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Dieci regole d’oro per essere virali

La viralità può essere definita come il grado di successo di quello che pubblichi sul web e sui social network, che ormai sono sostanzialmente tre: Facebook per parole e foto, Istangram per le foto e Youtube per i video.
Twitter è un discorso a parte, perché più che un social network è un’agenzia di stampa gratuita per influencer. Lo lascio da parte per dedicarmi all’unico argomento che conosco: le parole.

Io sono vecchiotta (scrivo ancora…) e faccio delle foto di merda. Di conseguenza pubblico solo dei testi su WordPress, che poi condivido su Facebook. Quello che scrivo non è virale (non vado mai oltre i 30 like), ma uso il web per dire quello che penso, e della viralità me ne sbatto anche abbastanza i coglioni.

Non seguo quindi quelle che secondo me sono le regole MINIME per diventare virali (sto parlando di testi, non di foto o video), regole che provo ad elencare. Sono condizioni necessarie ma non sufficienti, perché non è detto che applicandole tutte, siano garantite le migliaia di like. Aggiungasi che per avere migliaia di like, bisogna avere una “Pagina” su Facebook, e non un semplice “Profilo Personale”, dove puoi arrivare fino a 5.000 amici. Con 5.000 amici puoi arrivare al massimo a 500 like, e poi, se vuoi continuare a crescere, devi trasformare il tuo profilo in una “Pagina” (si può), col rischio però di perdere visibilità (Facebook vuol far pagare le “Pagine” che si fanno pubblicità).

Provo a fare un elenchino di golden rules per riuscire ad essere virali.

