Domenica pomeriggio col figlio undicenne.
Tommaso è ancora in quell’età di mezzo – né carne né pesce, tanto per non essere banali – in cui ti sei stufato di stare con i genitori, ma sei troppo piccolo per andare in giro da solo.
Sì, all’oratorio un giretto da solo se lo fa, ma non gli va più manco quello.
Tommaso soffre di una noia consustanziale, da pre-adoloscente moderno, e non sa neanche lui cosa vorrebbe fare.
Passo la domenica a proporgli tutto quello che immagino potrebbe piacergli, e che magari piacerebbe anche a me, ma lui risponde immancabilmente: “Che pizza!”, oppure: “Che palle!”.
Io: “Vuoi andare al cinema?”
Tommaso: “Che palle, sempre la stessa roba!” (quale roba non si capisce, perché tutta l’industria cinematografica è diventata un immenso e indistinto bolo di noia).
Io: “Andiamo al planetario?”
Tommaso: “Che palle! Ancora?” (ci siamo andati un anno fa).
Io: “Allora chiama un amico!”
Tommaso, un po’ più interessato: “Chi? Chi chiamo?”
Faccio una proposta: “Chiama Tizio!”
Tommaso: “Tizio, che palle!”
Ci riprovo: “Chiama Caio!”
Tommaso, più convinto: “Sì, dai, lo chiamo!”
Gli passo il cellulare, così lui non consuma la sua ricarica.
Fa il numero e parte una di quelle buffe conversazioni fra pre-asoloscenti che non hanno ancora imparato a dire: “Ciao come stai, come va, eccetera”.
Tommaso, parlando con Caio, parte subito con: “Ciao sei libero?”
Sento Caio che risponde a Tommaso: “No, sono con un mio amico”
Tommaso: “Va bene, ciao”.
E mette giù.
Mi guarda con l’aria schifata, come per dire: “La tua solita proposta di merda…”.
Ricominciamo.
Io: “Andiamo al parco?”
Tommaso: “Che pizza, sempre al parco…”.
Lo so già: mi mancheranno i suoi “Che pizza!” quando non avrà più bisogno di me, e si farà gli affari suoi.
Mi godo i suoi ultimi sprazzi di noia, condivisa, prima che Tommaso sparisca per sempre, intruppato col branco alla scoperta del mondo.