La fantascienza nella testa (quella di Rita Carla Francesca Monticelli)

Rita Carla Francesca Monticelli scrive libri di fantascienza.  

È una biologa ecologa e immagino che sia in perfetta forma fisica. 

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Nessuno potrebbe sinceramente augurare a uno scrittore di fantascienza di fare la stessa vita di Philip K. Dick, perché pochi esseri umani sono stati infelici quanto lui.

Se non ci credete, potete cercare un vecchio libro di Emmanuel Carrère: “Io sono vivo, voi siete morti. Un viaggio nella mente di Philip K. Dick”,  per capire quali sono stati i costi fisici e psichici della sua produzione letteraria. 

Dick scriveva anche dieci libri in un anno, pagati sempre pochissimo, e per riuscire a resistere a quei ritmi doveva ricorrere all’uso di sostanze eccitanti, come per esempio l’anfetamina.

Ma non voglio fare il riassunto della vita di Dick, voglio solo chiedere a Rita come nascono le trame dei suoi libri.
Come nascono nella sua testa, insomma, visto che le trame fantascientifiche hanno qualche ingrediente in più di quelle di un romanzo “tradizionale”.

 

Rita, quanti anni avevi quando hai pensato di voler scrivere un libro di fantascienza?

Ciao Viola, grazie per l’ospitalità! La prima volta che ho pensato di scrivere un romanzo originale di fantascienza è stato solo nel 2006, quindi non tantissimo tempo fa. Avevo già scritto altre cose in precedenza, anche nell’ambito di questo genere, ma erano fan-fiction. In particolare avevo partecipato a una fan-fiction di gruppo nell’universo di “Star Wars”. Anni prima mi ero cimentata nella scrittura di sceneggiature di lungometraggi, ma erano più che altro thriller (più una commedia romantica), e da ragazzina avevo scritto la sceneggiatura di un corto di argomento paranormale (una storia di fantasmi). La fantascienza, però, l’ho sempre amata sin da bambina, ma non avevo mai provato a inventare un universo che fosse completamente frutto della mia immaginazione fino, appunto, al 2006.

Quali sono stati i fattori che hanno influenzato la tua scelta? Libri che hai letto e ti sono piaciuti, gli studi che hai fatto, un film che hai visto quando eri piccola e che ti ha colpito? 

Nel caso specifico dell’idea che ho avuto nel 2006, che poi si è trasformata in un romanzo tra il 2009 e il 2011 (e che finalmente pubblicherò alla fine di quest’anno col titolo “L’isola di Gaia”), tutto era nato da un sogno, uno di quelli che ti angoscia e di cui hai un nitido ricordo al risveglio. Chiaramente qualcosa l’aveva scatenato, forse un insieme di cose. Ho il sospetto che tra queste ci fosse la serie TV “Battlestar Galactica”, anche se la storia che poi ho scritto non è affatto una space opera.
Ho sempre visto tanta fantascienza già da bambina/ragazzina. Sono cresciuta con “Star Wars” (anzi “Guerre Stellari”!), “E.T.”, “Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo”, la serie dei “Visitors”, la trilogia di “Ritorno al Futuro”, “The Abyss” (ah, quanto mi piaceva quel film!) e tanti film e telefilm degli anni ’80.
Al contrario ho iniziato a leggere fantascienza solo quando ho deciso di scrivere quel romanzo. In realtà avevo letto qualcosa in passato, un libro di Asimov e qualche novelisation di film di fantascienza (tra cui lo stesso “The Abyss”), ma in maniera molto sporadica. Un po’ come tutti, leggevo i libri che trovavo in libreria e purtroppo di fantascienza se ne trovava e se ne trova sempre poca.
Probabilmente il mio interesse verso la fantascienza è legato agli studi scientifici che ho fatto, nel senso che entrambe le cose sono frutto dell’innato interesse che ho sempre avuto per le meraviglie della scienza, in particolare l’astronomia, con cui è stato amore a prima vista quando ho studiato geografia astronomica al liceo. Anche se poi mi sono laureata in biologia, ho sempre continuato a sollevare gli occhi per ammirare le stelle, la Luna e i pianeti.
A tutto questo aggiungi il fatto che mi è sempre piaciuto immaginare delle storie e farlo nell’ambito di questo genere mi permetteva muovere il mio sguardo un po’ più in là, verso il futuro, dove potevo creare le mie regole e fingere di essere anch’io laggiù a vedere con i miei occhi lo spazio, i pianeti, le stelle e la tecnologia di cui mi piacerebbe poter disporre.

