Archivio mensile:settembre 2013

Tommaso come i giapponesi

Adesso i giapponesi vanno un po’ meno di fretta, ma fino a qualche anno fa si fermavano – davanti ai monumenti e le chiese italiane  – solo il tempo necessario per fare una foto.

Le cose non venivano GUARDATE, venivano FOTOGRAFATE.

A me sembravano dei pazzi, incapaci di godersi con calma le bellezze del nostro paese, ma erano solo i precursori del web.

Adesso infatti le cose vengono FOTOGRAFATE con uno smartphone per essere POSTATE sul web.

In genere su Facebook, ma anche su Instagram.

Mi spiego meglio.

Oggi pomeriggio, ho portato Tommaso e un suo amico al Museo Leonardo da Vinci.

Ci andavamo anche quando era piccolo. Lo iscrivevo ai “laboratori”, dove gli facevano fare una tazzina di ceramica che io buttavo via (di nascosto da lui) appena arrivati a a casa, oppure affrescava un mattoncino, buttato via anche quello (sempre di nascosto) appena arrivavi a casa.

Mentre lui trafficava nei laboratori, io mi appisolavo su una sedia. In genere, le animatrici mi incitavano a partecipare: “Non vuole dare una mano al suo bambino?”.

Io scuotevo la testa per dire di no, ma in realtà stavo già dormendo con gli occhi aperti come i cavalli.

Oggi, invece, Tommaso e il suo amico, un po’ più grandicelli di quando passavo quei meravigliosi pomeriggi sonnacchiosi, non hanno voluto fare i laboratori, ma si sono avventati come SPARVIERI  su locomotive e arei per fotografare TUTTO  quello che gli capitava a tiro, e per condividerlo immediatamente su qualche social network.

Salivano e scendevano dalle cabine di guide delle locomotive con i cellulari in mano, con l’aria trionfante di uno Cherokee che abbia appena scalpato il nemico (e levi in aria lo scalpo).

Ma neanche io mi sono comportata meglio.

Ho trovato una ghironda e l’ho postata su Facebook, e poi ho chattato – pubblicamente – con l’amico – ciao Marcello! – a cui volevo far vedere la ghironda.

Mi sono quindi buttata a fare una serie di foto a Tommaso per mandarle via email a mio fratello, perché le facesse vedere a mia madre (che ha il Galaxy).

Tranqui.

Arrivo subito alle conclusioni senza fare le solite premesse.

La domanda – very deep – è la seguente: il REALE esiste solo se può diventare VIRTUALE?

E potrebbe esistere qualcosa che non sia anche VIRTUALE?

Insomma, se facessimo scomparire da Internet tutte le notizie/info storiche sul Re Sole, egli esisterebbe ancora?

Per me forse sì, ma per Tommaso di sicuro no.

Ma qua stiamo entrando nel filosofico.

La famosa filosofia del caz…

Mi fermo qui, prima che ritorni sulla storia di Mister Longest.

Anche se la Signora P. mi ha consigliato un secondo beauty contest: quello per eleggere Mister Grossest.

Anche se sospetto che li vincerebbe tutti e due il solito marito della solita Signora P.

Meglio che vada a dormire…

Dudù e la libertà di stampa

Nessuno può darmi torto su una triste constatazione: nei paesi civili, è impossibile diventare premier se possiedi una mezza dozzina di canali televisivi più numerose testate giornalistiche.

E nei paesi civili, nessuno saprebbe come si chiama il cane – Dudù – dell’ultima favorita dell’Innominato.

Cane che compare nelle patetiche foto in cui la fidanzata si china amorevole come un’infermiera sull’Innominato in questione, che non riesce più a nascondere l’età sotto gli etti di cerone che gli spalmano in faccia le sue truccatrici.

L’Innominato sembra una statua di cera del Museo di Madame Tussauds, e nessuno può seriamente credere che la fidanzata-infermiera lo AMI.

