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La scomparsa del tema

Ho avuto la fortuna di andare a scuola quando ancora si credeva che uno dei principali obiettivi dell’insegnamento scolastico fosse di insegnare alle persone a scrivere decentemente in italiano.
Scrivere COSA? Scrivere qualsiasi cosa: un preventivo, una lettera d’amore, un reclamo, un romanzo, non importa. A scuola bisognava imparare a costruire delle frasi con un senso logico, e quindi con una buona grammatica, che stessero in piedi e fossero magari anche ben fatte: armoniose, belle da sentire.

Anche se noi ce lo siamo dimenticati, la nostra lingua nasce dalla metrica e cioè dall’arte di far “risuonare” bene un periodo, applicando delle regole NOTE. Ma anche senza tirar fuori il latino, nessuno (fino a qualche tempo fa…) metteva in discussione che a scuola gli studenti dovessero imparare a scrivere bene, il meglio possibile.

E come si faceva per insegnarglielo? Si partiva dai pensierini della prima elementare, e poi si cominciava a fargli fare dei temi. Anche quelli sui soggetti liberi – la mia famiglia, le mie vacanze, il mio futuro, eccetera – perchè la penna doveva esercitarsi senza dover necessariamente fare sfoggio di nozioni.

Non è obbligatorio sapere fare un tema sulla Rivoluzione Francese o la fisica dei quanti, perchè poi magari nella vita dovremo occuparci di convincere i nostri clienti a installare delle nuove caldaie a condensazione. Conta solo saper scrivere quello che pensiamo in modo sufficientemente semplice e chiaro.

Chi scrive in modo involuto e contorto (e spesso sbaglia la consecutio temporum) non ha le idee chiare. Bisognerebbe poter riassumere i nostri pensieri in poche parole, e poi aggiungere un po’ di condimento, ma mai troppo. Scrivere CHIARO è un’arte che si impara con difficoltà, economizzando sulle parole e rinunciando alla vanità degli aggetti FACILI (roboanti, ridondanti, altisonanti).

E non si può negare che una buona esposizione – comprensibile – di un argomento, non può che essere basata sul fatto che chi scrive ha le IDEE CHIARE. In altre parole, ha delle opinioni FORMATE E DECISE.
Non si può insegnare a scrivere a uno studente, senza insegnargli un po’ anche a pensare. Ecco perchè vanno bene anche i temi liberi: per imparare a SEGUIRE E METTERE IN ORDINE i propri pensieri.

Però adesso arrivo al punto: chi ha un figlio adolescente lo sa. I ragazzi oggi scrivono malissimo, anche se ci sono le eccezioni, per carità, ma in generale i ragazzi fanno veramente fatica a mettere nero su bianco i loro pensieri. E se dovessi indicare una delle ragioni (ma sono tante…) per la perdita di una capacità fondamentale – quella di esprimere il proprio pensiero – non potrei che partire dalla SCUOLA DI ADESSO, dove non si fanno quasi più i temi.

Mio figlio ne faceva solo UNO A QUADRIMESTRE, sia alle medie che all’istituto tecnico, e i professori non glielo correggevano (è la triste verità…). Si limitavano a mettere una virgola qua e là (ma mica sempre) e la chiudevano lì. Ho le mie modestissime opinioni sul perchè avveniva questo fenomeno (meglio che le tenga per me), ma sono sicurissima che fare così pochi temi sia una delle cause fondamentali delle accertate difficoltà della scuola italiana a sfornare studenti con buone capacità di comprensione del testo (Invalsi 2018).

Non riesco invece a capire come mai nei programmi scolastici siano oggi previste DOSI DA CAVALLO DI GRAMMATICA (mio figlio ha studiato 43 complementi indiretti e non credo se ne ricordi nessuno), se poi la grammatica non viene applicata all’unico fine degno per averla studiata: imparare a scrivere.

