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SIAMO VERAMENTE COSI’ MANIPOLABILI?

Secondo l’opinione corrente, gli utenti dei social network (ma in generale di internet) sono dei coglioni altamente manipolabili. Pronti a credere alle Fake News abilmente confezionate dai russi, da Trump o dalla stessa CNN (secondo quanto sostiene lo stesso Trump, che attribuisce la fabbricazione delle Fake News ai giornalisti americani che lo amano poco).
Non passa insomma giorno in cui l’utente di internet (e di Facebook, Twitter, Google, ecc.) non venga dipinto come un potenziale coglione (appunto), facile preda delle notizie false (fabbricate da tutti tranne che dall’utente coglione, perché è per l’appunto un coglione), che lo spingeranno a fare scelte di cui  in fondo non è consapevole.
L’utente coglione voterà Trump o crederà che invece Trump sia un criminale, oppure a sua volta penserà che tutti gli arabi sono per definizione terroristi o che invece esistono complotti internazionali orditi da enti sopranazionali e nascosti.
E se per caso la manipolazione non dovesse arrivare così lontano, saremmo comunque tutti vittime (come minino) di un deplorevole nuovo consumismo, che si nutre di pubblicità di prodotti in vendita su Amazon, sbirciati in un momento di debolezza e che ci vengono riproposti ad libitum, fino a quando non cediamo (alla nostra coglionaggine) e appunto non li compriamo.
Ecco, vorrei dire che non sono d’accordo con questa “narrazione” (come si usa dire adesso), e mi ritengo assolutamente libera, non manipolabile, capace di intendere e di volere, OGGI COME NON MAI.
Non ci pigliamo per il culo: i giornali (e gli opinionisti) esistono da sempre, e non sono di proprietà di qualche “povero” democratico, ma sono in genere posseduti da gruppi industriali con opinioni più o meno liberal. In genere, chi ha studiato e letto molto, fino a diventare giornalista, potrà difficilmente propugnare un modo dove sono proibite le libertà fondamentali di scrivere e dire quello che ti pare, nei limiti del codice penale, naturalmente. Ma i giornalisti vengono PAGATI e sono quindi disposti a sostenere i gruppi industriali per i quali lavorano.
Con la nascita di internet, è più facile aprire un giornale, vedi per esempio Il Post italiano, che trovo più interessante della Repubblica. Non è quindi più necessario comprare le rotative per andare in stampa, basta un po’ di spazio sui server di streaming e qualche grafico che sappia mettere online il giornale.
Che differenza c’è tra un giornalista che scrive per la carta stampata e uno che scrive per il web? Nessuna. Sono tutti e due acquistabili. Sono tutti e due in grado di fabbricare notizie false (se lo vogliono) e sono tutti e due in grado invece di verificare le loro fonti (in genere su internet) per dare una “buona” notizia, pulita, onesta, controllata.
Insomma, con internet sono aumentate le possibilità di pubblicare giornali, libri, notizie, eccetera, ma i giornalisti sono sempre gli stessi, anzi sono molto più di prima e riescono a pubblicare i loro articoli e i loro giornali senza avere il bisogno di essere MOLTO RICCHI. Fatto che ha sicuramente aumentato il tasso di democrazia.
Su internet è possibile fare un’ottima disamina delle fonti (trovi TUTTO quello che vuoi), così da poterti fare la TUA opinione. Sto parlando dei paesi liberi, non certo della Cina, dove Internet è controllato.
Lo stesso identico discorso vale per la pubblicità. La pubblicità esisteva anche prima del web, solo che oggi c’è un nuovo spazio – quello digitale – sul quale mostrarla. La novità è che grazie ai dati raccolti dalla nostra navigazione, veniamo profilati per i nostri gusti, e quindi la pubblicità che ci viene mostrata è più suscettibile di influenzarci (se abbiamo voglia di essere influenzati).
Anche Google, quando facciamo una ricerca ci fa vedere un risultato influenzato dalle nostre precedenti navigazioni, ma ditemi quando mai è stato possibile per un qualsiasi coglione (come me), aprire un blog su Worpress e, grazie all’inserimento dei tag, diventare VISIBILE a qualcuno che magari sta in Australia?
Ringrazio quindi tutti quelli che fabbricano Fake News e cercando di farmi comprare una Crock-Pot su Amazon (l’ho comprata).
Non sono mai stata così bene. E così libera. NON SCHERZO…
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Dieci regole d’oro per essere virali

