiedo quindi se Renzi sappia fino in fondo quello che sta facendo e se abbia calcolato tutti i rischi di una mossa così azzardata come quella che ha cercato di fare.

Renzi è stato bollato persino da Stefano Fassina, ex-viceministro dell’Econimomia del PD, come uomo di destra.
Fassina ha addirittura twittato: “Renzi come Monti e la destra utilizza il termine apartheid x scaricare su padri sfigati il dramma del lavoro di figli ancora più sfigati”.

Il che significa che nel PD hanno paura di Renzi.
Paura che spacchi il partito, che lo porti a una rovina elettorale.
E stanno cercando di fermarlo.

Ma io credo che Renzi sia troppo sicuro delle proprie doti di affascinatore collettivo per avere paura di una caduta dei consensi.
Sta giocando pesante, perché pensa di riuscire a mantenere il suo 41%, o di scendere magari solo di pochi punti.

Ma io credo che se oggi il PD non l’avesse fermato, Renzi avrebbe ESTINTO il partito nel quale è stato eletto.
Lo avrebbe demolito, perchè i suoi elettori non sono così pazzi da suicidarsi votando la loro condanna alle mense della Caritas.

E chi ci avrebbe guadagnato da una tale e stupida mossa come l’abolizione tout court dell’Articolo 18?

Berlusconi. Sì, proprio lui.

Berlusconi sta appoggiando Renzi, lo sta vezzeggiando, coccolando, e lo sta stritolando, come ha fatto con tutti i suoi alleati e avversari politici.

Berlusconi ha annientato Alleanza Nazionale – prima della fusione aveva il 10%, e oggi Fini è scomparso – ma Berlusconi ha massacrato anche la Lega, abbacinando Bossi con le cene romane alle quali veniva invitato anche il Trota, ai tempi trattato come il Delfino ufficiale di cotanto e furbissimo padre.

Berlusconi è sopravvissuto più di vent’anni, mettendosi da parte ogni volta che qualche politico/tecnico ingenuo si mettevano a fare politiche “di destra” o di semplice rigore, politiche che rimettevano temporaneamente i conti a posto, ma alla lunga avevano solo effetti puramente deflazionistici (pensiamo allo stesso Monti).

E poi risaltava fuori quando il suo ex-avversario trasformato in alleato si rovinava da solo, con le sue mani.

Ecco, io penso che Renzi possa essere la prossima vittima di Berlusconi, la più succulenta di tutte, perchè Renzi provocherebbe la fine del PD.

Insomma, credo che quella di tentare di abolire l’Articolo 18 sia stata una cattiva mossa, pericolosa, e che il PD stia rischiando grosso.
Ma penso anche che il PD è stato capace di opporre a Renzi solo Cuperlo, che sarebbe perfetto per fare il presidente del Rotary Club italiano, ma non di un partito che si dice di sinistra.

Insomma, il PD è a corto di leader ed è a corto di idee.
E nonostante il 41% alle Europee, rischia di fare una brutta fine.

P.S.

Inutile dire che non ho votato PD.
E che non cancellerò questo post, così mi si potrà rinfacciare di aver scritto delle vaccate, se mi sono sbagliata.
Ricordo anche a tutti che anche Einaudi (e non solo Mondadori) è di proprietà della famiglia Berlusconi, e quindi nessuno si stupisca di quello che scrivo, solo perché pubblico con Mondadori.
Gli autori Einaudi sanno chi è il loro parùn, lo sanno benissimo, ma non glielo rinfaccia nessuno…

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Consigli ai politici italiani: imparate dal sindaco di New York!

Sì, c’è di nuovo una guerra tra Hamas e Israele, una in Ucraina, e ci sono varie guerrette sparse per il mondo.

Sui giornali troviamo sbocchi di sangue quotidiani, in una corsa alla cattiva notizia che spaventa.

In Italia, però, gira una tristezza diffusa che non mi sembra il semplice risultato di uno sbocco empatico per i razzi di Hamas o quelli dell’esercito quotidiano.

La mia impressione è che la tristezza di noi italiani dipenda dalla lenta caduta collettiva della classe media verso un futuro incerto e di poche speranze.

Sono in arrivo le vacanze e per molti è il momento di farsi i conti in tasca: quante settimane al mare quest’anno? E l’anno prossimo?

Non tutti sono così fortunati – come me – da possedere una roulotte usata di decima mano (in Croazia), comprata quando presentivo l’arrivo dei tempi grami.

Neanche Renzi – biancovestito insieme alla moglie – riesce a farci passare la tristezza di questi tempi in cui si sente il sibilo dell’acqua che entra dalla falla, mentre la barca si rovescia lentamente.

Ho addirittura il sospetto che, dal punto di vista comunicativo, lo stile di Renzi possa sembrare poco sobrio e soprattutto poco efficace.

Lui tutto pimpante che guida la Smart, le camice bianche abbinate ai pizzi della moglie, l’aria giocosa e felice di chi se la passa bene: tutti fattori che mal si adattano alla puzza di bruciato che accompagna questi giorni estivi italiani, in cui le famiglie non possono più andare in vacanza come negli anni passati.

Bill De Blasio, il sindaco di New York, che non è certamente un idiota, si presenta invece all’aeroporto di Fiumicino col bagaglio a mano, le scarpe da ginnastica, e i figli piercati vestiti da turisti americani.
Dante e Chiara si chiamano i due eccentrici – e quindi normalissimi – adolescenti.

sindaco new york-2Insomma, gli americani hanno già visto affondare la loro classe media e oggi votano volentieri per persone che gli assomigliano.

E i politici americani stanno cambiando il loro modo di proporsi ai media: si presentano come persone normali, che fanno una vita assolutamente identica a quella dei loro elettori.

Insomma, non manca molto al giorno in cui in nessuno sarà disposto a dare il voto a qualcuno che assomigli anche solo lontanamente a un “borghese“, per quanto vecchia possa sembrare questa parola.

Anche i nostri vecchi-giovani politici italiani dovranno quindi imparare a sembrare persone della classe media (che affonda)  se vorranno ancora farsi votare da chi non va più in vacanza.

Altrimenti correranno il rischio di perdere quel po’ di simpatia guadagnata con i famosi 80 euro.

P.S.
Mi rendo conto che il post possa sembrare frivolo, ma non posso fare a meno di notare le differenze fra le giacche fatte su misura dai sarti italiani alla casta nostrana, e le camice da 50 dollari di Mr De Blasio.

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Quanto vale il voto di un italiano? 80 euro (lordi) al mese

Stanno arrivando gli 80 euro promessi da Renzi a circa 10.000 di italiani che appartengono a una serie di categorie che non starò a elencare, anche perché vengono allargate e ristrette ogni giorno a seconda, temo, dei sondaggi elettorali.

Non sono pochi 80 euro al mese (non sono sempre 80, ma sono variabili a seconda della fascia di reddito), anche se mi chiedo se basteranno per comprare i voti degli indecisi e degli incazzati.

Non credo che chi ha votato per il Movimento a Cinque Stelle negli ultimi anni, cambierà idea per 80 euro al mese.

Non so se neppure l’orientamento politico di una persona possa essere valutato secondo criteri economici basati sugli sgravi fiscali in busta paga.

E poi anche Mubarak prometteva agli impiegati statali egiziani un aumento degli stipendi, ma non aveva capito che in Piazza Tahir non c’erano gli statali.

Non so se Renzi sia in grado di capire l’Italia e non so se Renzi prenderà UN SOLO VOTO da chi ha meno di trent’anni.

Ho il sospetto di no. Neanche uno. Con o senza bonus.

 

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