Bene, la chiudo qui. Ma ancora una volta devo ribadire che contesto la narrazione dominante sulla scuola italiana: va tutto a scatafascio perchè i ragazzi sono maleducati e i genitori li difendono. Il discorso sulla scuola italiana è ben più complesso di così…

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La professoressa EZIA BISUNTI

Nel mio libretto OMICIDI A SCUOLA mi sono inventata la professoressa EZIA BISUNTI che riassume in unico personaggio (che farà una brutta fine😜) tutte le insegnanti che ho DOVUTO incontrare lungo l’irto cammino di un figlio DISLESSICO nella scuola dell’obbligo e in quella superiore.

Il problema era proprio questo: appena mio figlio prendeva un paio di brutti voti in una materia, le insegnanti mi CONVOCAVANO per un incontro, in genere a orari come le 10.20, le 11.15 e consimilia, costringendomi a prendere MEZZA GIORNATA DI FERIE.

Andavo all’incontro e ascoltavo le loro rimostranze: l’alunno ha fatto male il compito di CHIMICA, l’alunno ha sbagliato gli esercizi di FISICA, l’alunno ha sbagliato il compito sui TEMPI DEI VERBI, eccetera. Come se il profitto scolastico di mio figlio dipendesse da ME e non dai suoi insegnanti…

Ma non voglio entrare in polemica, mi limiterò a elencare solo qualcuno dei motivi più BIZZARRI per i quali ho ricevuto una convocazione dalle varie EZIE BISUNTI incontrate durante la carriera scolastica di mio figlio.

1. “Il ragazzo non sa disegnare a mano libera“. Convocazione ricevuta in prima media da una BISUNTI che insegnava Storia dell’Arte. Sapevo di non essere la madre di Giotto, ma non avevo mai pensato di suicidarmi perchè mio figlio non avrebbe dipinto la Cappella degli Scrovegni.

2. “Il ragazzo va male in Matematica, ma è di buon’umore anche se prende brutti voti“. Convocazione ricevuta da una BISUNTI al liceo che si lamentava del fatto che mio figlio non tentasse il suicidio in suo onore.

3. “Il ragazzo ride durante una visita al museo“, ancora un’altra BISUNTI che li avrebbe fatti marciare in fila per due nei cortili di Palazzo Reale.

4. “Il ragazzo non ricorda le declinazioni irregolari latine“, ricevuta da una BISUNTI che non si voleva rassegnare al fatto che i dislessici non hanno memoria a breve, e quindi RAGIONANO, ma non RICORDANO.

5. “Il ragazzo si rifiuta di stare in primo banco“, dopo un tentativo di ribellione del poverino che aveva tentato di guadagnare l’ultimo banco e stare alla larga dalla BISUNTI di turno.

Ecco, io sono figlia di un’insegnante di Matematica, ma mia madre non era una BISUNTI. Mai convocato un genitore, era amatissima dai suoi alunni. Anch’io ho amato tantissimo la mia professoressa di Italiano del liceo. Andavo a trovarla, le portavo i fiori, le regalavo dei libri.

Le BISUNTI fanno male alla scuola. Ma sono sempre di più. Be’, mi fermo qui, dai, ho già detto troppo…

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I have a dream: l’esposto al Provveditorato

Farò una lunghissima premessa prima di arrivare al mio sogno: presentare un esposto in Provveditorato.

Dunque, sono figlia e nipote di insegnanti delle scuole medie.

Mia madre insegnava matematica e scienze, mentre mia zia insegnava italiano, storia e geografia.

Nessuna delle due insegna più, anche perché una delle due (mia zia) è morta più di dieci anni fa.

Erano le tipiche insegnanti delle scuole medie di una trentina di anni fa, quando le profie si mettevano dei baschetti pelosi con la visiera e portavano delle scarpe con le frangette che credo nessun’altro in Italia avesse il coraggio di indossare.

Mia zia aveva una vera collezione di quei terribili cappelli pelosi da insegnante e mia madre non era da meno. Avresti capito che erano due insegnanti a chilometri di distanza. Marchiate a fuoco dai baschetti e dalle frangette sui mocassini marroni.

