Archivio mensile:gennaio 2014

La voce delle mamme che bloggano: Antonella Pfeiffer

Ho conosciuto in rete un’altra mamma, Antonella Pfeiffer, che mi ha gentilmente intervistato sul suo blog.

Prima di spararvi una mezza dozzina di link su Antonella, vorrei dire qualcosa di probabilmente abbastanza banale sulle donne che scrivono, su quelle che scrivono dei propri figli, e su quelle che scrivono dei propri figli sui blog.

La prima banalissima constatazione è che fino a circa dieci anni fa non c’era UNA SOLA DONNA – in Italia – che scrivesse sinceramente sulla propria maternità, ovvero che avesse il coraggio di dire che fare un figlio è ANCHE faticoso.

Siamo stati un paese sinceramente fascista e sinceramente cattolico, e anche se la Madonna era israeliana, credo che l’Italia sia seconda solo alla Polonia nel culto della Beata Vergine.

Forse qualcuno di voi ha avuto modo di ascoltare tutte le invocazioni alla Madonna che si fanno dopo i rosari di maggio, e che si concludono con “Maria vergine e madre immacolata“.

Naturalmente ho grande rispetto per TUTTI i credenti, ma bisogna ammettere che il nostro simpatico paese sia stato affetto più di altri da un’idea forse un pochino fuorviante della maternità, celebrata come asessuata e miracolosamente felice.

Il fatto che le donne fino a pochi decenni fa non fossero neanche particolarmente istruite – e quindi non scrivessero libri su di sé – spiega anche come sia stato possibile coltivare così a lungo la comune credenza che la maternità fosse un felice dono di Dio, accettato sempre con fervore e intima felicità.

Oddio, qualche voce fuori dal coro c’era anche in Italia, tra cui quella di Ernesto De Martino, antropologo italiano GENIALE E LUCIDO, che raccontava come nel Sud Italia ad occuparsi delle puerpere fossero le sorelle del marito, che vigilavano sulla neomamma e chiudevano tutte le finestre di casa per evitare che la poverina buttasse dalla finestra il bambino quando piangeva per le colichette.

Ma De martino era un uomo, e ci sono voluti molti anni per sentire la voce di una donna che raccontava quanto fosse faticoso occuparsi dei propri figli.

Credo che il PRIMO LIBRO di questo genere sia stato quello di una scrittrice canadese, Rachel Cusk, pubblicato nel 2001, che si chiamava: “A Life’s Work: On Becoming a Mother“.

Il libro è stato poi pubblicato in Italia da Mondadori nel 2009 con il titolo: “Puoi dire addio al sonno“, ma ormai la strada era stata aperta ed era nata anche in Italia quella che gli anglosassoni chiamano mumy-lit, cioè letteratura per mamme, che comprende sia le autobiografie, che i libri di self-help, che i romanzi sul tema della maternità.

Insomma, le donne hanno cominciato a parlare di sé da pochissimi anni, anche se in questi pochi anni le voci femminili sono diventate molto numerose e ormai anche l’ultimo dei pirla sa che cos’è la depressione post partum.

Non solo, le donne hanno scritto dei libri profondi e pieni di intelligenza sui loro figli anche quando i figli non erano dei felici frugolotti, ma ragazzini complicati come per esempio quelli autistici.

Non solo, le donne si sono anche ribellate alle stupidate psicanalitiche che le volevano  anche MADRI DI TUTTE LE SCIAGURE, a cominciare dall’autismo, che secondo le vecchie teorie sarebbe stato causato da un deficit attentivo ricevuto dai bambini nei primi mesi di vita.

Oggi l’autismo è stato finalmente riconosciuto come un disturbo neurologico, assolutamente indipendente dal comportamento della madre nei primi mesi di vita di suo figlio.

Ma non solo, gli uomini sono cambiati – entrano tutti, volenti o nolenti, nelle sale parto –  e hanno imparato a cambiare i pannolini.