Anche perché sono note a tutti le foto della signorina – con Dudù in braccio – lanciata negli attacchi di shopping di cui soffre, anche se la parola sofferenza non è la più adatta al contesto.

La si vede infatti comprare a mani basse occhiali, vestiti, gioielli, eccetera, scortata dalle guardie di colui che AMA.

Ecco, in un paese in cui la stampa fosse libera, e non di proprietà del patrigno di Dudù, qualcuno saprebbe come si chiama quel cane?

Io credo di no.

Non per questo ritengo che il cane in questione debba essere consegnato a un ristorante cinese con la raccomandazione di cucinarlo secondo le antiche ricette dei cuochi di Shanghai.

Anche se in un vecchio film di Fantozzi, succedeva veramente. Col cane della Signorina Silvani.

In realtà il ristorante era giapponese e il pechinese veniva cucinato per sbaglio (e servito alla Silvani).

Il cane si chiamava Pier Ugo, e la scena mi fa ridere ancora adesso.

Ma eravamo in un film di Fantozzi.

Adesso, invece, è tutto vero…

Ultimo spregevole post sul campo nudisti: l’elezione di Mister Longest

Non  vorrei fare concorrenza alle scoregge di Frank Matano, che fa sei milioni di click su Youtube (guadagnando cifre sconsiderate per la pubblicità), ma mi concedo un’ultima trivialità.

I commenti delle donne (nel campo nudista che frequento in Croazia) sui piselli degli uomini.

Forse dovrei dire “i commenti delle donne italiane”, perché le straniere sono probabilmente  più politically correct di noi.

O chissà, magari non eravamo solo noi a parlarne, perché, non capendo il tedesco, non decifravamo i commenti delle altre donne che ne parlavano tra loro.

Adesso faccio come al solito una delle mie necessarie premesse (le chiamo sempre così).

Ordunque, vedere una tonnellata di piselli al vento, in un campo naturista, potrebbe far passare i pensieri impuri a chiunque.

Non è – credetemi – uno spettacolo emozionante come quello del rossore sulla pietra alpina quando il sole tramonta.

E se devo proprio dirla tutta, anche se non c’entra niente, trovo il porno molto poco inspiring: nulla è più noioso e leggermente nauseante di un film porno in cui una donna fa finta di entusiasmarsi di fronte alle beltà di un membro eretto.

Potete quindi immaginarvi le risate che facevamo noi “ragazze” (tutte mamme di una certa età), quando ci trovavamo di fronte a qualcuno MENO dotato del solito.

Sì, perché la donna ride  (anche abbastanza gustosamente), quando si trova di fronte una montagna di maschio che non sia perfettamente proporzionato (avete capito tutti).

Adesso scendo veramente rasoterra…

Una sera, mentre parlavamo dell’argomento a un tavolo MISTO (maschi e femmine), una delle nostre commensali il cui nome comincia per P. ci confermò quella che sembrava un’impressione condivisa: i tedeschi ce l’hanno piccolo.

Su questo argomento – le ridotte dimensione del membro germanico – c’eravamo trovate tutte d’accordo, e sempre la signora il cui nome inizia per P. ci confidò di aver trovato su Internet una cartina – scientifica? – sulla distribuzione geografica dei piselli (da quelli più lungi a quelli più corti), dove appunto aveva trovato la conferma – scientifica?  – alla nostra ipotesi.

Il maschio germanico, insomma, sarebbe tra i meno dotati del MONDO, mentre gli italiani verrebbero subito dopo gli africani.

Conclusione: tutte le vecchie favole sulle tedesche che calavano in Italia a cercare il Latin Lover avrebbero quindi un fondamento (scientifico?).

Felici dunque di aver scoperto quest’importante verità – scientifica? – abbiamo subito pensato di eleggere tra gli italiani che conoscevamo Mister LONGEST.

Ha vinto il marito della Signora P.