La viralità può essere definita come il grado di successo di quello che pubblichi sul web e sui social network, che ormai sono sostanzialmente tre: Facebook per parole e foto, Istangram per le foto e Youtube per i video.
Twitter è un discorso a parte, perché più che un social network è un’agenzia di stampa gratuita per influencer. Lo lascio da parte per dedicarmi all’unico argomento che conosco: le parole.

Io sono vecchiotta (scrivo ancora…) e faccio delle foto di merda. Di conseguenza pubblico solo dei testi su WordPress, che poi condivido su Facebook. Quello che scrivo non è virale (non vado mai oltre i 30 like), ma uso il web per dire quello che penso, e della viralità me ne sbatto anche abbastanza i coglioni.

Non seguo quindi quelle che secondo me sono le regole MINIME per diventare virali (sto parlando di testi, non di foto o video), regole che provo ad elencare. Sono condizioni necessarie ma non sufficienti, perché non è detto che applicandole tutte, siano garantite le migliaia di like. Aggiungasi che per avere migliaia di like, bisogna avere una “Pagina” su Facebook, e non un semplice “Profilo Personale”, dove puoi arrivare fino a 5.000 amici. Con 5.000 amici puoi arrivare al massimo a 500 like, e poi, se vuoi continuare a crescere, devi trasformare il tuo profilo in una “Pagina” (si può), col rischio però di perdere visibilità (Facebook vuol far pagare le “Pagine” che si fanno pubblicità).

Provo a fare un elenchino di golden rules per riuscire ad essere virali.