E se la moglie è un po’ giù, non le chiedono di tirare due uova di pasta, ma magari scongelano loro la Zuppa del Contadino.

Insomma, le donne hanno finalmente imparato a SCRIVERE quello che pensano, e io sono contenta ogni volta che vedo una mamma che blogga e racconta quello che le succede.

Bene, lo fa anche Antonella Pfeiffer, da molti anni, su un blog che diventa sempre più grande e complicato.

Anche Antonella scrive sulle mamme, e anche lei pubblica libri self-published come molti di quelli che leggono questo blog.

Adesso vi sparo i link e la chiudo col pistolotto sulla Madonna.

Il sito che gestisce Antonella si chiama DONNE MAGAZINE 

I suoi libri, pubblicati su Amazon, si chiamano:

LA MAMMA PERFETTA

UN CASSETTO DEL CUORE

Se poi qualcuno, non pago di tutte le mie parole, volesse leggere la mia intervistina (che si conclude con un pensiero profondo sulle aragoste), CLICCATE QUI.

Elogio dell’editing

Penso che tutto quello che mi succede – di male – sia frutto di un mio errore

Ma non porto sempre la pena con dignità, a volte comincio a piangermi addosso.

Mi lagno troppo, lo so.

Bene, questa sera non mi lagnerò, ma parlerò POSITIVAMENTE delle tre persone che mi hanno aiutato a editare i miei libretti, e verso le quali nutro ammirazione, perché sono state intellettualmente generose, ovvero si sono occupate di me con FATICA, insomma mi hanno preso sul serio.

La verità è che prima di incontrare i miei editor, io scrivevo male.

Siccome scrivevo di fretta, la sera, avevo adottato uno stile piattissimo che tagliava tutte le descrizioni a favore di dialoghi che sembravano quelli dei telegrammi di condoglianze: “Vi siamo vicini in questo momento di dolore. Famiglia Rossi“.

Insomma, avevo asciugato il mio stile fino a scarnificarlo completamente con l’obiettivo di metterci meno tempo a scrivere i miei libretti.

Sono padana, e quindi mi davo dei target anche sul numero di battute che dovevo produrre ogni giorno quando ero in fase creativa.

E’ stato proprio in quel periodo – quando i miei libretti erano fatti solo da una trama arricchita da parole – che mi sono beccata un sacco di bocciature, anche perché avevo un’agente che non sapeva cosa fosse l’editing e quindi mandava alle case editrici i miei telegrammi senza lavorarci sopra manco mezzo minuto.

E’ stato solo dopo essermi presa una lunga serie di bastonate nei denti dalle case editrici – e dopo aver chiuso il rapporto con l’agente –  che ho deciso di cercare un editor.

E ho trovato lei, Sabina Marchesi.

L’ho trovata sul web. Faceva dei corsi di scrittura sui gialli. E poi sapeva tutto sul codice penale italiano (complicatissimo) che io mi ero studiata su Wikipedia, con EVIDENTI E COMPRENSIBILI LACUNE.

Le ho mandato per email “Omicidi in pausa pranzo” e lei me l’ha rispedito indietro dopo un paio di mesi. Con le sue note.

AVEVA CAPITO TUTTO!

Aveva capito che cosa non funzionava della mia scrittura e i suoi commenti erano meravigliosi: sinceri e onesti.

Definiva il mio stile didascalico, piatto, lungo, capzioso, superfluo, orrendo, eccessivo, poco credibile, incongruo.

E poi mi diceva che mancavo di pathos, i personaggi non partecipavano alle scene e le mie descrizioni sembravano riassunti.

Certo, mi segnalava anche i punti dove invece la mia scrittura andava bene e dove riuscivo a trovare un ritmo veloce di narrazione – come io cercavo – senza scadere nella piattezza che nasceva dalla mia stupida fretta di tirar giù 5.000 battute ogni giorno.

