Archivi tag: Twitter

Mi sono fermata

Sono assolutamente certa di aver sofferto di una dipendenza dal web, durata almeno un paio d’anni.

Per quasi due anni ho passato tutte le sere davanti al PC con l’obiettivo di pubblicare i miei libri su Amazon, e poi di promuoverli.

Ho scelto, nel 2012, di assumere una prima falsa identità – ero Nora O’Dublin – e poi ho buttato tutto via per ricominciare con un altro nome, quello che uso adesso.

Per due anni ho lavorato furiosamente, senza quasi mai fermarmi. Alla fine, uno dei miei libri è stato pubblicato da Mondadori, ma quando è successo, ero veramente troppo stanca per godermi la cosa. Anche perché, durante il lancio del libro, ero troppo occupata a seguire il mio blog e a rispondere alle persone che mi scrivevano.

Poi, non so bene come è successo, ma a un certo punto ho pensato che non avevo più niente da dire.

Non so bene quando è successo, ma dopo due anni in cui davo consigli a destra e manca su come promuovere un libro sul web e dissertavo di tutto – dalla solitudine alle politiche di Renzi sul mercato del lavoro – ho avuto la nettissima impressione che le parole se n’erano andate.

Le parole mi avevano lasciato e io non avevo più quell’abbondanza di opinioni con la quale mi ero lanciata sul web qualche anno prima.

Per me era arrivato il momento di ascoltare. Di leggere. Quello che scrivevano gli altri.

Anzi, mi sembrava che non mi sarebbe mai bastato il tempo per leggere tutto quello che volevo: dai libri ai post su Facebook. Dagli articoli di giornale ai Tweet delle persone che seguivo.

Non so, credo che anche l’ansia di restare aggiornati sia una forma di dipendenza, perché potrebbe valere anche per il desiderio di aggiornamento il motto dell’Anonima Alcolisti: “Uno è niente, e mille sono pochi”.

Solo un alcolista capisce che cosa vuole dire. Quando hai smesso di bere, se ricominci a farlo, un solo bicchiere sarà tanto, perché entrerai nella fase in cui mille bicchieri sono pochi: berrai fino a quando non stramazzi a terra, morto di alcol.

L’alcolista non si ferma: non è capace di bere solo tre bicchieri di vino, e poi non bere più fino al prossimo pranzo e alla prossima cena. L’alcolista beve fono a quando sverrà, o vomiterà, o sarà così distrutto dall’alcool da non riuscire più a buttare giù un bicchiere.

Nella dipendenza c’è proprio questa caratteristica: non potersi controllare, non riuscire a decidere quando fermarsi.

Io mi sono fermata a scrivere le mie ovvietà sul blog, perché avevo capito che mi sentivo male se per più di qualche giorno non trovavo qualche nuovo argomento per i miei post. E ho cominciato a leggere quello che scrivevano gli altri. Ogni giorno ci sono centinaia di articoli che varrebbero la pena di essere letti, e poi ci sono anche amici sul web che scrivono cose interessanti sugli argomenti che mi interessano, e sui quali non vorrei perdere nulla. C’è in particolare un gruppo su Facebook che seguo e mi dispiace se mi perdo qualche post.

Ma anche qui non sono stata in grado di darmi una misura. Ho letto troppo. Insomma, a volte una dipendenza viene semplicemente sostituita con un’altra.

Il web dà dipendenza, sia il un ruolo “attivo” che in uno “passivo”. Le voci che parlano sono diventate infinite. E l’ascolto potenziale è un moltiplicatore dell’infinito: quanti infiniti ci vorrebbero per ascoltare un’infinita sommatoria di infiniti?

Sono ubriaca di web. Non lo controllo, ma ne sono controllata. Senza più l’esaltata passione di due anni fa, quando trafficavo senza requie.

E lo scorso Natale, invece di godermi le vacanze, mi sono chiusa in casa (ancora di più) a scrivere un libro. Così orribilmente triste da avermi lasciato con l’umore essiccato e disperato per almeno un altro mese. Il libro è rimasto nel cassetto. Non ho il coraggio di farlo leggere a nessuno. Non so cosa mi stia succedendo: non lo so per davvero. Sono in attesa di capirlo.