    • TARGET SPECIFICO. Bisogna sapere a chi si vuol parlare. Il target deve essere molto definito. Faccio qualche esempio: le mamme. Tirano ancora tantissimo. Bisogna raccontare qualcosa di allegro sui propri figli e le lunghe giornate faticose, ecc. passate con loro. In realtà, non mi vengono in mente molti altri target così profittevoli come quelli delle mamme… Marco Montemagno (che spiega come avere successo nel digital) è uno che non scherza, ma lui ha viralizzato soprattutto su Youtube. Anyway, per diventare virali, bisogna restare sul proprio target: se il target è quello delle mamme, non puoi cambiare argomento. I tuoi lettori si aspettano che tu gli racconti la tua giornata dura ma in fondo anche buffa, eccetera. Devi stare TUNED sul tuo pubblico.
    • RACCONTARE SEMPRE UN PO’ DI CAZZI TUOI. I social network hanno la loro ragione d’essere nel fatto che le persone parlano di sé. Chi va su Facebook, lo fa per sapere qualcosa delle vite degli altri. Se cerchi notizie, vai sul sito del Corriere, se cerchi invece qualche momento di piacevole divagazione, dove magari dai un’occhiata alle foto dei tuoi amici e parenti, allora vai su Facebook. Insomma, se vuoi essere ascoltato su Facebook, devi parlare anche di te. Che non è un male, perché il mio scrittore preferito, Emmanuel Carrère, scrive dei libri in cui parte sempre da sé per raccontare qualcos’altro. Lo stile dei social non è quello di un’agenzia di stampa, ma è intimo, personale, perché nessuno si offende (su Facebook) se non parli dei mali del mondo.
    • SCRITTURA BRILLANTE, NON PIAGNUCOLOSA. Proprio perché Facebook ha una funzione ricreativa, vengono apprezzati i personaggi che sanno divertire chi li legge, anche quando parlano di cose serie. Natalino Balasso è sempre divertente, per esempio. Nessuno seguirebbe una pagina dove l’autore si lamenta, si straccia le vesti e piagnucola sulle sue sfortune.
    • SI PUÒ’ PARLARE DELLA MALATTIA. Sui social si può raccontare la propria malattia (molti postano le foto della chemio, ma quelle sono profili personali). Bisogna però essere ottimisti: si apprezza chi combatte, chi spera di farcela. Anche quando si è malati, bisogna evitare la lagna, che non è virale neanche nella vita vera (si sta più volentieri accanto a malati di buon’umore, che non a malati depressi).
    • POCHI POST BREVI, CHE SI LEGGONO IN POCHI MINUTI. Se vuoi essere aggiornato sulla guerra in Siria, vai su Foreign Affairs. E allora leggi anche un articolo di 10.000 battute. Ma col cazzo che leggi 100.000 battute di qualcosa su Facebook, qualsiasi cosa sia (non credo che siano ammessi post pornografici, che sarebbero gli unici capaci di tenere incollato qualche lettore alla pagina). Evitate soprattutto di fare cinque post al giorno, su tutto quello che vi passa per la testa. Non c’è di più noioso di venire bombardati da post stupidini, sullo stato d’animo del momento. Pubblicate poco e contenuti di qualità.
    • EVITARE LA POLITICA, SE POSSIBILE. A me sta sul cazzo Renzi, da sempre, cosa nota, peraltro, ma so che quando metto il suo nome in un post, le persone ci penseranno due volte prima di mettere un like, anche se adesso sta montando un’onda anti-renziana che non ha più paura di nulla (e vuole mandarlo a casa).
    • ESSERE INNOVATIVI E ECCENTRICI, SENZA ESAGERARE. Nessuno vuole leggere roba del tipo: “preferisco le catene alle gomme da neve”, oppure “la coca cola è buona con una fetta di limone”. Chi cerca follower deve avere quel minimo di eccentricità che li possa incuriosire. Quando ti divaghi, non vuoi sentire parlare del tempo, insomma, ma di roba meno pallosa.
    • SE HAI UNA FOTO, E’ MEGLIO. Meglio accompagnare i post con qualche foto, ma sempre di momenti intimi. Insomma, devi dare l’impressione a chi ti legge che sta entrando per davvero a casa tua.
    • NON USARE I SOCIAL PER FARE PUBBLICITÀ TRADIZIONALE. Questo è un errore gravissimo! Non si possono usare i social per invitare gli utenti a una presentazione di un libro o per invitarlo a comprare qualcosa. L’utente capisce subito se gli vuoi vendere un libro, per esempio, e si infastidisce. L’advertising deve essere diretto: “COMPRAMI IL LIBRO!”, e deve essere dichiarato come tale (mi sto facendo pubblicità…). Sui social devi raccontare storie (scusate, è un po’ banale), e se le storie che racconti sono carine, magari vendi anche il libro. Ma se hai una personalità sbiadita, e non racconti delle storie carine, il libro non te lo compra un cazzo di nessuno.
    • SE SEI GIÀ’ CONOSCIUTO, ALLORA VALGONO TUTTE LE REGOLE PRIMA. I profili dei personaggi pubblici, devono seguire le stesse regole: stile colloquiale, raccontare la vita personale, eccetera. Non cambia niente!
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    La “saggezza delle folle” = viralità

    Sul web non ci sono barriere d’accesso. Ognuno può pubblicare i libri che vuole, caricare su Youtube i video girati in garage con la band dei compagni di scuola, chiedere soldi per finanziare un progetto (il crowfunding), eccetera.

    Ma sono pochissimi quelli che riescono a “viralizzare” i loro contenuti, ovvero riescono a piacere a un grandissimo numero di persone. Col risultato che diventeranno famosi, e magari fonderanno un partito politico.

    In realtà nessuno sa qual è il segreto della viralità, ovvero nessuno di noi – preso singolarmente – è in grado di indovinare chi vincerà la competizione selvaggia tra i milioni di nuovi concorrenti, sdoganati dal web aperto a tutti.