La sua era stata una meravigliosa doccia fredda di intelligenza, arrivata tardi, ma per fortuna arrivata.

Ho riscritto Omicidi in pausa pranzo rileggendo le sue note e i suoi consigli non so quante volte.

E poi ho riscritto anche gli altri libri che tenevo nei famosi cassetti da anni, e a questo punto li ho pubblicati su Amazon.

Per “Omicidi in pausa pranzo” ho chiesto la consulenza anche di un altro editor, che non so se voglia essere nominato, ma che mi ha fatto addirittura cambiare il finale e ha dato una bella pulizia alle frasi che mi erano venute fuori male.

Poi ho chiesto a DALIA LENTINI, la mia editor indie, di rileggerlo per l’ultima volta.

Anche Dalia mi ha fatto fare molte modifiche, tra cui quelle di smontare tutti i capitoli che finivano nel modo sbagliato (anticipando il capitolo successivo: un errore molto comune).

Insomma, solo dopo aver lavorato con ALTRE TRE PERSONE, sono riuscita a produrre una versione di “Omicidi in pausa pranzo”  decente.

Ho poi lavorato solo con Dalia per rimettere a posto gli altri libretti, ma ormai avevo capito un sacco di cose sui miei errori, ed ero capace di correggerli anche da sola.

Conclusione: solo i geni non hanno bisogno dell’editor.

E io ringrazio Sabina, Dalia e l’innominato per tutto quello che hanno fatto per me.

La distribuzione statistica dei serial killer

Non credo che su Facebook o sui siti di appuntamenti online sia presente una rappresentanza più numerosa di serial killer di quanti non se ne possa incontrare nella vita normale, prendendo il tram per andare in ufficio o andando a fare la spesa al supermercato.

Ormai il web è una copia quasi fedele della realtà e quindi le probabilità di dragare un serial killer sul web sono sostanzialmente le stesse di quelle di dragarlo all’Esselunga di Via Papianiano il venerdì sera, verso le otto, orario nel quale si favoleggia vadano a farvi la spesa i single più cool di Milano.

E’ per questo che quando dieci anni fa – DIECI! – ho cominciato a scrivere un romanzo rosa ambientato sui siti di appuntamenti online (Meetic non esisteva ancora) non ho mai pensato di farlo finire con la protagonista sgozzata in una via buia di sera, mentre limonava in macchina col suo assassino.

Mi sono invece ispirata a una storia vera in cui la mia compagna di banco in ufficio incontrava sul web un mio compagno di scuola del liceo (non un compagno di banco, ma quasi) e si innamorava per davvero di lui.

Nella realtà,  la prima volta in cui i due partivano per un romantico week-end insieme, lei non mi telefonava per supplicarmi di chiamare il 113, perché lui le aveva piantato un coltello nella gola, ma mi chiamava per passarmi il telefono e farmi parlare con il MISTERIOSO LUI  beccato sul web, che poi non era altro che S. B., il compagno di scuola in questione.

Compagno di scuola e da allora compagno di vita della mia ormai ex-compagna d’ufficio, la quale sta ancora benissimo, dato che lui non ha mai pensato neanche per un momento di trucidarla mentre si accoppiavano nel bilocale dalle parti di Piazza F. dove oggi risiedono.

Insomma, già dieci anni fa, quando sui siti di dating non erano stati scritti saggi sociologici e incredibili quantità di romanzetti non sempre brillanti, spezzavo una lancia a favore – tanto per non essere lessicalmente banale – degli incontri sul web.

In realtà, la mia ex-collega non era la protagonista del libretto in questione, ma si comportava come una Virgilia internettiana per la protagonista vera e propria, che si prendeva una cotta virtuale per un altro signore (questo totalmente inventato) conosciuto anche lui sullo stesso sito di chat online.

