Prima di arrivare alla tesi – viviamo nel mondo REALE solo per proiettare il nostro riverbero in quello VIRTUALE – descriverò il mio ultimo sabato pomeriggio, in cui è avvenuta l’illuminazione sulla definitiva perdita di peso del REALE rispetto al VIRTUALE.
Ordunque, perseguo da sempre l’obiettivo di liberarmi di Tommaso per almeno un paio di settimane all’anno, in luglio, quando finalmente mio figlio parte per la colonia estiva, dove viene confinato dalla madre sciagurata da quando aveva CINQUE anni.
Aspetto quelle due settimane per tutto l’anno. Le anelo. Lui parte, e io non mi muovo da Milano.
Passo un paio di week-end assolutamente vuoti, in cui non faccio nulla se non riposarmi e godermi la casa quasi in ordine.
Chiudo subito la porta della stanza di mio figlio, dopo aver controllato che non ci siano rifiuti alimentari che potrebbero marcire, per riaprirla la sera in cui torna.
Quest’anno avevo anche fatto la furbetta, nel senso che l’avevo iscritto addirittura a DUE colonie, con l’idea di portare a quattro le settimane in cui la sua stanza rimaneva chiusa e la casa restava in ordine.
Ma, dopo la prima colonia, Tommaso ha puntato i piedi: “Non parto più! Io resto a Milano!“.
Ho insistito un po’, gli ho persino promesso una bella cifretta (150 euro!) se fosse partito, ma lui, no, testardo come un mulo, ha ripetuto il concetto: “Io non parto!“.
E così sabato scorso, in una Milano deserta, desolata, sfigata, ci siamo ritrovati da soli, io e lui, a giracchiare annoiati attorno a casa.
Abbiamo chiacchierato con tutti i negozianti della via, compresa una pasticcera ottantenne, e poi ho capito che eravamo tutti e due depressi dal caldo e dalla sfiga.
Ho invitato a cena una mia amica, Paola, che Tommaso ama moltissimo, ma lei non poteva venire.
Abbiamo ripiegato sull’aperitivo in un bar di Via Vigevano, i cui proprietari sono cinesi, e che Paola chiama “Cinciullà” (lei, non io, e quindi è lei politically scorrect, non io).
Ma quando ci siamo sedute, lei ha smesso di parlare – come fa tutte le volte che andiamo da Cinciullà – per osservare la folla allegra e strana che ci passava di fronte.
“Cazzo!”, ho pensato, “io e Tommaso siamo usciti per parlare con qualcuno, e lei si mette a guardare in silenzio la gente che passa!”.
Ma non c’è stato verso di farla parlare. Paola taceva. Taceva e guardava. Folgorata dalla Commedia umana, per citare malamente Balzac.
Allora ho guardato anch’io.
Nel giro di cinque minuti, sono passati un paio di branchi di femmine che stavano festeggiando l’addio al nubilato di una di loro (con una probabile e futura ricca bevuta in compagnia).
Erano tutte sprosciuttate (coi prosciutti di fuori) e seguivano una capobranco – la futura sposa – che aveva in mano un bouquet.
Il segno distintivo di uno dei due branchi era un cartellino al collo con sopra il nome della sposa, mentre l’altro branco era dotato del medesimo paio di occhialoni a forma di cuore, quelli giganti che vendono sui banchetti del Ticinese.
Le ragazze erano allegre, allegrissime, e sembravano decise a divertirsi. O forse dovrei dire a fotografarsi…
Erano infatti tutte munite di smartphone e si fotografavano l’un l’altra, per condividere immediatamente la foto venuta bene.
Ma, soprattutto, erano alla ricerca di qualche foto diversa dalle altre…
Erano infatti seduti di fianco al nostro tavolo due finti cowboy – cappellaccio e giacca con le frange – sopra i sessanta e con i capelli tinti, resti archeologici e colorati di un’altra era.
Molto, molto particolari.
Perfetti per finire per finire su Facebook (o su Instagram o WhatsApp).
Le ragazze con gli occhialoni a forma di cuore si sono buttate subito sui cowboy e hanno chiesto al più anziano dei due se poteva dare un bacio alla sposa. Mentre le altre gli facevano una foto.
Il cowboy ha accettato – mentre i cellulari scattavano – e dopo meno di un secondo era finito su Facebook (Instagram e WhatsApp).
Le ragazze l’hanno infatti ignorato SUBITO DOPO aver avergli carpito al foto. Hanno cominciato a smanettare sui cellu per postare le foto della sposa col cowboy (e farsi dare un “Mi piace” o qualcosa del genere).
Poi sono corse via alla ricerca di altre FOTO DIVERTENTI da fare e postare subito su uno dei social network di proprietà di Zuckerberg.
E’ stato in quel momento che ho avuto l’illuminazione: le ragazze stavano festeggiando nel mondo REALE l’addio al nubilato solo perché sarebbe stato riverberato in quello VIRTUALE.
Sì, una volta c’erano le foto. Anche quelle erano virtuali, perché si fotografa sempre il passato.
Ma una volta uscivi con le amiche solo per farti quattro risate, senza passare la sera a postare il selfie (parola orrenda) con la tua amica che rideva.
Insomma, la prova ontologica della felicità è una nostra foto sorridente postata su un social.
Forse stiamo esagerando…
Si stiamo proprio esagerando!
Parola di un giovanotto di 72 anni, che ama l’informatica! 😀
Nicola