    La “saggezza delle folle” è la teoria sociologica secondo cui la media delle risposte date da una folla di individui su un quesito si avvicina quasi esattamente alla risposta corretta.

    L’esperimento che viene in genere citato per dimostrare la correttezza dell’assunto è quello in cui viene chiesto a un gruppo di individui di indovinare il numero di biglie contenute in un barattolo. La media delle loro risposte (se il campione è abbastanza esteso) è in genere molto vicina al numero di biglie effettivamente contenute nel vaso.

    Justin Bieber è riuscito ad avere milioni di visualizzazione su Youtube, prima di trovare un produttore, ma non vi era dubbio alcuno che avrebbe venduto milioni di copie delle sue canzoni e riempito gli stadi.

    Da questo punto di vista, il web ha sempre ragione. Se qualcosa diventa virale sul web, quel progetto o quel personaggio avranno successo anche fuori dal web, perché le “folle” hanno sempre ragione: capiscono se un prodotto o un autore funzioneranno.

    Questo non significa che a tutti debba piacere la musica di Justin Bieber, ma significa solo che Bieber avrà pubblico a sufficienza per riempire gli stadi. Potrebbe anche capitare che il nuovo Hitler nasca su Youtube, perché la viralità non è certo sinonimo di intelligenza e qualità.

    Ma è una cosa CERTA: chi fa un flop sul web, difficilmente avrà successo nel mondo reale (parlo sempre di artisti, autori, musicisti, eccetera).

    Ed è per questo motivo che il web fa un po’ paura. Perché se scrivi una canzone, la posti su Youtube e fai 400 clic, è probabile che la canzone faccia schifo per davvero.
    Non scherzo, lo penso sul serio.

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    Il rimpianto digitale per i morti

    Sì, è una delle mie ossessioni: cosa ne sarà di tutto quello che ho scritto sul web e di tutte le email che ho mandato, dopo che sarò morta?

    Immagino che i miei post su Internet resteranno impressi su qualche server indonesiano ancora per qualche anno, mentre invece le mie email dureranno di più. Perché resteranno nelle caselle di posta di chi le ha ricevute. E forse, qualcuno di quelli a cui ho scritto in tutti questi anni, andrà a rileggerle, di tanto in tanto, come faccio con le email che mi hanno lasciato in eredità un paio di amiche che se ne sono andate.

    Ogni tanto rileggo quello che mi hanno scritto, e la mia tentazione è di cliccare su “Rispondi”: chissà che da qualche parte non ci sia un server collegato con i trapassati, che continuano a rispondere alle email anche dal Regno dei Morti?

    Insomma, la scia digitale che oggi lasciamo sul web è così ontologicamente reale da farti venire il dubbio che i morti siano veramente morti, e non si siano invece spostati in una realtà virtuale separata, ma pur sempre reale, con la quale è possibile comunicare. Se solo sai come fare…

    Mi sembra che morire sia diventato meno probabile e plausibile da quando esiste un nostro doppione digitale in giro per il mondo, che appunto ci sopravvive.

    Non sto dicendo nulla di nuovo, c’è addirittura un episodio di una serie di Netflix (San Junipero, Black Mirror), in cui le due protagoniste hanno programmato di restare vive in una specie di capsula temporale-digitale anche dopo la morte, e sono in grado di capire e ricordare la differenza tra essere vive per davvero e trasformarsi in doppioni tecnologici dopo la morte. In San Junipero, la vita continua anche dopo, e il Paradiso è fatto di bit che ti consentono di credere di essere ancora vivo.

    Le serie su Netflix sono solo un passatempo e nessuno potrà più usare la mia casella di posta dopo che sarò morta o accettare le amicizie su Facebook, o stabilire nuovi collegamenti su Linkedin.

    Certo, essere morti significa soprattutto non godere più della vita, degli amici, dei figli, delle passeggiate in montagna quando lasci le orme nella neve (che fa “cric”) o dei tramonti lombardi in cui il cielo esplode di rosso.

    Ma essere morti significherà anche non rispondere più alle email dei nostri amici e scomparire da tutte le conversazioni digitali nelle quali siamo stati ingaggiati, sia on le persone che conosciamo che con gli sconosciuti.