Neanche la VERA protagonista veniva quindi uccisa a coltellate dallo sconosciuto incontrato su C6 (le prime chat online) dopo essere stata lungamente stalkata dallo sconosciuto in questione, ma si limitava a porsi seri problemi sul fatto di lasciare o meno il marito un po’ palloso – ma reale – che si trovava nel letto tutte le sere.

Bene, anche questo leggerissimo romanzetto che peraltro vaticinava il futuro – assumendo già allora il punto di vista corretto sul web, che non è il luogo di incontro dei serial killer ma delle persone normali – veniva BOCCIATO DA TUTTI GLI EDITORI DI ITALIA.

Scusatemi se sono un po’ in fissa con la storia delle bocciature, ma ormai vendo quasi un centinaio di copie al giorno delle mie ex-schifezze su Amazon, schifezze che evidentemente non facevano poi così schifo.

E siccome sono non sono una ragazza venale, ma solo un po’ rancorosa, le faccio pagare così poco che i lettori le comprano contenti senza paura di buttare via dieci euro in un ebook MARCHIATO.

I miei ebook – SMARCHIATI – costano poco, ma sono più che commestibili.

Attenzione, Mariti in salsa web è un ROSA.

Letto anche da qualche maschio (mariti di amiche, eccetera).

Non è un capolavoro, ma la la cremazione del cane di Vittoria – la madre della protagonista – mi fa ridere ancora quando la rileggo (io che l’ho scritta). 

Un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per una donna che scrive di sera

Questa sera il mio libretto è primo nella classifica della narrativa italiana su Amazon.

Voglio ringraziare tutti quelli che l’hanno comprato, e poi vado a sedare una rivolta in camera da letto di mio figlio che ha invitato un amichetto a dormire (sento dei tonfi che non mi piacciono).

Insomma, sono riuscita a fare da sola il piccolo miracoletto di picchiare il mio libro in cima a quella classifica (di soli ebook, sia chiaro), rubando ore al sonno e a tutto il resto.

Sono testarda e ho tirato dritto, scrivendo per molti anni di sera e bloggando – sempre di sera – in questi ultimi mesi.

Dalla mia camera da letto ho infilato un libro in classifica davanti a quelli di editori laureati, perdendo molte ore di vita VERA, dedicate a questa mia piccola follia.

In realtà, ho ricominciato a scrivere solo quando mio figlio ha compiuto due anni.

Fino ad allora leggevo solo il catalogo punti dell’Esselunga.

Non tolleravo nulla che non fosse più lungo di una decina di righe.

Ero preparatissima: sapevo quanti punti ci volevano per tutti i premi che mi interessavano, e ragionavo a lungo se prenderli col contributo o solo con i punti.

Ho riempito la casa di frullatori e macchine per il fare il pane, prima di riprendere in mano la penna.

Mi è rimasto solo un rimpianto: la gelatiera, che qualche anno fa ti tiravano dietro per 3.000 punti, e che negli ultimi anni è scomparsa dai cataloghi del mio supermercato preferito.

Bene, ce l’ho fatta da sola, alla faccia di chi mi vuol male…

Lettera aperta agli editori che mi hanno bocciato

Non amo le collezioni né i collezionisti, perché mi sembra insensato comprare  o desiderare sempre la stessa cosa.

Le collezioni sono insensatissime somme di oggetti che si assomigliano: orologi a cucù, uova Fabergé, bambole dell’Ottocento.

Ma c’è una cosa di cui sono stata in questi anni l’involontaria collezionista: le lettere di rifiuto degli editori a pubblicare i miei libretti.

Sono una persona di buon gusto e non farò l’elenco di quelli che mi hanno bocciato, ma posso dire che dell’elenco fanno parte TUTTI gli editori italiani (tranne uno, piccino picciò, col quale però il matrimonio non è andato in porto).

Qualcuno potrebbe dire a questo punto: “E chi se ne frega!”.