A tutte e due piaceva moltissimo insegnare, e gli allievi d’estate le andavano a trovare.
Mia zia organizzava delle piccole feste per le sue studentesse, per le quali preparava delle buonissime torte.

A mia madre arrivano ancora gli auguri a Natale di un suo ex-allievo con un cognome buffissimo: “Porcelli”, allievo del quale mia madre parla ancora con sconfinata ammirazione, e di cui ha conservato un quaderno di esercizi di geometria, che ogni tanto sfoglia con trepida gioia, mormorando: “Era bravissimo!“.

Insomma, non ho nessuna preclusione nei confronti della categoria degli insegnanti.
Anzi, sono cresciuta in famiglie dove si parlava solo di allievi, bidelli, colleghe, gite di classe, eccetera, e dove il vanto di mia madre era quello di NON AVERE MAI BOCCIATO NESSUNO.

Ancora adesso le piace raccontare di come si sia sempre spesa per evitare che venissero bocciati i suoi alunni, perché, secondo lei, alle medie non bisogna bocciare i bambini. Cosa di gran buon senso, perché anche io ritengo che un bambino non sia in grado di sopportare il peso psichico di una bocciatura fino a quando non arriva al ciclo di studi superiori.

Ma oggi è tutto cambiato. Le scuole sono diventate severe, i programmi sono immensi, le “verifiche” quasi quotidiane, i voti tirano verso il basso, le insegnanti danno tutti i giorni una marea di note sul comportamento dei bambini.

Sì, certo, i ragazzini di oggi sono più vivaci di quanto non fossero quelli di trent’anni fa, cresciuti in famiglie molto più normative di quelle attuali, ma non è neanche vero che TUTTI i ragazzi siano dei bulli fuori controllo. Se devo essere sincera, non ho ancora conosciuto un vero bullo pericoloso tra i compagni di classe di mio figlio. Né tanto meno lo è il povero Tommaso, che frequenta persino il corso di scacchi della scuola.

Mio figlio, per di più, è un dislessico certificato. Dal più importante ospedale italiano che studia e certifica la dislessia. Ma questo non impedisce alle sue insegnanti di ficcargli dei bei tre in grammatica (argomento sul quale i dislessici sono debolucci), e sbattersene le palle di quanto concordiamo ogni anno in un Piano Didattico Personalizzato, che dobbiamo controfirmare entrambi (genitori e insegnanti).

Al contrario, Tommaso ha dovuto ascoltare per tutte le scuole elementari le lamentele delle sue maestre che gli dicevano che ero pazza a credere che fosse dislessico, perché lui non aveva “problemi”.  Il suo unico problema era quello di avere poca voglia di studiare. Le diagnosi dei medici erano anche loro il frutto i una qualche mia passione maniacale per medicalizzare il fatto che lui non aveva voglia di studiare (uno dei sintomi, anche questo, tipici della sindrome dislessica).

Ecco, io credo che alle insegnanti di oggi manchi la pietas che avevano mia madre e mia zia per i loro allievi, anche per quelli un po’ asinelli che loro “portavano avanti“, per usare una delle loro vecchie espressioni.

Insomma, sapevano tutte e due che se un ragazzo non aveva voglia di studiare era inutile bocciarlo alle medie, ma sapevano anche che forse qualcuno aveva bisogno di più tempo per crescere e maturare.

I dislessici sono una gran parte di quegli asini di una volta, dopo che le neuroscienze hanno finalmente decrittato loro difficoltà (un disturbo a non so quali lobi temporali).

La scuola dovrebbe quindi trattarli con un po’ più di gentilezza, anche perché i dislessici sono pessimi in grammatica, ma possono essere molto bravi a fare qualcos’altro, visto che il loro QUI è nella norma (i Disturbi Specifici dell’Apprendimento possono essere certificati solo in ragazzi che abbiamo un quoziente intellettivo nella norma).

I dislessici sono “asini” dotati di grandi potenzialità, anche se per tutta la vita potrebbero leggere e scrivere male, e non sapere far di conto.