    Ecco, la verità è che morire è diventato più difficile. Vorrei restare viva su un server – magari in Nevada – e continuare a controllare la mia corrispondenza su Gmail…

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    Internet senza segreti (anche sulla candida)

    So perfettamente che Facebook non è un ente di beneficenza e che vende pubblicità.

    Ma ormai sono mesi che le DONNE iscritte a Facebook vengono martellate dalla pubblicità sul Gyno-Canesten della Bayer (un prodotto contro la candidosi vaginale), pubblicità che si chiama: “Tu la conosci Candida?“.

    Bene, oggi non ne potevo più di vedere quell’annuncio sulla destra e ho cliccato per vedere com’era il sito.

    Una signorina piuttosto fastidiosa – Candida – che sostiene di conoscere molto bene tutte le donne, mi ha sottoposto a un intrigante questionario.

    Una delle domande sui motivi per i quali alle donne viene la candida prevedeva la scelta tra le seguenti risposte:

    1. depilazione aggressiva,
    2. esercizio fisico prolungato,
    3. utilizzo di sex toys,
    4. stress.

    Mi chiedo cosa sarebbe successo se avessi risposto “sex toys“, visto che ogni nostro clic viene accuratamente conservato e catalogato.

    Sarei diventata il target di una nuova compagna del tipo: “Tu li conosci i nuovi piaceri dell’amore?” (o una frasetta del genere) e avrei dovuto rispondere a un questionario sull’argomento “sex toys”?

    Lo so che NOI SIAMO IL TARGET, ma ormai ho paura a cliccare in giro per evitare di farmi profilare come potenziale consumatrice di “qualcosa”, sia esso un prodotto contro la candida o accessori da signora.

    Sono diventata paranoica: lo so che qualcuno, lassù, sa tutto di me.
    E cercherà di vendermi qualcosa. Come minimo…

    Nulla è più privato, oramai.

    Persino la nostra faccia è diventata un fatto pubblico, visto che ormai anche le vendite delle Go-Pro e consimilia stanno esplodendo e nessuno si incazza più se qualcuno gira con una telecamera accesa.

    Persino l’ultima guerra santa dell’ISIS pare sia la più autofilmata della storia, visto che tutti i combattenti hanno il cellulare con il quale riprendono le scene di battaglia, per poi magari vantarsi su Twitter di aver ucciso il loro primo uomo.

    A questo punto l’unica forma di protesta rimane quella di confondere gli algoritmi che ci classificano quando clicchiamo su un prodotto o lo compriamo.

    Consiglio quindi di acquistare in ordine i DIECI seguenti prodotti, così da impedire la vostra attribuzione a uno dei profili standard di consumatore.

    Nessuna capirà se siete uomini o donne, vecchi o bambini, buoni o cattivi…

    1. un reggicalze
    2. un Kalashnikov di marca cinese (costano meno)
    3. un rosario
    4. un biberon
    5. un reggiseno con le coppe che siano almeno la sesta
    6. un vibratore (a questo punto il sex toys ci voleva..)
    7. un tiralatte manuale (costa meno di quello elettronico) 
    8. una Beretta calibro 9
    9. un’acquasantiera elettronica (l’ultima novità in materia: dispensa gocce di acqua santa senza dover tutti pucciare la mano nella stessa broda)
    10. un cucciolo di crotalo da tenere pronto quando qualcuno suona alla porta e cerca di farvi cambiare fornitore di luce e gas.

     

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    La libertà è solo sul web

    Sto assistendo orripilata al più grande inciucio politico italiano, peggio del centro-sinistra.

    Il PD (che non ho votato) ha fatto una campagna politica CONTRO Berlusconi, poi Bersani ha detto (per un mese) che non avrebbe fatto un governo col Berlusca, poi l’hanno fatto dimettere, e in un week-end hanno tirato fuori il governo PD-PDL.
    Che sta  per varare leggi liberticide come il nuovo Porcellum.