Per carità, sto parlando dei soliti casi miei, ma però il libro che (alla fine) mi sono autopubblicata su Amazon sta andando proprio benino.

Si chiama Omicidi in pausa pranzo ed è da mesi in classifica.

Costa molto poco – 99 centesimi – e capisco che un editore posa ritenere il mio successino una forma di concorrenza sleale.

I prezzi degli editori sono molto più alti dei miei, lo so.

Io li posso tenere bassi perché faccio un lavoro VERO da impiegata: sono una scrittrice della domenica, o del lunedì sera, e sui miei libri non guadagno quasi nulla.

E non devo neanche pagare gli stipendi ai dipendenti, come fanno invece le case editrici.

Però, Santiddio, la mia concorrenza non è poi così sleale visto che NESSUNO MI HA MAI VOLUTO PUBBLICARE neanche un mezzo libro!

Sarebbe infatti veramente bizzarro pretendere che gli autori che non sono piaciuti alle case editrici non piacciamo neanche ai LETTORI!

Vorrei quindi bisbigliare agli editori: “Te l’avevo detto che avresti venduto il mio libro“.

Perché, se riesco a vendere l’ebook su Amazon senza quasi nessuna forma di marketing, significa che ai lettori piace e se lo consigliano l’un l’altro, utilizzando anche le moderne forme di passaparola sulla rete.

Quindi, la prima rampogna che vorrei fare agli editori è la seguente: il libro non era poi questa PORCHERIA…

La seconda delle mie doglianze – come direbbe un avvocato – riguarda la scrittura.

A me piace scrivere semplice.

Detesto le lunghe e pretenziose catene di aggettivi con i quali vengono descritti i paesaggi alpini o marini, dove il cielo si colora di un rosso cremisi e vermiglio e le punte dei pini diventano di un verde esangue e smorto al crollare del sole sotto la linea sottile e lontana dell’orizzonte.

Gli aggettivi mi fanno CACARE e li uso solo quando sono strettamente necessari. Ma a quanto pare gli aggettivi fanno schifo anche ai lettori, che preferiscono narrazioni più veloci e meno tronfiamente autocompiaciute.

L’ultima lagnanza riguarda la leggerezza. E le risate.

Nutro da sempre il desiderio di far ridere le persone che conosco.

Desiderio che ho tristemente passato a mio figlio Tommaso, che, grazie alle sue battute in classe, non si è mai spinto oltre l’8 in condotta.

Anche io sono sempre stata da 8 in condotta, e per il gusto di fare una battuta mi sono rovinata (da sola) molte occasioni (in molti campi).

Però – cazzo! –  i miei libri fanno ridere!

Sapete quanto è difficile far ridere?

Cazzo, è difficilissimo!

Eppure mi è capitato di essere stata bocciata con queste parole: “Quante risate mi sono fatto quando ho letto il tuo libro, però, mi dispiace, non è pubblicabile!”.

Non ho mai fatto del male a nessuno, né  ho mai pensato di scrivere capolavori intramontabili e perenni, ma solo commedie vaporose e lievi, come direbbe uno scrittore laureato. E i 99 centesimi li valgono tutti…

OMICIDI IN PAUSA PRANZO

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La Malamadre surrealista di Lilia

Dico subito che voglio parlare di un libro che mi è piaciuto, scritto da Lilia Carlota Lorenzo, di cui mi reputo una grande amica, anche se non l’ho mai vista né conosciuta.

Ho incontrato Lilia sul web, grazie ai suoi libri, e ci scriviamo tutti i giorni come in un romanzo dell’Ottocento, con la sola differenza che le nostre lettere arrivano subito perché sono delle email.

Ma non ci siamo mai viste né parlate al telefono.

A Lilia non piace parlare al telefono.

Io invece l’avrei chiamata, ma lei mi ha spiegato che ODIA il telefono.

