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Web stress: seconda puntata

Nella prima puntata sullo stress da web ho fatto la parte di quella figa che parla dello stress degli altri, in genere adolescenti alle prese con i “Mi piace”, eccetera sui social network.

Adesso parlerò del mio stress da web, che peraltro non è niente rispetto allo stress che mi provocano i guai veri della vita.

Ma siccome non uso il blog per parlare del mal di denti, mi dedicherò alle minuscole forme di stress che possono essere provocate dall’esposizione – di un adulto – sui social network.

Nel mio caso, il primo motivo di stress è dato dal fatto che ho autopubblicato dei libri e i lettori dotati di mouse oggi sono molto più temibili di quelli che una volta erano dotati solo di portamonete.

Una volta – parlo di meno di cinque anni fa – i lettori entravano in libreria, compravano il libro e FORSE lo leggevano.
Agli editori interessava solo sapere quanti libri avevano venduto.
Nessuno (fra gli editori) sapeva – o era interessato a sapere – che cosa pensavano i lettori.
Gli unici dati che lettori ed editori avevano a disposizione erano quelli relativi al numero di copie vendute.

Con il web 2.0, che  non è altro se non un web facile da usare, in cui è diventato semplicissimo produrre e pubblicare contenuti, anche il lettore dice quello che pensa e ha il potere di “muovere” il mercato editoriale.

Ho già pubblicato l’intervista a Claudia Peduzzi, perfetta lettrice digitale, che legge e recensisce sui social network molti dei libri che ha letto.

Leggo con molta attenzione tutto quello che scrivono i lettori su Amazon, e ho addirittura riscritto delle parti di “Omicidi in pausa pranzo”, dopo che un paio di lettori mi avevano segnalato di aver capito troppo presto chi era l’assassino.

Fair enough: se una critica è onesta e serena, e anche per l’appunto critica, sono la prima a tenerne conto.

Il problema nasce invece quando le critiche arrivano dai Fake o da un tipo di lettore che definirei stitico.

Parliamo prima degli stitici: sono quelli che danno bacchettate in giro e si limitano in genere a scrivere poche righe, molto svalutanti e spesso un po’ cattivelle.

Il lettore stitico è quello che da una o due stelle a TUTTI, tranne forse che a Petrarca, contro cui mi sono battuta ad armi pari in una promozione a zero euro su Amazon, durante la quale ho sfidato Dante e Verga nelle classifiche Amazoniane.

In genere lo stitico scrive poco: stronca e basta.

Per carità, non penso che mi suiciderò come Tenco in una stanza d’albergo a Sanremo, perché sono stata stroncata dai lettori, però qualche mal di pancia di mi è venuto. Ma sono mal di pancia che mi tengo volentieri quando capisco che l’utente è VERO.

E cioè se si tratta di un lettore un po’ severo, che però ha già fatto altre recensioni e ne farà delle altre.

Il mal di pancia invece aumenta quando ti trovi di fronte a un Fake.
E cioè a qualcuno abbastanza smanettone da essere riuscito a inventarsi un profilo su Amazon (collegato a una carta di credito, per di più), profilo che usa per colpire TE e magari qualche altro self.

Riconosci il Fake perché di solito lascia solo una cattiva critica per uno dei tuoi libri e poi scompare, oppure lascia una stelletta per te e cinque a caso per un altro paio di libri (sui cani, magari). E poi scompare di nuovo.

Essere un autore 2.0 – tanto per non essere banali – significa quindi beccarsi una discreta quantità di bastonate, spesso quotidianamente, spesso date da persone che nascondono la mano con cui ti colpiscono

Bastonate incise nella pietra del web, perché il web è diventato ormai molto più resistente e longevo delle pietre.

Se qualcuno ti stronca sul web, ti fa molto più male di quanto non avrebbe potuto farti una stroncatura su un giornale.
La carta va a finire nel bidone della carta.
I link invece portano a contenuti che girano su qualche server del Nevada che non si fermerà mai…

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Web stress

Lo stress da web è una delle patologie – recenti – più diffuse.

I sintomi sono molto chiari.

Si contano i “Mi piace” ai propri post su Facebook o sulle Fan pages, si gioisce quando un post riceve un alto numero di commenti o quando un Tweet va alla grande (retwittato, eccetera). Poi ci sono le foto su Instagram o su Flickr, i “Mi piace” o i commenti sul canale di Youtube, e così via.

Se i “Mi piace” e tutto il resto sono tanti, ti migliora l’umore, se invece nessuno ti ha cacato, ti viene una depressione micidiale.

Ci sono anche degli algoritmi che misurano quanto “peso” hai nella rete – il più famoso è l’indice di Klout – che misurano quanto lunga è l’onda virale suscitata dai nostri post sui social network.

Ho conosciuto persone che si vantavano di avere un Klout molto alto, ma la maggior parte degli adolescenti che bazzicano sul web, il Klout ce l’hanno basso. E anche se non sanno che cos’è l’algoritmo che misura la loro influenza, passano le giornate a cercare sulla Rete qualcosa di molto divertente – video, in genere – da postare su Facebook (per farsi dare un “Mi piace” dagli amici), e poi controllano compulsivamente come stanno andando i loro post.

Lo stesso discorso vale per Instangram e per i social network più facili da usare di Twitter, che invece ha sempre raccolto l’utenza più sofisticata del web e sembra stia per trasformarsi in qualcosa di più simile a un social network tradizionale (con foto e video in evidenza).

Insomma, lo stress da web prevede la ricerca compulsiva di contenuti da pubblicare (che spesso sono solo copiati dalla Rete, solo raramente sono prodotti da chi li pubblica), e poi il controllo compulsivo per verificare l’effetto che hanno avuto.

Come sia possibile guarire da una siffatta dipendenza – che provoca stress – non mi è dato di sapere.

Ne soffro anch’io, anche se non passo il tempo a cercare su Youtube i video che fanno ridere.
I contenuti che pubblico sono prodotti da me, ma non è che abbiano un indice di klout così alto.

Anche perché sulla Rete, l’indice di Klout più alto ce l’hanno i video con i gattini che suonano il piano e i bambini che cadono dall’altalena.

Insomma, o ci mettiamo a scoreggiare come Frank Matano – che mi fa ridere: è un comico naturale – oppure ci rassegniamo ad avere l’onda corta.

Lui ha milioni di “Mi piace”….

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