Ma le insegnanti di oggi – tranne qualche rara eccezione – sembrano avere abbandonato quell’antico buon senso che le vedeva in una posizione benevolente verso i loro allievi, per trasformarsi invece in cerberi giudicanti, nella convinzione che non ci sia stimolo migliore allo studio che qualche bel TRE sparso con generoso furore su ragazzini di dodici anni (ma so che i TRE stanno cominciando a fiorire anche alla elementari).

Ebbene, sono sicura che in quella particolare età della vita l’incoraggiamento allo studio non possa che passare per stimoli positivi, come spiega Sugata Mitra, mentre invece, quando ti iscrivi alla facoltà di Ingegneria, nessuno potrebbe questionare sul fatto che se non passi gli esami, non ti puoi laureare.

Trovo invece ORRIBILE la nuova moda dei brutti voti e delle bocciatura nella scuola dell’obbligo, e in quanto madre di un dislessico potrei anche presentare un esposto al Provveditorato per contestare i voti che vengono dati a mio figlio (sulla base di verifiche non somministrate secondo quanto prevede la legge).

Non escludo quindi che un giorno il mio sogno di presentare un esposto non si compia.

Visto che qualcuno ce l’ha già fatta:

http://milano.repubblica.it/cronaca/2014/04/04/news/dislessia-82705187/

Gloria a quei genitori coraggiosi.

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Ciao, sono la mamma di…

Ho smesso di dire il mio nome e cognome quando mi presentavo, il giorno in cui Tommaso ha cominciato ad andare all’asilo.

Dicevo solamente: “Ciao, sono la mamma di Tommaso”.

Le altre mi rispondevano: “E io sono la mamma di Tizio”.

Una perdita identitaria che continua tuttora, arrivati alle medie.

Continuo a dire: “Ciao sono la mamma di Tommaso”, e magari aggiungo: “E tu sei la mamma di Tizio?”.

Ma capita sempre più spesso di sbagliarsi, dopo tre cicli scolastici, e l’altra magari mi risponde: “No, sono la mamma di Caio”.

Ogni tanto, qualcuna aggiunge il suo nome: “Mi chiamo Giovanna”, ma sappiamo tutte che il nome della madre sarà duro da ricordare.

Per fortuna ci sono gli Excelini con il nome del bambino, abbinato a quello della madre, con indirizzo email e numero di telefono, sul quale andare a ravanare quando ci sono le feste e le telefonate da fare per gli inviti.

Li ho stampati tutti e poi li incollo sull’agenda.

Ormai sono arrivata al terzo Excelino, perché mio figlio vede ancora i compagni dell’asilo e delle medie, e mi servono i numeri delle loro  mamme.

Anche quest’anno, alla prima riunione di classe, ci siamo subito buttati a fare l’Excel, compilando dei fogli che poi abbiamo messo in palio: “Chi vuole fare l’Excel?”.

Ha vinto una mamma che ha cercato di inserire anche dei nuovi campi: telefono fisso e indirizzo, ma quasi nessuno li ha compilati.

Tra un po’ nell’Excelino di classe metteremo anche il Codice Fiscale e il numero di tessera sanitaria: qui al nord siamo un po’ ossessivi.

La mamma in questione ci ha subito mandato per email la sua lista, ed è partita la solita buriana per raccogliere 10 euro per la bibliotechina di classe e organizzare la piazzata a Natale.

Poi, ormai siamo arrivati alle medie, le email si sono fermate.

Dopo 8 anni (3 di asilo e 5 di elementari) di mercatini di Natale e festa della scuola, confesso di non farcela quasi più.

Belli, bellissimi i ricordi di Tommaso che canta la canzoncina di Natale con una stellina sulla testa, ma ho voglia di tornare a presentarmi col mio nome e cognome.

Domanda da un milione di dollari: fatto 100 il numero di mamme che si presentano con “Sono la mamma di…”, quanti sono i papà che si presentano con: “Sono il papà di…”.

15?

Troppo ottimista?

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