Come sei riuscita a immaginare gli scenari e le trame dei tuoi libri? Li hai “visti” da qualche parte del tuo cervello, prima di descriverli?

Creo le storie per immagini, proprio come in un film. Adoro il cinema. Ammetto che per quanto ami leggere, nulla per me supera l’emozione di trovarmi nella sala di un cinema a guardare uno di quei film in grado di farmi perdere la percezione di me stessa. Perciò, quando immagino una storia, la vedo nella mia mente, solo che a differenza di come accade in un film, posso decidere di vederla attraverso un personaggio oltre che al suo esterno, posso rivederla con tutte le inquadrature possibili, oltre alla vista e all’udito immagino sensazioni tattili, gli odori, e vivo le emozioni dei personaggi. Scrivere per me è semplicemente un altro modo di vivere, in cui però ho il controllo o almeno ho l’illusione di averlo, perché ogni tanto i miei personaggi se lo prendono. I ricordi che scaturiscono dai momenti in cui scrivo una storia sono così reali che mi sembra di averli vissuti realmente, senza tutti i rischi e i fastidi associati. Diciamocelo, fare l’astronauta, per esempio, non farebbe di certo per me che non riesco neppure a leggere un libro in aereo senza che mi venga il mal d’aria… altro che essere sparata in orbita o stare in assenza di gravità!

Quando ti vengono le idee? Mentre non stai facendo niente e lasci vagare i pensieri, o quando ti siedi a un tavolo e ti leghi alla seggiola?

Nei momenti più svariati. Spesso, come ti dicevo, vengo ispirata da un sogno. Il mio subconscio rimescola le cose che vedo e tira fuori delle idee fantastiche, me le mostra proprio. Altre volte l’illuminazione avviene mentre guardo un film o assisto a qualcosa che coinvolge soprattutto la mia vista, per esempio, un paesaggio particolare durante un viaggio, magari associato a una musica che sto ascoltando in quel momento. Talvolta, invece, saltano fuori leggendo un altro libro o anche un saggio, che presenti uno spunto stimolante. L’idea di “Deserto rosso” per esempio è scaturita dalla lettura di un altro libro, “First Landing” di Robert Zubrin, che parla appunto di una missione su Marte, mescolata a un articolo letto tanto tempo prima sull’idea di mandare degli uomini a vivere il resto della loro vita su Marte. Questo è stato prima che scoprissi di Mars One, che ha proprio questa ambizione.
Comunque sia, quando mi metto davanti al computer per scrivere è perché ho a grandi linee in mente le idee base di una scena, poi il resto viene fuori naturalmente in corso d’opera. Come inizio a muovere le dita sulla tastiera, i personaggi prendono vita.

Cominci a scrivere un libro solo dopo avere deciso tutti i punti della trama, oppure cominci a scrivere solo quando hai una bozza di trama? E  ti vengono altre idee mentre stai scrivendo?

In genere inizio a scrivere un libro quando ho in testa almeno quattro cose (inventate in questo ordine): fine, inizio e due punti di svolta. È il meccanismo del paradigma che si usa per la scrittura delle sceneggiature. Vedi? Ancora una volta tendo a essere cinematografica.
Lo scorso novembre mi è capitato di scrivere un romanzo avendo solo in mente questi quattro punti e poi procedendo a fari quasi spenti, cioè con idee che coprivano tre o quattro scene successive a quella che stavo scrivendo. Sono stata costretta a fare così perché volevo partecipare al NaNoWriMo (una sfida che gli autori fanno contro se stessi ogni novembre, proponendosi di scrivere 50 mila parole di un romanzo dal 1° al 30 novembre), ma non avevo avuto tempo di preparare un’outline dettagliata.
In tutti gli altri casi, invece, prima di mettermi a scrivere, iniziavo sempre a prendere appunti sparsi, talvolta nei classici post-it, e ad accumularli, finché non li riordinavo e costruivo un’outline di massima. Una volta preparata questa, partivo dalla prima scena, ma poi spesso e volentieri il numero di scene aumentava rispetto a quelle previste e la trama seguiva strade diverse per poi giungere al finale che avevo deciso. Il bello di programmare tutto è che ti dà una certa sicurezza nel momento in cui ti metti davanti al foglio bianco, ma allo stesso tempo non crea vincoli. Puoi sempre cambiare tutto quello che ti pare, perché una storia, se prima non la scrivi, non puoi essere sicura che funzioni davvero.