    • TARGET SPECIFICO. Bisogna sapere a chi si vuol parlare. Il target deve essere molto definito. Faccio qualche esempio: le mamme. Tirano ancora tantissimo. Bisogna raccontare qualcosa di allegro sui propri figli e le lunghe giornate faticose, ecc. passate con loro. In realtà, non mi vengono in mente molti altri target così profittevoli come quelli delle mamme… Marco Montemagno (che spiega come avere successo nel digital) è uno che non scherza, ma lui ha viralizzato soprattutto su Youtube. Anyway, per diventare virali, bisogna restare sul proprio target: se il target è quello delle mamme, non puoi cambiare argomento. I tuoi lettori si aspettano che tu gli racconti la tua giornata dura ma in fondo anche buffa, eccetera. Devi stare TUNED sul tuo pubblico.
    • RACCONTARE SEMPRE UN PO’ DI CAZZI TUOI. I social network hanno la loro ragione d’essere nel fatto che le persone parlano di sé. Chi va su Facebook, lo fa per sapere qualcosa delle vite degli altri. Se cerchi notizie, vai sul sito del Corriere, se cerchi invece qualche momento di piacevole divagazione, dove magari dai un’occhiata alle foto dei tuoi amici e parenti, allora vai su Facebook. Insomma, se vuoi essere ascoltato su Facebook, devi parlare anche di te. Che non è un male, perché il mio scrittore preferito, Emmanuel Carrère, scrive dei libri in cui parte sempre da sé per raccontare qualcos’altro. Lo stile dei social non è quello di un’agenzia di stampa, ma è intimo, personale, perché nessuno si offende (su Facebook) se non parli dei mali del mondo.
    • SCRITTURA BRILLANTE, NON PIAGNUCOLOSA. Proprio perché Facebook ha una funzione ricreativa, vengono apprezzati i personaggi che sanno divertire chi li legge, anche quando parlano di cose serie. Natalino Balasso è sempre divertente, per esempio. Nessuno seguirebbe una pagina dove l’autore si lamenta, si straccia le vesti e piagnucola sulle sue sfortune.
    • SI PUÒ’ PARLARE DELLA MALATTIA. Sui social si può raccontare la propria malattia (molti postano le foto della chemio, ma quelle sono profili personali). Bisogna però essere ottimisti: si apprezza chi combatte, chi spera di farcela. Anche quando si è malati, bisogna evitare la lagna, che non è virale neanche nella vita vera (si sta più volentieri accanto a malati di buon’umore, che non a malati depressi).
    • POCHI POST BREVI, CHE SI LEGGONO IN POCHI MINUTI. Se vuoi essere aggiornato sulla guerra in Siria, vai su Foreign Affairs. E allora leggi anche un articolo di 10.000 battute. Ma col cazzo che leggi 100.000 battute di qualcosa su Facebook, qualsiasi cosa sia (non credo che siano ammessi post pornografici, che sarebbero gli unici capaci di tenere incollato qualche lettore alla pagina). Evitate soprattutto di fare cinque post al giorno, su tutto quello che vi passa per la testa. Non c’è di più noioso di venire bombardati da post stupidini, sullo stato d’animo del momento. Pubblicate poco e contenuti di qualità.
    • EVITARE LA POLITICA, SE POSSIBILE. A me sta sul cazzo Renzi, da sempre, cosa nota, peraltro, ma so che quando metto il suo nome in un post, le persone ci penseranno due volte prima di mettere un like, anche se adesso sta montando un’onda anti-renziana che non ha più paura di nulla (e vuole mandarlo a casa).
    • ESSERE INNOVATIVI E ECCENTRICI, SENZA ESAGERARE. Nessuno vuole leggere roba del tipo: “preferisco le catene alle gomme da neve”, oppure “la coca cola è buona con una fetta di limone”. Chi cerca follower deve avere quel minimo di eccentricità che li possa incuriosire. Quando ti divaghi, non vuoi sentire parlare del tempo, insomma, ma di roba meno pallosa.
    • SE HAI UNA FOTO, E’ MEGLIO. Meglio accompagnare i post con qualche foto, ma sempre di momenti intimi. Insomma, devi dare l’impressione a chi ti legge che sta entrando per davvero a casa tua.
    • NON USARE I SOCIAL PER FARE PUBBLICITÀ TRADIZIONALE. Questo è un errore gravissimo! Non si possono usare i social per invitare gli utenti a una presentazione di un libro o per invitarlo a comprare qualcosa. L’utente capisce subito se gli vuoi vendere un libro, per esempio, e si infastidisce. L’advertising deve essere diretto: “COMPRAMI IL LIBRO!”, e deve essere dichiarato come tale (mi sto facendo pubblicità…). Sui social devi raccontare storie (scusate, è un po’ banale), e se le storie che racconti sono carine, magari vendi anche il libro. Ma se hai una personalità sbiadita, e non racconti delle storie carine, il libro non te lo compra un cazzo di nessuno.
    • SE SEI GIÀ’ CONOSCIUTO, ALLORA VALGONO TUTTE LE REGOLE PRIMA. I profili dei personaggi pubblici, devono seguire le stesse regole: stile colloquiale, raccontare la vita personale, eccetera. Non cambia niente!
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    Facebook (ma anche Instagram e WhatsApp), io vivo per te!

    Prima di arrivare alla tesi – viviamo nel mondo REALE solo per proiettare il nostro riverbero in quello VIRTUALE – descriverò il mio ultimo sabato pomeriggio, in cui è avvenuta l’illuminazione sulla definitiva perdita di peso del REALE rispetto al VIRTUALE.

    Ordunque, perseguo da sempre l’obiettivo di liberarmi di Tommaso per almeno un paio di settimane all’anno, in luglio, quando finalmente mio figlio parte per la colonia estiva, dove viene confinato dalla madre sciagurata da quando aveva CINQUE anni.

    Aspetto quelle due settimane per tutto l’anno. Le anelo. Lui parte, e io non mi muovo da Milano.

    Passo un paio di week-end assolutamente vuoti, in cui non faccio nulla se non riposarmi e godermi la casa quasi in ordine.

    Chiudo subito la porta della stanza di mio figlio, dopo aver controllato che non ci siano rifiuti alimentari che potrebbero marcire, per riaprirla la sera in cui torna.

    Quest’anno avevo anche fatto la furbetta, nel senso che l’avevo iscritto addirittura a DUE colonie, con l’idea di portare a quattro le settimane in cui la sua stanza rimaneva chiusa e la casa restava in ordine.

    Ma, dopo la prima colonia, Tommaso ha puntato i piedi: “Non parto più! Io resto a Milano!“.

    Ho insistito un po’, gli ho persino promesso una bella cifretta (150 euro!) se fosse partito, ma lui, no, testardo come un mulo, ha ripetuto il concetto: “Io non parto!“.