P.S. Il post è un po’ troppo intimista, ma se penso alla porcata dell’ITALICUM mi viene voglia di partire per Roma a bordo di un Panzerfaust. L’orrore della politica interna italiana sta superando i limiti del buon gusto e del buon senso.

 

 

 

 

 

Contrassegnato da tag , ,

#Twitter I #love and #hate you by @veloceviola

Twitter è un social network che presenta livelli di difficoltà diversi – come i videogiochi che fa mio figlio – a seconda di come lo vuoi usare.

Puoi twittare delle semplici frasi testuali, ma puoi anche puoi aggiungere un hashtag, inserire una foto, usare i post in grafica, citare qualcuno, eccetera.

E puoi anche utilizzare un discreto numero di App che retwittano più volte lo stesso contenuto (così che i tuoi follower lo vedano anche se si collegano in momenti diversi da quello in cui l’hai postato per la prima volta), oppure che cancellano i following che non diventano tuoi follower, e così via.

Quello che devi decidere, però, è se vuoi usare Twitter per postare le tue fulminanti battute – che diventano per davvero virali, se sono per davvero buone – o se lo vuoi usare per citare contenuti che rimandano a qualcos’altro: un post che hai appena scritto su un blog, una foto, un libro che hai pubblicato su Amazon, eccetera.

Oppure – e qui secondo me si rischia moltissimo di annoiare il potenziale lettore – puoi twittare le tue conversazioni con gli amici.

In questo caso i twett diventano quelle cose incomprensibili che sembrano scritte da un extraterrestre, dove le parole quasi scompaiono per lasciare posto a hashtag, chioccioline, e link.

Bene, anche se uso Twitter nel modo più stupido e becero possibile – posto il link dei miei post sul blog – sono in grado di capire che i miei twett hanno una viralità prossima allo zero.

Su Twitter sono virali solo un paio di tipologie di tweet.

La prima è quella dei tweet con le foto e i selfie fatte da attori, cantanti, eccetera, perché li riprendono in momenti molto intimi e informali, e ti danno veramente l’impressione di poterli vedere come sono a casa loro.

Mi sono guardata anch’io tutte le foto postate da Ashton Kutcher quando stava con Demi Moore, perché appagavano la curiosità morbosa di una ex-lettrice di rotocalchi (guarita), che adesso può avere la sensazione di andare veramente alla stessa festa in cui va quel gran figo di Ashton, dato che guarda in diretta le foto pubblicate da lui.

Twitter è quindi un social potentissimo e viralissimo per chi è già molto visibile (di questa categoria non fanno parte solo gli attori, eccetera, ma anche personaggi nati sul web, ma che hanno un sito/blog molto conosciuto).

Ma per gli altri? Per i milioni di utenti ZERO che fanno fatica a mettere insieme un paio di centinaia di follower?

Bene, l’unica possibilità di diventare virale per un utente ZERO (categoria della quale faccio parte) è di buttarsi nella seconda tipologia di tweet che funziona, e cioè quella delle BATTUTE GENIALI E FOLGORANTI come quelle di Spinoza o di Casalegglo (che sta scomparendo).

Ma a nessun essere umano verrebbero più di un paio di battute buone al giorno, e il merito di Spinoza sta nel fatto di essere non solo un battutista, ma anche un uomo capace di selezionare le battute migliori della rete (che retwetta), mentre il finto Casaleggio era in realtà un “collettivo” composto da quattro persone (o forse qualcuna di più), che per qualche mese hanno fatto le migliori battute di satira politica di tutto il tweet made in Italy.

Insomma, Twitter è difficile, faticoso, e il “successo” (misurato in termini di follower) è alla portata di pochissimi.

Io di follower ne ho 217 e sono senza speranze.

Ma siccome ho una vita sola, e Twitter è veramente time-consuming, mi rassegno alla mia mediocre carriera di twittatrice.

Anche perché faccio meno fatica a scrivere un post prolisso e verboso come questo, che non a farmi venire in mente una di quelle battute che ammiravo e invidiavo del finto Casaleggio. Visto che persino loro si devono essere stufati.

#vadoadormire
#sonodisgrafica
#scusateirefusi

Contrassegnato da tag