    Sono attaccati alla cadrega, e faranno di tutto per restarci il più a lungo possibile.

    Anche i giornali sono allo sbando.
    Non sanno più cosa scrivere.
    I titoli sono confusi e pasticciati, nessuno ci capisce più niente.

    La politica italiana è in mano a una decina di persone – non credo molte di più – che fanno e disfano leggi e governi a loro piacimento.

    E noi, popolo bue, che facciamo?

    Tacciamo vinti da cotanta merda?

    No, postiamo calembour su Twitter,  blogghiamo in rete il nostro orrore, li prendiamo per il culo.

    Sì, lo confesso, passo le sere a fare battute – un po’ bruttine su Twitter – perché prenderli per il culo è la cosa più sana che si possa fare.

    I regimi lo sanno, e la satira viene punita al pari della dissidenza aperta.

    Solo sul web mi sento libera.
    Sì, lo so che i sondaggisti e qualche informatico intelligente (servo dei regimi) tengono d’occhio Twitter e i social media.

    Ma cosa fanno? Ci denunciano tutti? Perché li abbiamo presi per il culo?

    Non siamo ancora in Corea del Nord, anche se ci stiamo avvicinando.

    W il web! W la libertà del web!
    Se ci tolgono anche il web, siamo tutti morti.

     

     

     

     

     

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    Mamma, non va la Rete!

    Quasi impossibile fare l’elenco di tutto quello che una moderna casalinga-lavoratrice deve tenere sotto controllo.

    Anche la connessione internet di casa, ma prima di parlarne, vorrei fare una premessa.

    Son cambiati i tempi, ahimè, in cui ti compravi il frigorifero bombato il giorno prima delle nozze, e te lo portavi fino alla tomba, senza dover cambiare neanche la maniglia.

    Con l’elettronica, invece, l’instabilità dell’elettrodomestico ti conduce a stipulare forme di garanzia perenni, perché sai che prima o poi qualcosa si romperà.

    Le garanzie in questione hanno tutte dei nomi tipo “Serena”, “For ever”, eccetera, ma in realtà la copertura massima è di 4 o 5 anni.

    Solo riuscire a stipularle è un lavoro a sé, e poi le devi conservare in cassaforte, perché se le perdi, ti ricompri il frigorifero.

    Bene, posso dire di avere utilizzato ognuna delle varie assicurazioni stipulate, perché tutto quello che abbiamo in casa si è scassato.

    Il termostato del frigo QUATTRO VOLTE.
    Il forno UNA VOLTA.
    La lavatrice DUE VOLTE.
    E potrei continuare.
    Tutte le volte si rompe uno dei componenti elettronici e bisogna cambiarlo.

    Ma vogliamo parlare dei computer?

    Quello da cui scrivo è stato “rifatto” due volte, la prima in garanzia, la seconda no.

    Quello di mio figlio si è rotto e l’abbiamo ricomprato, e i cellulari diventano obsoleti due ore dopo che li hai portati a casa (o ordinati su internet).

    E adesso parlerò finalmente di un tema caro a tutte le mamme: la connessione internet.

    Confesso di avere fatto un paio di grossi errori nella vita: ho cambiato due volte operatore telefonico, per cercare di risparmiare qualche euro.

    In Italia, viene premiato il cliente infedele, e cioè colui che cambia operatore una volta ogni due mesi per risparmiare sulle tariffe.

    Se resti con lo stesso operatore, ti bastona.

    Ecco, grazie al mio tentativo – innocente – di risparmiare qualche euro, ho passato dei mesi al telefono con i servizi clienti dei vari operatori per cercare di capire perché non andava la rete.

    Tutte le telefonate avvenivano di sera, in genere, mentre stavo cucinando qualche schifezza veloce, e avevo i panni da distendere, tirati fuori dalla lavatrice appena aggiustata.

    E mentre io ero al telefono con l’operatore, mio figlio urlava dall’altra stanza: “Mamma, non va la Rete!”.

    Qualcuno sa come si fa per tornare all’Età della Pietra?

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