Dico subito che voglio parlare di un libro che mi è piaciuto, scritto da Lilia Carlota Lorenzo, di cui mi reputo una grande amica, anche se non l’ho mai vista né conosciuta.
Ho incontrato Lilia sul web, grazie ai suoi libri, e ci scriviamo tutti i giorni come in un romanzo dell’Ottocento, con la sola differenza che le nostre lettere arrivano subito perché sono delle email.
Ma non ci siamo mai viste né parlate al telefono.
A Lilia non piace parlare al telefono.
Io invece l’avrei chiamata, ma lei mi ha spiegato che ODIA il telefono.
E quindi ci scriviamo anche dieci volte al giorno…
Bene, data questa bizzarra premessa, ne consegue che anche i libri di Lilia siano bizzarri, anzi surrealisti.
Perché Lilia è argentina, e viene dalla terra di Borges e Bioy Casares, mentre io vengo dalla Padania e tra i miei antenati letterari c’è un signore che si chiama Verga.
Ho già espresso tutto il mio sempiterno orrore per i maledetti LUPINI dei Malavoglia, ma di quei LUPINI SCHIFOSI siamo tuttora impregnati, e la letteratura italiana è la figlia diretta di quel Verismo o come diavolo si chiama, di cui non ci siamo mai liberati.
Nei libretti che scrivo io, la mia più grande preoccupazione è che la storia che racconto sembri VERA, mentre Lilia se ne sbatte della verità.
In Malamadre è tutto inventato.
Solo nelle prime pagine potresti avere l’impressione che Lilia ti stia raccontando una storia vera, ma poi basta un incidente d’auto per entrare in un mondo inventato in cui NULLA E’ VERO, anche se è minuziosamente descritto.
Fortaleza, il paese surreale dove si svolge la storia, non esiste – è CHIARAMENTE inventato di sana pianta – ma si anima nelle pagine di Liliana fino a diventare un Paradiso Terrestre dove gli alberi danno frutti giganti e i fiori di un giardino sono tutti azzurri.
Non voglio raccontare nulla della trama, ma solo dire che per tutto il libro aspetti che succeda una tragedia e non riesci a capire chi sia il serpente che ti sta porgendo la mela avvelenata.
Credo che la tensione narrativa – si dice così? – nasca proprio dai contrasti messi in scena da Lilia: la verità e le bugie, la bellezza di Fortaleza e il male che si nasconde proprio dietro quello che ti sembra più bello.
Ma il libro di Lilia non è la raccolta di stucchevoli descrizioni di luoghi fantastici.
Al contrario. Come nei romanzi latino-americani, gli eventi sono collegati da una TRAMA che è fondamentale per portare avanti la storia e arrivare alla conclusione.
Nell’Invenzione di Morel, di Bioy Casares, la soluzione arriva solo quando si scopre come funziona la macchina che proietta le immagini – assolutamente reali – delle persone che popolano l’isola.
E proprio come nell’Invenzione di Morel, Lilia ti porta fino al più bizzarro dei finali, dopo averti descritto le cene meravigliose che vengono offerte al protagonista smidollato, che non riesce a intravedere l’orrore che si nasconde dietro le bottiglie di vino francese portate in tavola tutte le sere – nella Pampa? – seguite dai dopocena in cui donne bellissime gli si offrono ogni notte, come se lui fosse l’unico e ultimo uomo sulla Terra.
Non ho dubbi. Per inventarsi Malamadre ci voleva un’argentina. Noi, invece, abbiamo i LUPINI nel sangue.
Trovate il libro di Lilia su Amazon, ai soliti prezzi popolari…
Questa sì che è una bella recensione!
Dovessi mai pubblicare un libro, di sicuro mi rivolgerei a te.
Buon Anno.
Nicola