Che tra due secondi leggerà il mio post.

Ma il nostro beauty contest continua.

Si cercano volontari.

Un’involontaria visita ginecologica (sempre nel campo nudista)

Non pensate che i nudisti siano degli zozzoni pronti a poggiare le palle e la “cosa” sulle sedie degli altri o su quelle dei ristoranti, o addirittura sulla nuda spiaggia.

No, il naturista viaggia sempre con un asciugamano che appoggia dove poi poggerà il proprio pulitissimo sedere, senza spargere nessuna eventuale malattia venerea o fungina.

Sono passati gli anni ’80, in cui finii con un’amica su un’isola spagnola frequentata da fricchettoni.

Fummo avvisate che c’era un camping libre con una playa nudista, dove ci accampammo tra le cacche dei nudisti che giravano per cercare i cespugli meno frequentati (per depositare le cacche in questione), mentre noi due letteralmente abbaiavamo fuori dalla tenda per difendere i nostri cespugli dove avremmo fatto la cacca NOI (scusate, ma l’argomento mi piace, l’ho già detto).

Nell’unico bar della playa nudista tutti si sedevano rigorosamente nudi sulle nude panche – zozzissime – di legno.  Ricordo che io e la mia amica guardavamo esterrefatte (e un po’ schifate) tutte le palle appoggiate sulle panche luride, dove non avrei mai appoggiato non solo la “cosa”, ma neanche una mano infilata dentro a un guanto chirurgico.

Ebbene, tutto questo nei campi naturisti garantiti dal FKK non potrebbe mai succedere.

Ero infatti comodamente seduta, in un giorno dello scorso agosto, su una seggiola di plastica sulla quale avevo poggiato la mia salvietta, e stavo mangiando con i vicini di roulotte, quando è avvenuta la visita di cui vi parlerò.

Eravamo tutti nudi, tranne naturalmente Tommaso, in pantaloni e maglietta.

Poi, non so neanche’io com’è successo, si è rotta una gamba della seggiola dov’ero seduta, e io sono volata all’indietro, abbastanza dolcemente per non spaccarmi la schiena, ma aprendo completamente le gambe durante la caduta.

Anna, la vicina di roulotte che mi aveva invitata a pranzo, è corsa a vedere che non mi fossi rotta l’osso del collo.

E appena ha capito che non mi ero fatta niente, ha cominciato a ridere.

Rideva così tanto da non riuscire a parlare.

Ordunque, io avevo appena rischiato di farmi MALISSIMO, e lei rideva?

Poi, con le lacrime agli occhi, è riuscita a dire: “Tranquilla, non hai nulla!”.

“In che senso non ho nulla?”, le ho risposto, sempre più stupita.

E lei, tra le lacrime, ha bofonchiato: “L’ho vista benissimo (la “cosa”), mentre cadevi, non hai neanche le emorroidi…”.

Allora ho cominciato a ridere anch’io, mentre lei insisteva: “Sì, le ho viste benissimo: sono rientrate! (le emorroidi)”.

Bene, da quel giorno non ho più potuto sedermi davanti a Anna, perché lei cominciava a ridere e parlare delle emorroidi.

A un certo punto ci si è messa anche sua madre a parlare delle mie emorroidi (rientrate), e alla fine abbiamo deciso di proporre alla comunità scientifica una nuova modalità di visita di procto-ginecologica.

La paziente viene messa su una seggiola con una gamba rotta, e crolla all’indietro durante la visita (velocissima).

Il medico, se è di mano lesta, riesce anche a infilare nella “cosa” il bastoncino del Pap Test, e nel giro di mezzo secondo la paziente riceve un responso sullo stato delle sue mucose.

Tutto questo, siccome siamo ancora in fase sperimentale, sarà assolutamente gratuito.

Si cercano volontarie.

Lavatrice ti odio

Sto edidanto un vecchio libro che darò alle stampe (pubblicherò su Amazon) nei prossimi giorni, mentre faccio andare la lavatrice e aspetto che finisca quella maledetta centrifuga.

