Viola, comincerò con la più banale delle domande. Ti piace scrivere?
Se tutte le domande saranno così stupide, non andremo molto lontani…
Va bene, allora puoi dirmi perché lo fai? Insomma perché la sera stai davanti a un computer invece di passare in modo più divertente le tue serate?
Neanche questa domanda mi sembra molto brillante, ma ti risponderò lo stesso. Ho sempre pensato che la scrittura potesse diventare il mio secondo lavoro e che avrei potuto farci qualche soldo. Non sai mai quando non arriveranno i tempi grami e bisogna avere sempre un altro colpo in canna.
Cosa vorresti dire? Che scrivevi pensando di GUADAGNARE dai tuoi libri?
Sì, certo. Mai pensato di scrivere capolavori. E’ da coglioni avere una buona opinione di sé. A Hitler piacevano i suoi quadri come a Mao piacevano le poesie che poi faceva leggere a un miliardo di cinesi. A me non piace quello che scrivo. Ma penso che sia meglio di certa roba che pubblicano adesso.
Viola, cosa c’entra Mao?
Ecco un suo verso: dimmi sei ti piace: “Soltanto uomini coraggiosi danno caccia alla tigre, ancor minore è la paura che i valorosi hanno dell’orso. Fiori di pruno per la gioia che il grande cielo sia innevato; rigide mosche congelate, e nessuno che se ne stupisca”
Hai ragione, fa schifo…
Hai capito cosa volevo dire? Scrivere sperando di guadagnarci due soldi è più dignitoso che non scrivere perché sei convinto di essere un genio!
Va bene, ma tu l’hai scritto da tutte le parti: nessuno ha mai voluto pubblicare quello che scrivevi! Forse erano porcate…
Allora… questa è la vera storia delle mie porcate. Quando ho scritto il primo libro, nel 2004, non esisteva ancora l’editoria digitale.
L’unica possibilità per chi aveva un libro nel cassetto – o un Goncourt in salamoia, per dirla con Céline ‒ era di trovare un editore cartaceo disposto a pubblicarlo.
E quindi?
Le strade che si aprivano di fronte a un volenteroso scrittore erano solo due: trovare un agente letterario che fosse disposto a contattare gli editori per proporre i suoi libri, oppure stamparne un discreto numero di copie in qualche rilegatoria dalle parti dell’Università Statale in Via Festa del Perdono – sono di Milano ‒ e poi mettersi in coda alle Poste per mandare i dattiloscritti agli editori, dopo aver trovato l’elenco degli indirizzi sul web.
Anche se sapevamo più o meno tutti – noi autori allo sbaraglio – che i manoscritti sarebbero probabilmente finiti in qualche sgabuzzino secondario, letti più probabilmente dai topi che non da occhi umani.
E tu che cosa avevi fatto?
Qualche manoscritto l’avevo imbustato e spedito anch’io, ma poi ero riuscita a contattare un agente letterario che aveva trovato il mio primo libro ben scritto e aveva accettato di rappresentarmi. Con esiti altrettanto letali di quelli dell’invio del manoscritto ai topi degli scantinati delle case editrici.
Bocciata, insomma…
Sì, l’agente aveva mandato il libro a qualche editore, ma quando erano arrivati i primi no, si era scoraggiato immediatamente. E mi aveva detto: “Perché non ne scrivi un altro?”.
E tu?
Ho continuato a provarci. Dal 2004 al 2010 ho scritto tre libri, tutti affidati all’agente in questione, e tutti sonoramente bocciati.
Tre libri bocciati con lo stesso agente? Sei masochista!
Mi sono detta un sacco di volte che il mio insistere con lo stesso agente – fallimentare ‒ era una forma di masochismo piuttosto idiota, anche perché l’agente in questione si scoraggiava più di me quando bocciavano uno dei mie libri, e quindi non mi comunicava messaggi del tipo: “Brava, vai avanti!”, ma mi diceva appunto: “Questo libro fa schifo, magari il prossimo sarà meglio!”.
Insomma, sei anni sbattuti nel cesso!
Non completamente… il risvolto positivo del mio perseverare con un agente così svalutante è stato il fatto che ho continuato a scrivere, e quindi alla fine di capolavori nel cassetto ne avevo addirittura tre. E nel frattempo era arrivata l’editoria digitale…
TO BE CONTINUED…
Ma quanto vale oggi un acquerello di Hitler? Credo che ci sia ancora qualche pazzo che se li compra.
Ho letto che un polacco ha pagato 43.000 euro per uno dei suoi fetidi acquerelli.
Immagino che fosse un polacco nazista, che attribuiva all’opera un valore sentimentale, perché sui Navigli, paghi al massimo dieci euro per quel tipo di acquerelli. Ma dieci euro sono già tanto.