    E così sabato scorso, in una Milano deserta, desolata, sfigata, ci siamo ritrovati da soli, io e lui, a giracchiare annoiati attorno a casa.

    Abbiamo chiacchierato con tutti i negozianti della via, compresa una pasticcera ottantenne, e poi ho capito che eravamo tutti e due depressi dal caldo e dalla sfiga.

    Ho invitato a cena una mia amica, Paola, che Tommaso ama moltissimo, ma lei non poteva venire.

    Abbiamo ripiegato sull’aperitivo in un bar di Via Vigevano, i cui proprietari sono cinesi, e che Paola chiama “Cinciullà” (lei, non io, e quindi è lei politically scorrect, non io).

    Ma quando ci siamo sedute, lei ha smesso di parlare – come fa tutte le volte che andiamo da Cinciullà – per osservare la folla allegra e strana che ci passava di fronte.

    “Cazzo!”, ho pensato, “io e Tommaso siamo usciti per parlare con qualcuno, e lei si mette a guardare in silenzio la gente che passa!”.

    Ma non c’è stato verso di farla parlare. Paola taceva. Taceva e guardava. Folgorata dalla Commedia umana, per citare malamente Balzac.

    Allora ho guardato anch’io.

    Nel giro di cinque minuti, sono passati un paio di branchi di femmine che stavano festeggiando l’addio al nubilato di una di loro (con una probabile e futura ricca bevuta in compagnia).

    Erano tutte sprosciuttate (coi prosciutti di fuori) e seguivano una capobranco – la futura sposa – che aveva in mano un bouquet.

    Il segno distintivo di uno dei due branchi era un cartellino al collo con sopra il nome della sposa, mentre l’altro branco era dotato del medesimo paio di occhialoni a forma di cuore, quelli giganti che vendono sui banchetti del Ticinese.

    Le ragazze erano allegre, allegrissime, e sembravano decise a divertirsi. O forse dovrei dire a fotografarsi

    Erano infatti tutte munite di smartphone e si fotografavano l’un l’altra, per condividere immediatamente la foto venuta bene.

    Ma, soprattutto, erano alla ricerca di qualche foto diversa dalle altre…

    Erano infatti seduti di fianco al nostro tavolo due finti cowboy – cappellaccio e giacca con le frange – sopra i sessanta e con i capelli tinti, resti archeologici e colorati di un’altra era.

    Molto, molto particolari.

    Perfetti per finire per finire su Facebook (o su Instagram o WhatsApp).

    Le ragazze con gli occhialoni a forma di cuore si sono buttate subito sui cowboy e hanno chiesto al più anziano dei due se poteva dare un bacio alla sposa. Mentre le altre gli facevano una foto.

    Il cowboy ha accettato – mentre i cellulari scattavano – e dopo meno di un secondo era finito su Facebook (Instagram e WhatsApp).

    Le ragazze l’hanno infatti ignorato SUBITO DOPO aver avergli carpito al foto. Hanno cominciato a smanettare sui cellu per postare le foto della sposa col cowboy (e farsi dare un “Mi piace” o qualcosa del genere).

    Poi sono corse via alla ricerca di altre FOTO DIVERTENTI da fare e postare subito su uno dei social network di proprietà di Zuckerberg.

    E’ stato in quel momento che ho avuto l’illuminazione: le ragazze stavano festeggiando nel mondo REALE l’addio al nubilato solo perché sarebbe stato riverberato in quello VIRTUALE.

    Sì, una volta c’erano le foto. Anche quelle erano virtuali, perché si fotografa sempre il passato.

    Ma una volta uscivi con le amiche solo per farti quattro risate, senza passare la sera a postare il selfie (parola orrenda) con la tua amica che rideva.

    Insomma, la prova ontologica della felicità è una nostra foto sorridente postata su un social.

    Forse stiamo esagerando…

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    Balotelli, capro espiatorio che ha letto Girard.

    ZfIJuV7H_400x400L’avevo scritto in tempi non sospetti.

    A Balotelli avrebbero dato la colpa di aver perso la prima partita PERSA DALL’ITALIA dei mondiali.

    E così è stato.

    E lui, su Instagram, ha spiegato perché.

