Mio figlio Tommaso – anni dodici – sta cominciando a fare qualche volo fuori dal nido.
Prende da solo la metropolitana a Porta Genova per andare a rugby (che adesso non gli piace più).
Poi sale sul monopattino, che si porta dietro, e fa un chilometro e mezzo, lungo una strada non proprio frequentatissima, per arrivare al campo (che è dalle parti di Lambrate). Ritorna, sempre da solo, verso le nove di sera.
Insomma, non mi posso lamentare dei suoi primi voletti nel mondo, anche perché LUI non ha paura e mi sembra molto tranquillo.
Neanche io ho paura che lo rapiscano gli alieni né tanto meno una banda di pedofili, che preferiscono da sempre razzolare in paesi dove, se sparisce un bambino, non succede niente.
E’ tristissimo, ma verissimo: Cambogia, Vietnam, e altri paesi asiatici sono da sempre la meta preferita del turismo sessuale dei pedofili, perché i bordelli sono tollerati e alla luce del sole. Complice qualche mancia generosa data ai poliziotti locali.
Ma un ragazzino di dodici anni è pur sempre un po’ svagato, e fino a quando Tommaso non è arrivato a casa, sono un po’ in apprensione.
Cosa faccio, allora, se per caso è in ritardo di un quarto d’ora rispetto all’ora in cui dovrebbe tornare da rugby, più o meno verso le nove di sera?
Lo chiamo sul cellulare.
E lui risponde alle mie chiamate?
NO, NO, NO.
Il suo cellulare in genere è scarico, oppure l’ha infilato nella tasca di qualche borsa/cartella e quindi non non sente la suoneria.
E siccome è un maschio, e cioè mostra già tutte le doti di insensibilità e mancanza di attenzione per l’ALTRO che svilupperà poi pienamente da adulto, non pensa che sia il caso di avvisarmi se sta per arrivare con mezz’ora di ritardo.
Tommaso scompare dai radar, alle nove di sera, e se ne fotte.
Magari l’allenamento è durato un po’ di più, oppure gli succedono cose buffe, come per esempio perdere una scarpa.
Lui sa di essere in ritardo, ma non mi telefona per dirmelo.
Io allora comincio a chiamarlo sul cellulare, che in genere è spento.
Se invece il cellulare è acceso, lui non risponde.
In quel quarto d’ora di ritardo immagino che Tommaso sia stato rapito veramente dagli alieni oppure da una banda di criminali che lo porteranno per sempre via da me, o magari l’ha tirato sotto una macchina.
Mi chiedo quanto aspetterò prima di chiamare la Polizia per avvisare che mio figlio è scomparso.
A meno che non siano prima i poliziotti a chiamarmi per dire che Tommaso è in un Pronto Soccorso e devo correre da lui.
Non credo di essere “fuori media” con le mie ansie.
Forse i padri non le hanno o le hanno meno di una madre.
Una volta i padri avevano il compito di impedire che i figli – maschi – restassero incollati alle gonne della mamma, ed era loro compito difenderli dai tentativi di “trattenimento” compiuti dalle madri.
Non so se sia vero anche oggi. So solo che cerco di non trattenere mio figlio, anche se poi lo stalko inutilmente sul cellulare.
E rimango da sola col mio batticuore.
Da figlio penso a quanto possa essere vero per ogni madre , o genitore in generale 🙂 Questa voglia di sapere che deve mitigarsi con noi figli che ci siamo sentiti da ragazzi “stalkerati” dai genitori che chiedevano troppo. In realtà solo di stare tranquilli 🙂
Un caro saluto!
Curi – dodicirighe
Commento lungo in totale empatia. Giovanni ha dodici anni, da sette mesi viviamo a Bucarest. Una sera sono le dieci e mezza e non arriva ancora dal basket, deve dargli un passaggio il fratello di un compagno. Il suo cellulare suona a vuoto, dopo la terza volta che provo butto un’occhio in camera sua e vedo il Samsung illuminarsi silenzioso e inutile al centro del letto. Siamo già a letto, il padre telefona e scopre che l’accompagnatore non ha preso anche Giovanni. Si riveste, prende le chiavi dell’auto e alle undici di sera parte alla ricerca. Passano solo dieci minuti prima che ritornino, il tempo di un piccolo doloroso parto. Sono quei momenti che prima o poi arrivano ma non ora, non qui, ti prego. Sento che sto singhiozzando e il cuore mi galoppa impazzito. Sto stendendo un bucato, mi aggrappo ai gesti di sempre nell’attesa di ritrovare un equilibrio. Sento aprire la porta di casa, “sono tornato a piedi, a prendermi non ho visto nessuno. Ma una figata, mi sono divertito, avevo le cuffie, la musica. C’erano solo dei cani che a un incrocio non mi piacevano ma vicino c’erano anche due della security. Poi bello camminare nella nebbia, non ho avuto paura sai, anzi… notte mamma, bacione!” La palestra è a cinque chilometri di distanza, ha buon senso dell’orientamento il Gio e soprattutto più raziocinio della madre che a tutto pensava tranne che alla minaccia dei cani randagi. Quella sera è nata la mamma di un adolescente.
Ciao lucia, ho visto che hai un blog. Mi sono subita iscritta. Scrivi anche libri?
Ciao Viola, intanto bravissima per quella torta di mele che hai potuto condividere con due editor della Mondadori, poi benvenuta nel mio blog, e non esagero se ti dico che sei la seconda o terza iscritta, è qualcosa che sto covando ma ancora non so che forma vuole prendere. Libri – se parliamo di narrativa – ahimé ancora non è ho scritti, anche quelli continuo a covarli. Insomma sono più gallina di quanto non possa sembrare a chi mi conosce. Nel frattempo leggerò con molto interesse i tuoi lavori.
Viola ciao, la tua torta di mele è il segno che tutto lievita quando deve. Intanto benvenuta nel mio blog abbastanza clandestino, per ora libri soltanto sulla nuvola e non parlo di ebook.