Quanto ti influenzano le tue letture scientifiche? E come riesci a distorcerle fino a farle diventare “fantascienza”?

Dalle letture scientifiche, tra cui annovero anche i romanzi di fantascienza hard e i techno-thriller (tipo quelli di Crichton), traggo degli spunti per la scienza che viene inserita nelle mie storie, ma alla fine esse sono dominate più che altro all’elemento umano. La scienza si muove a volte di pari passo, come in gran parte di “Deserto rosso”, in parallelo, rimanendo un contesto in cui si muovono i personaggi, altre volte è lei stessa a fare la storia, ma in tal caso scivola spesso dal plausibile, quindi dalla fantascienza hard, al fantasioso, cioè verso la fantascienza soft. E così, per esempio, un retrovirus a RNA con tutte le sue caratteristiche di replicazione e trasmissione agli individui può diventare il prodotto di una biotecnologia in grado di cambiare “magicamente” il loro corpo rendendoli qualcun altro o, meglio, qualcos’altro di senziente. Mi diverto così tanto a mescolare la scienza vera, fatta di accurati dettagli, con l’immaginazione, per cui stabilisco delle regole altrettanto dettagliate e ferree, che, grazie alla sospensione dell’incredulità, talvolta è difficile scorgere il confine tra le due cose.
L’esempio che ho fatto nasce direttamente dal mio background, poiché ho studiato microbiologia all’università e ne sono sempre stata affascinata. A questo aggiungo qua e là informazioni tratte da letture, come articoli scientifici relativi a recenti scoperte o eventi di natura scientifica. Nella serie hanno trovato posto, per esempio, le teoria sulla possibile terraformazione di Marte, come pure il ritrovamento di gesso da parte del rover Opportunity sul pianeta rosso, o ancora il fenomeno della congiunzione con relativo blocco delle trasmissioni tra Marte e Terra per un mese avvenuto un anno fa, la procedura di ritorno orbitale descritta dall’astronauta Luca Parmitano nel suo blog, i diavoli di polvere alti 20 km che si formano sulla superficie di Marte visti in una foto scattata da un orbiter della NASA, il fenomeno della sublimazione del ghiaccio secco nei poli marziani durante l’estate che li rende di un bianco più luminoso e tantissime altre cose che in cui mi imbatto spesso per caso nel periodo in cui sto ideando o già scrivendo una storia e quindi ci finiscono dentro, in maniera apparentemente naturale, ma in realtà del tutto voluta, cioè con un intento divulgativo.

Secondo te, uno scrittore di fantascienza quali caratteristiche deve avere? E’ necessario che abbia un back-ground scientifico? 

Dipende dal tipo di fantascienza che scrive. Se si tratta di fantascienza soft, cioè non plausibile dal punto di vista scientifico, non è affatto necessario un background del genere, ma basta solo una fantasia particolarmente feconda. Se invece si scrive fantascienza hard, per forza di cose, bisogna essere plausibili e, se anche non è di certo obbligatorio avere una laurea in una materia scientifica, bisogna perlomeno avere una passione per una di esse che spinga lo scrittore a documentarsi e a comprendere, ma soprattutto assorbire e rielaborare le nozioni scientifiche. È ovvio che la fantascienza non è solo soft o hard, ci sono tutta una serie di gradazioni che richiedono competenze più o meno approfondite. Forse, più che un background scientifico, per essere credibili come autori di fantascienza è necessaria talvolta una semplice predisposizione della mente a fare proprie alcune nozioni scientifiche che possono essere apprese nelle maniere più disparate.

Non hai paura di perdere “l’ispirazione”? Il mestiere di scrivere non è fatto appunto solo di mestiere, ma anche di una strana mescolanza tra conscio e inconscio, dal quale nascono le idee nuove. Ti vengono spesso “idee nuove”?

Sai qual è la mia paura? Non vivere abbastanza da poter scrivere tutte le cose che mi vengono in mente di continuo. Anzi, più che una paura è una certezza, purtroppo. La mia immaginazione va mille volte più veloce delle mie dita. Sono piena di nuove idee e prendo di continuo appunti. Ciò che manca è sempre e soltanto il tempo per svilupparle. Ma non importa. Se un’idea non ce la fa, forse non era tanto buona. Chissà! Intanto però continuo ad accumulare idee e se, malauguratamente, un giorno dovessi perdere l’ispirazione, ho comunque tanto di quel materiale da parte che credo proprio mi basterà finché l’ispirazione si deciderà a tornare!

Ecco il blog e i libri di Rita Carla Francesca Monticelli

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