    Ha parlato di “noi negri“. Il capro espiatorio viene sempre scelto tra quelli fuori dal branco. Come spiega Girard, autore de “Il capro espiatorio”.

    E  poi ha parlato di Ius soli.

    Ha detto che ha “voluto fortemente” essere italiano, perché ha dovuto aspettare fino a 18 anni per diventare italiano (esercitando l’opzione tra le due cittadinanze, italiane e ganese).

    Lo Ius sanguini che vige da noi prevede infatti che chi nasce in Italia da genitori stranieri non sia italiano.

    Ecco il suo post su Instagram.

    Sono Mario Balotelli ho 23 anni e non ho scelto di essere italiano.
    L’ho voluto fortemente perché sono nato in ITALIA e ho sempre vissuto in ITALIA.
    Ci tenevo fortemente a questo mondiale e sono triste arrabbiato deluso con me stesso.
    Si magari potevo fare gol con la costa rica avete ragione ma poi? Poi qual’è il problema?
    Forse quello che vorreste dire tutti è questo?
    La colpa non la faccio scaricare a me solo questa volta perché Mario Balotelli ha dato tutto per la nazionale e non ha sbagliato niente.( a livello caratteriale) quindi cercate un’altra scusa perché Mario Balotelli ha la coscienza a posto ed è pronto ad andare avanti più forte di prima e con la testa alta.
    Fiero di aver dato tutto per il Suo paese.
    O forse, come dite voi, non sono Italiano.
    Gli africani non scaricherebbero mai un loro ” fratello”. MAI.
    In questo noi negri, come ci chiamate voi, siamo anni luce avanti.
    VERGOGNA non è chi può sbagliare un gol o correre di meno o di più.
    VERGOGNOSE SONO QUESTE COSE.
    Italiani veri! Vero?”

    Ho già scritto che ne penso di tutta questa vicenda nel post precedente.

    Vorrei solo aggiungere due cose.

    La prima.

    Balotelli si espone troppo sui social network. Il suo post ha generato centinaia di risposte piene di insulti.

    E l’onda dell’insulto sul web non si ferma, se non evitando appunto l’esposizione.

    Ormai sono in tanti a dover lasciare il web – Twitter, principalmente – se vogliono dormire tranquilli, senza controllare il cellulare ogni cinque minuti e non farsi venire il sangue alla testa.

    Ma sembra che Balotelli sia alla ricerca di una prova ontologica della sua esistenza.

    Ha bisogno che si parli di lui per sentirsi VIVO.

    Una forma nichilista di egocentrismo, perché la sovraesposizione agli insulti lo  annichilirà.

    Ma ormai la sua faccia è diventata un business per il giornalismo, e immagino che sia troppo giovane per resistere alla blandizie delle copertine.

    Peccato. Supermario starebbe meglio se la gente parlasse un po’ meno di lui.

    Sarebbe solo un bravo calciatore, dal quale non ci si aspetta null’altro se non il fatto che giochi bene.

    Seconda e ultima osservazione sugli italiani nati a Palermo ma di pelle scura.

    Come pensate che saranno gli europei tra un centinaio di anni?

    Di quale colore saranno?

    Ho le mie opinioni – sul colore – ma non sono importanti.

    L’unico mio desiderio – per i tempi in cui non ci saremo più né io né mio figlio – è che l’Europa rimanga un paese laico e pacifico.

    Il degrado sociale e le periferie arroventate dai casseur sembrano invece l’unica condizione possibile nei paesi dove democrazia e integrazione non sono cresciute lentamente, penetrando nel subconscio dei cittadini.

    Sì, sembra una lezioncina di stupida educazione civica.

    Ma vivere nel quartiere sbagliato di Las Vegas o Washington D.C. non è simpatico.

    Meglio un’onesta periferia bresciana, con la rete degli oratori che tirano ancora dentro tutti, che non la polizia in giro per le strade di Marsiglia.

    Siamo ancora in tempo per evitare il futuro collasso sociale?

    Io sono pessimista. Penso di no.

    Ma mi toglierò il piacere di vedere la Francia che esplode con Marine Le Pen.

    Perché quella destra al potere combina solo disastri.

    P.S. Girard spiega che anche Cassandra è un capro espiatorio.

    Però adesso basta con le lezioncine.

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