Non c’è serata casalinga che non finisca in rissa. Con mio figlio Tommaso, di anni undici, entrato in possesso di un PC tutto suo, dopo la diagnosi di dislessia.
Oggi, se sei dislessico, ti viene prescritto l’uso del PC come supporto didattico per lo studio, ma a casa il PC viene usato SOLO per i videogiochi.
Liberamente, largamente, lungamente. Senza possibilmente spegnerlo mai.
I ragazzi ormai sanno che, se sono dislessici, i genitori gli comprano un PC sul quale installare i software compensativi per la scuola (sintetizzatori vocali, mappe concettuali, eccetera).
Ma ai ragazzini dei software compensativi non gliene frega niente, manco della dislessia gli frega qualcosa, loro vogliono il PC. Punto.
Tanto è vero che l’ultimo compagno di classe di Tommaso al quale è stata diagnostica la dislessia, si è presentato in classe urlando di gioia: “Sono dislessico, mi comprano il PC!”.
E tutti giù a fargli i complimenti, qualcuno forse un po’ invidioso.
Festa grande, insomma, anche perché il giorno dopo l’acquisto del portatile, inizia l’orgia dei videogiochi.
Tommaso ha investito tutti i suoi risparmi da Free Games, un negozio vicino a noi, dove vendono i videogiochi con lo sconto.
Ci siamo andati insieme un paio di volte, mentre lui si guardava attorno con l’aria lasciva di uno che sta pensando: “ADESSO E’ TUTTO MIO, TUTTO MIO!”.
Poi si è informato con riverenza dal proprietario per sapere quale gioco fosse meglio: “Cosa dice: quale mi consiglia?”.
Siamo tornati a casa con un paio di “Sparatutto” – si chiamano così – che ha immediatamente caricato sul PC.
E adesso Tommaso spara. A tutto e tutti, in quei giochi maledetti dove si sentono sempre gli stessi rumori:
- passi di qualcuno che corre (sta scappando o rincorre qualcun altro),
- spari – Bum! Bum! Bum! – di chi sta scappando o di uno dei suoi nemici,
- ansimi, sempre di quello che sta correndo,
- urla – degli “Ahhhhh!” impressionati – dei moribondi.
Questo schifo è diventato il sottofondo musicale delle nostre serate, insieme alla musica di un altro gioco online, Dark Orbit, ambientato in non so quale galassia (più di una, credo), dove Tommaso, trasformato in astronave e non più in mercenario travestito da marine, spara alle altre astronavi.
Il sottofondo musicale di Dark Orbit è una specie di musichetta aliena che si ripete sempre uguale, su dei toni bassi, come un mantra tibetano. Anche dopo che sono riuscita a fargli spegnere il PC, la musichetta continua a rimbombarmi in testa.
Non se ne va, non mi lascia in pace, mi sembra di sentirla anche a letto.
Ma veniamo al dunque. All’urlo.
“Spegni il computer!”
Il primo urlo è verso le nove e mezza di sera.
Ma è solo il primo, lo sa anche lui.
Non vale niente, come dare un’allegra scampanellata in bicicletta mentre fai un giro nel quartiere.
Poi il livello acustico sale. L’urlo diventa un boato: “Spegni il computer, spegnilo!”.
Tommaso allora mi dice: “Svegli il figlio dei vicini!”, perché sa che si sono lamentati. Dei miei urli.
Io allora abbasso il tono di voce, e passo alla modalità di un urlo solo sussurrato: “Spegni il PC, spegnilo!”.
Lui se ne fotte. Continua a sparare. A un mercenario o un’astronave.
Lo minaccio, sempre sussurrando, di comminargli punizioni esemplari: “Ti tolgo questo e quell’altro!”, ma tanto lui sa che poi non lo faccio.
Continua a sparare imperterrito.
Allora spengo il modem.
Urlo sempre sussurrando: “Vai a letto, vai a letto!”.
Lui corre a riaccendere il modem.
Lo rispengo.
La scena si ripete due o tre volte, poi lui si sfianca e non lo riaccende più.
Andiamo a letto.
Come madre sono un fallimento.
Lo ammetto.
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