Non sopporto stendere i panni, mi fa più schifo di passare il moccio.

Odio anche passare l’aspiravolvere e mi sparerei un colpo in testa quando devo pulire i bagni.

Tutto questo è coniderato normale, anzi normalissimo. Nei paesi civili.

Quando sono stata ospite in America di un’amica di mia madre, che lavora ancora (a ottant’anni), mi ricordo che mi diede uno spary da spruzzare nella doccia dopo essermi lavata.

Scioglieva lo sporco prima che si fosse formato.

Tutte le donne americane – che lavorano – danno per scontato che pulire la casa, stirare e anche cucinare sia una cosa fondamentalmente schifosa.

Fatto sul quale non si può che dargli ragione, tranne che per quanto riguarda la cucina, che non si può delegare ai take away cinesi, delle cui schifezze si nutrono gli americani.

Solo nei paesi latini è rimasta questa bizzarra idea che alle donne debba piacere occuparsi della casa, e che sia possibile mettere serenamente un ferro da stiro in mano a una ricercatrice di Fisica: ella lo afferrerà cantando e stirerà piena di gioia la camicia del marito.

A me invece, stirare mi fa schifo, così come mi fa schifo tutto il resto (anche cucinare…).

E me ne vanto.

Tecniche psicologiche (da non consigliare a nessuno) per convincere Tommaso a finire i compiti delle vacanze

Non  scriverò miei soliti romanzi.  Sarò breve, crudele, concisa.

Tommaso è chiuso in camera sua a finire i compiti delle vacanze.

Credo che oggi le mie urla siano state udite fino a Timbuctù.

Ormai non mi vergogno più: mancano 10 giorni a quando comincerà la scuola, e me ne sbatto di quello che diranno i vicini.

Ma quali tecniche psicologiche si possono (non) consigliare a una madre che voglia far capire a suo figlio/a che se non studierà, farà una fine bruttissima?

La prima delle tecniche – che (non) consiglio caldamente –  è quella di fare l’elemosina a tutti i neo-barboni con l’aria quasi rispettabile e bisbigliare sottovoce a Tommaso: “Chissà, magari, se avessero studiato, oggi non sarebbero lì a chiedere la carità…”.

Funziona?

Dopo che ho dato a mio figlio l’euro da infilare nel cappello del quarantenne semi-dignitoso che sta seduto ai bordi  di una strada, Tommaso fa i compiti?

Certo che no. Tommaso se ne sbatte dei compiti tanto quanto prima aver dato l’euro al disoccupato.

Allora passo al VERO terrorismo psicologico.

Comincio a parlargli della Cina e dei cinesi.

Gli spiego che i cinesi  sono tanti. Che hanno una gran voglia di lavorare. Che per loro non esistono sabato e domeniche e che presto saranno i padroni del mondo.

E quindi saranno loro i suoi prossimi datori di lavoro.

Faccio quindi a Tommaso l’elenco dei mestieri che potrà fare al soldo dei cinesi.

Il commesso, per esempio, in uno dei magazzini all’ingrosso di Via Paolo Sarpi, ammesso che i proprietari siano disposti ad assumerlo (purtroppo per lui, non è cinese come loro).

Oppure l’operaio nella fabbrica a Shenzhen dove fanno gli iPhone e dove c’è il più alto tasso di suicidi al mondo (per colpa, pare. degli straordinari).

O magari il cameriere in una pizzeria italiana a Pechino, dove lavorerà 12 ore al giorno per 7 giorni alla settimana, e dove il padrone sarà naturalmente cinese.

Tutte queste cose succederanno se Tommaso non finirà i compiti delle vacanze.

E cosa sta facendo Tommaso adesso?

Sta giocando a Dark Orbit sul suo computer.

Qualcuno ha qualche altro consiglio da darmi?