E quindi ci scriviamo anche dieci volte al giorno…

Bene, data questa bizzarra premessa, ne consegue che anche i libri di Lilia siano bizzarri, anzi surrealisti.

Perché Lilia è argentina, e viene dalla terra di Borges e Bioy Casares, mentre io vengo dalla Padania e tra i miei antenati letterari c’è un signore che si chiama Verga.

Ho già espresso tutto il mio sempiterno orrore per i maledetti LUPINI dei Malavoglia, ma di quei LUPINI SCHIFOSI siamo tuttora impregnati, e la letteratura italiana è la figlia diretta di quel Verismo o come diavolo si chiama, di cui non ci siamo mai liberati.

Nei libretti che scrivo io, la mia più grande preoccupazione è che la storia che racconto sembri VERA, mentre Lilia se ne sbatte della verità.

In Malamadre è tutto inventato.

Solo nelle prime pagine potresti avere l’impressione che Lilia ti stia raccontando una storia vera, ma poi basta un incidente d’auto per entrare in un mondo inventato in cui NULLA E’ VERO, anche se è minuziosamente descritto.

Fortaleza, il paese surreale dove si svolge la storia, non esiste – è CHIARAMENTE inventato di sana pianta – ma si anima nelle pagine di Liliana  fino a diventare un Paradiso Terrestre dove gli alberi danno frutti giganti e i fiori di un giardino sono tutti azzurri.

Non voglio raccontare nulla della trama, ma solo dire che per tutto il libro aspetti che succeda una tragedia e non riesci a capire chi sia il serpente che ti sta porgendo la mela avvelenata.

Credo che la tensione narrativa – si dice così? – nasca proprio dai contrasti messi in scena da Lilia: la verità e le bugie, la bellezza di Fortaleza e il male che si nasconde proprio dietro quello che ti sembra più bello.

Ma il libro di Lilia non è la raccolta di stucchevoli descrizioni di luoghi fantastici.

Al contrario. Come nei romanzi latino-americani, gli eventi sono collegati da una TRAMA che è fondamentale per portare avanti la storia e arrivare alla conclusione.

Nell’Invenzione di Morel, di Bioy Casares, la soluzione arriva solo quando si scopre come funziona la macchina che proietta le immagini – assolutamente reali – delle persone che popolano l’isola.

E proprio come nell’Invenzione di Morel, Lilia ti porta fino al più bizzarro dei finali, dopo averti descritto le cene meravigliose che vengono offerte al protagonista smidollato, che non riesce a intravedere l’orrore che si nasconde dietro le bottiglie di vino francese portate in tavola tutte le sere – nella Pampa? – seguite dai dopocena in cui donne bellissime gli si offrono ogni notte, come se lui fosse l’unico e ultimo uomo sulla Terra.

Non ho dubbi. Per inventarsi Malamadre ci voleva un’argentina. Noi, invece, abbiamo i LUPINI nel sangue.

Trovate il libro di Lilia su Amazon, ai soliti prezzi popolari…

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Ospite di Rita Carla Francesca Monticelli

Un mio poderoso intervento sull’ADV fatto in casa dai self-published è stato ospitato sul blog di Rita Carla Francesca Monticelli, che scrive libri di fantascienza.

ANAKINA BLOG

Rita fa parte della famiglia di chi si autopubblica e sa usare il web con una certa perizia.

Ecco i suoi libri su Amazon:

DESERTO ROSSO

Non posso che mostrare onore e rispetto per una donna così intraprendente in campi tradizionalmente assai poco femminili.

Temo solo che un invito a cena da lei potrebbe non essere molto interessante, se esiste una minima legge del contrappasso.

Ma anch’io cucino due volte all’anno.

Altrimenti mi limito a scongelare il pesto e versarlo sulla pasta appena scolata.

E’ per questo che io e Tommaso abbiamo un colorito verdastro da marziani.

Auguro anche a Rita di NON sapere cucinare due uova al burro!

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