Scusate se continuo con la serie dei post un po’ lacrimosi sui costi umani della crisi economica italiana.
Parlo di costi umani, perché il lavoro precario ha dei costi psicologici molto alti, visto che non consente di fare progetti basati su una continuità di reddito.
E’ difficile decidere di fare un figlio se non sai se domani avrai ancora un lavoro.
I lavoratori precari sono uno dei risultati della crisi, ma la precarizzazione del lavoro ha anche l’effetto di peggiorare ulteriormente la nostra situazione economica.
Se gli stipendi/compensi dei lavoratori sono bassi e saltuari, allora si abbassano anche i consumi interni.
Le imprese che producono beni destinati al consumo interno – e non alle esportazioni – venderanno di meno, e quindi licenzieranno nuovi lavoratori.
Basta solo il buon senso per capire che stiamo andando verso una situazione dove il lavoro sarà sempre meno stabile e remunerato sempre di meno.
In parole povere, aumenterà il numero dei lavoratori pagati poco e male, mentre le categorie protette – con un contratto a tempo indeterminato – si estingueranno lentamente, fino a quando l’ultimo impiegato non sarà pensionato ed eliminato definitivamente dal mercato del lavoro.
Io sono quindi certamente la madre di un futuro precario, ovvero di un lavoratore che dovrà sbattersi tutta la vita per riuscire ad aggiudicarsi dei lavori a termine, alla fine dei quali, cioè, dovrà cercarsi un altro lavoro.
Ma ci sono già molte donne che hanno i figli che non sono riusciti a entrare nel mercato del lavoro garantito e protetto.
Figli che hanno forse già qualche difficoltà economica.
Figli che le madri (e i padri) devono aiutare quando ci sono periodi di vacche magre.
Tutti i genitori vorrebbero vedere i loro figli tranquilli, senza saperli preoccupati o, peggio, disperati.
Ogni genitore vorrebbe proteggere il proprio figlio fino a quando gli è possibile, ma c’è un punto oltre il quale la nostra protezione non può andare. Perché anche i genitori possono finire nella merda – le nostre pensioni faranno schifo – o semplicemente perché a un certo punto i genitori muoiono di vecchiaia.
Insomma, se penso al futuro di mio figlio, non sono per niente tranquilla.
Non so se mio figlio troverà un lavoro, non so come sarà il lavoro che troverà, e non so se mio figlio capirà che bisogna essere parchi e consumare poco per riuscire a sopravvivere nel mondo affollato che lo aspetta.
Nulla è più doloroso dello statuto di consumista frustrato, e spero che a Tommaso non passi mai per la testa che comprarsi una bella macchina possa dargli qualche tipo di soddisfazione.
So che già che Tommaso non potrà comprarsi la macchina in questione, ma soprattutto spero che non desideri quella macchina.
Spero che mio figlio, futuro precario, impari a campare di poco e non sia vittima di desideri idioti e consumisti.
E spero che guadagni abbastanza per mettere insieme pranzo e cena.
E parlo di pasta al burro, non di tagliata di manzo.
Non sai quanto ti capisco: io di figli ne ho due, avuti quando pensavo di avere un lavoro e un marito sui quali fare affidamento. Ora non ho più nè l’uno nè l’altro, e i miei figli già hanno imparato la fortuna di poter mangiare almeno una volta al dì un piatto di pasta… con l’olio….